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Tragedia di Otranto: non risarcimenti ma giustizia

11.02.2003   

Lo affermano i parenti delle vittime della tragedia di Otranto. Che rifiutano un’indennizzo proposto dal Parlamento italiano ancora nel 2000. "Sbagliato rifiutare l'indennizzo, è un'implicita ammissione di colpa", dichiara uno dei legali albanesi.
Il canale di Otranto
Il giornale 'Shekulli' (28.01.2003) ha pubblicato lo scorso 28 gennaio un articolo titolato “I parenti delle vittime di Otranto non accettano i risarcimenti”. I rappresentanti dell’associazione delle vittime della strage di Otranto - quando uno scontro tra una motovedetta della marina militare italiana ed un’imbarcazione carica di clandestini causò l’affondamento di quest’ultima e la morte di 81 persone - con sede a Valona, hanno redatto una dichiarazione nella quale rifiutano la proposta del Parlamento italiano di indennizzare i familiari delle vittime di Otranto con una somma che ammonta in totale a circa 5 milioni di euro. “E’ una somma ridicola se si pensa che in cambio si chiede la sospensione del processo giudiziario, che invece a nostro avviso deve andare avanti in modo emerga la verità su cosa è accaduto nel golfo di Otranto”, si legge nella dichiarazione.
Si aggiunge inoltre che i familiari delle 81 vittime del canale d’Otranto del 28 marzo 1997 “non accettano soldi ma giustizia, la condanna dei responsabili della tragedia che portò alla morte di tanti innocenti”.
Aferdita Bani, presidente dell’associazione, sottolinea che i familiari delle vittime chiedono di accelerare i tempi del processo e che si arrivi all’individuazione delle responsabilità di chi era al comando della nave della Guardia Costiera 'Sibilla'. “Questo nostro atteggiamento è categorico ma anche dignitoso e dimostra che il dolore per la scomparsa dei nostri cari non può estinguersi semplicemente con alcuni indennizzi sborsati dal Parlamento italiano ma solo facendo giustizia”, dichiara Bani per 'Koha Jone'.
La piccola nave da pesca 'Kater I Rades', che aveva a bordo 117 persone, si schiantò il 28 marzo 1997, a circa 35 miglia dalla costa pugliese, contro la nave della Guardia Costiera 'Sibilla'. Le ricerche portarono al ritrovamento solo di 57 corpi. I sopravissuti alla tragedia raccontano che 'Kater I Rades' è stata speronata dalla nave italiana, mentre, da parte italiana, si sostiene che sarebbe stata l’imbarcazione albanese a scontrarsi con la motovedetta nel tentativo di fuggire all’inseguimento.
Sali Bejkotare, che nella tragedia ha perso la moglie e due figli, dice che “questo dolore non può essere monetizzato. La legge deve agire con fermezza per punire i colpevoli che, a mio avviso, è la marina italiana. Solo così possiamo trovare pace, altrimenti non sarà possibile”. Per Shkelqim Lame, che ha perso la figlia, il fratello e la cognata, la disgrazia sembra essere avvenuta solo ieri. “Mi fa piacere che anche quelli che avevano firmato le procure per prendere i soldi le hanno revocate. Il compenso da parte del Parlamento italiano é inaccettabile”.

Il comunicato stampa dell’associazione é stato indirizzato alle più alte autorità albanesi: Presidente della Repubblica, Primo ministro e Ministro degli esteri. Natasha Shehu, legale della parte albanese, in una intervista al giornale 'Koha Jone', afferma che “non condivide l’atteggiamento dell’associazione delle vittime di rifiutare i compensi accordati dal Parlamento italiano il 15 dicembre 2000 ai familiari dei sopravissuti secondo un criterio di legami di parentela con le vittime”. Il governo italiano aveva offerto 7000$ per quelli che avevano perso i genitori oppure i figli e 11000$ per i sopravissuti. “In un certo modo l’accordo sul compenso aiutava i familiari delle vittime perché era un’implicita assunzione di colpa da parte dello Stato italiano per quel che è avvenuto il 28 marzo di 1997”, ha affermato ancora la Sheuh. L’appello del legale delle vittime sembra aver avuto il suo effetto. Ed alcuni hanno accettato il risarcimento. “Non voglio essere fraintesa” - afferma Pushime Çala, la quale ha perso il marito e adesso vive sola con due figli a carico - “ho due orfani da mantenere. Sono in una situazione economica molto difficile e questi soldi mi aiuterebbero ad allevare i miei bambini. Questo non significa che io non desideri vengano puniti i responsabili per questa grave tragedia”.
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