Sino a qualche anno fa la parola 'rientro' non veniva pronunciata da nessuno in Kossovo. Ancora troppo incerto il futuro della regione per pensare anche alle minoranze. Ora qualcosa sta cambiando. In che direzione?
Rientri della comunità serba ad Osojane, Kossovo
Il 29 luglio 2002 i primi sfollati provenienti dalla Serbia hanno fatto ritorno ai villaggi di Biča e Grabac, nella municipalità di Klina, Kossovo. Si tratta del primo ritorno organizzato di una comunità serba in quest’area, tradizionalmente ritenuta difficile per la presenza storica di roccaforti dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk) e per la forma particolarmente brutale che qui il conflitto ha assunto nel 1998-1999.
Che caratteristiche ha questo ritorno? Si rischia di creare nuove enclaves? E’ sostenibile? E quale è il ruolo delle ONG, forse solo quello di mere esecutrici di progetti definiti da UNMIK ed UNHCR? Ed infine il Kossovo, visto da Bica e Grabac, che futuro ha?
Alessandro Rotta, ricercatore presso il CeSPI e collaboratore dell’Osservatorio, si è recato nei due villaggi nel novembre del 2002 per iniziare a dare delle risposte a queste domande, nonostante la storia del rientro a Biča e Grabac sia ancora molto breve. E dal suo lavoro sul campo sono nati spunti interessanti che ci aiutano ad inquadrare meglio la questione dei rientri delle minoranze nell’intero Kossovo.
Emerge ad esempio che non si è poi così lontani dal rischio di creare nuove enclaves. Seppur in modo più attenuato, “con confini meno visibili e netti”, commenta Rotta. Che a volte gli operatori internazionali non riescono a comprendere ed interpretare lo iato tra dichiarazioni individuali dei membri della comunità albanese, che raramente si dichiarano contrari al rientro delle comunità serbe, ed atteggiamenti collettivi, dove vi è una diffusa opposizione ai ritorni, giustificata dalla popolazione albanese come opposizione al ritorno di responsabili di crimini e violenze durante la guerra. Poi Rotta affronta il tema dei rapporti tra ONG ed Organizzazioni internazionali e si sofferma in particolare sui progetti mirati alla riconciliazione. A questo proposito nota come “Il fattore tempo viene generalmente indicato come una variabile chiave dei processi di riconciliazione. Tuttavia, se non si innescano dinamiche di dialogo e di elaborazione del conflitto, il tempo passa inutilmente. In questo senso, la preparazione del terreno con la comunità maggioritaria dovrebbe essere una componente centrale dell’intervento e iniziare molto prima dell’effettivo ritorno”. Cosa che per Biča e Grabac non è avvenuto tant’è che “la comunità albanese ritiene di non essere stata sufficientemente coinvolta nel processo di rientro, per quanto i responsabili della comunità internazionale affermino di avere costantemente fornito informazioni in proposito e di avere attuato una logica partecipativa nella definizione dei progetti” e poi Rotta continua affermando che “In generale, l’impressione che si ricava è che l’intervento internazionale segua spesso tempi e logiche incompatibili con un dialogo continuo e approfondito con le comunità riceventi”.
Il quadro definito da Rotta - in quest’analisi attenta che ha il merito di partire da punti di riferimento certi forniti dal caso studio per arrivare a toccare questioni di importanza cruciale per l’intero Kossovo – non lascia certo spazio ad un grande ottimismo. D’altronde, come nota lo stesso autore della ricerca, “la questione dei ritorni è forse l’aspetto più problematico del processo di pacificazione in Kossovo … Visto da Biča e Grabac, il tema mostra tutta la sua complessità, e le difficoltà di tradurre in pratica i principi enunciati nei documenti internazionali dalla risoluzione 1244 in poi”. E Rotta invita ad un approccio pragmatico e realistico. “Per la comunità internazionale questo significa riconoscere che non tutti gli sfollati vogliono rientrare, e rispettare il principio della libera scelta coniugandolo con la garanzia del diritto al ritorno, e soprattutto calibrare modi e tempi dei ritorni alle condizioni sul terreno ….per chi ritorna, in particolare per la comunità serba … significa accettare la propria condizione, non più di privilegio politico e sociale, e riconoscere legittimità al nuovo assetto istituzionale preparandosi a sviluppi diversi da quelli auspicati. Per la comunità albanese di maggioranza realismo e principi sembrano convergere sulla considerazione che la convivenza, tra diverse comunità all’interno del Kossovo, e tra il Kossovo e gli altri paesi della regione, è la chiave del futuro politico e istituzionale, e la precondizione della stabilità attesa”.