Incontro con Gilles Péqueux, ingegnere responsabile della ricostruzione del ponte di Mostar
Mostar, 1994
"L’aspetto emozionante di quest'opera costruita nel Sedicesimo secolo è che è più vicina a una scultura collettiva che a un’opera d’arte classica. […]La sua bellezza risiede nel fatto che si tratta di un insieme di errori corretti con una mescolanza di procedure orientali e occidentali. Mostar è in qualche modo il luogo dove l’Oriente e l’Occidente si sono tesi la mano. […]L’opera [di ricostruzione] si potrà considerare riuscita se riusciremo a riportare la gente a lavorare con uno stato dello spirito comune. Sono abbastanza pessimista su questo punto. Ed è una delle ragioni per cui sono in disaccordo con lo stato di avanzamento del progetto."
Abbiamo incontrato a Parigi l’ingegner Gilles Péqueux, incaricato della definizione, coordinamento e supervisione degli studi per la ricostruzione del ponte di Mostar. Péqueux ha raccontato della fretta con cui la comunità internazionale vorrebbe ricostruire il Ponte, per segnare simbolicamente la riconciliazione della città e del Paese, mentre la popolazione non ha ancora elaborato il lutto rappresentato dalla scomparsa del monumento. Riportiamo la nostra intervista con Péqueux e la trascrizione del suo intervento alla "Giornata del Courrier des Balkans", Parigi, 1 marzo 2003.
Osservatorio sui Balcani: Nel dibattito sui criteri che dovrebbero sovrintendere alla ricostruzione del ponte di Mostar, tra autenticità e modernità lei ha proposto una terza opzione: quella dello “stato dello spirito” (état de l’esprit, ndr). Ricostruire aderendo a quello che ha rappresentato il ponte di Mostar dal punto di vista dello stato dello spirito. Cosa significa?
Gilles Péqueux: Significa porsi nella prospettiva dello stesso stato dello spirito che ha permesso la costruzione del ponte di Mostar nel sedicesimo secolo, cioè comprendere come è stata possibile la costruzione originale. L’unico approccio che possiamo avere è quello di metterci nella posizione del costruttore originale per essere il più vicini possibile al monumento per come era in origine.
OB: Cosa significa dal punto di vista pratico, sotto il profilo architettonico e ingegneristico?
GP: Dal punto di vista pratico penso che significhi evitare di cercare di ricopiare l’opera punto per punto. Lo stato dello spirito significa che all’epoca c’era un alto grado di empirismo e una scarsa normalizzazione (strutturazione). Gli operai lavoravano insieme sul cantiere cercando le soluzioni mentre procedevano, comunicavano, cercavano, facevano degli errori, li correggevano, e il tutto sotto la guida dell’architetto principale, Hajruddin. Niente era propriamente determinato all’inizio. Si progettava prendendo delle decisioni nel corso del procedere del cantiere, nel momento in cui si ponevano i problemi. Di fatto nella costruzione c’è una responsabilità non solo dell’architetto, Hajruddin, ma ogni operaio era una parte pregnante dell’edificio.
OB: Lei ha lavorato al progetto per 4 anni. Ora presenta le sue dimissioni in polemica con la direzione presa dal progetto i cui principali finanziatori sono Banca Mondiale e Unesco. Hanno deciso di adottare dei criteri diversi da quelli proposti da lei?
GP: La responsabilità non è direttamente dell’Unesco o della Banca Mondiale. Il progetto è in primo luogo nelle mani della città di Mostar e delle autorità locali…
OB: Che seguono le indicazioni di Unesco e Banca Mondiale?
GP: Esattamente, è così. Non chiamerei in causa direttamente l’Unesco, loro non mettono soldi nel progetto, non hanno una posizione forte e non possono giocare un vero ruolo di guardiani dell’etica del progetto. I soldi vengono dalla Banca Mondiale e da donatori bilaterali. L’Italia destina tre milioni di dollari al progetto, mettendo questa somma a disposizione della Banca Mondiale che lo spende secondo le proprie procedure. Il problema è che la Banca Mondiale non ha fibra, non ha a mio avviso sufficiente sensibilità storica per essere in grado di discernere e rende il progetto estremamente tecnico, è questo che le rimprovero.
OB: In ogni caso il Ponte sarà terminato alla fine del 2003?
GP: Sì, in teoria il Ponte dovrebbe essere terminato entro la fine del 2003, secondo me piuttosto entro la primavera del 2004, se non ci sono particolari problemi. Oggi infatti nonostante ci sia già un progetto ci sono ancora ampi margini di ignoto dal punto di vista tecnico.
OB: Gli operai saranno bosniaci o arriveranno da altri Paesi?
GP: Oggi la impresa aggiudicataria dei lavori è turca. Allo stato attuale delle cose sembra che l’insieme della manodopera sarà turco. C’è molto poca manodopera locale. Ci sono due o tre ingegneri locali ma l’essenziale della manodopera è turco. Noi deploriamo questa circostanza perché per quello che ho cercato di spiegare nel mio intervento trovo molto importante cercare di coinvolgere la manodopera locale.
OB: Se ho capito bene lei ritiene questo un buon progetto dal punto di vista tecnico ma una occasione perduta per la Bosnia dal punto di vista culturale e politico? O ritiene che la Bosnia non sia ancora pronta per la ricostruzione del Ponte di Mostar?
GP: Sì, penso che la Bosnia non sia ancora veramente pronta. Penso che ci sarebbe voluto più tempo per integrare meglio la complessità di un progetto di tale importanza. Non siamo molto lontani dalla fine della guerra, e anche se i giornalisti spesso dicono che questa ricostruzione va per le lunghe, e si interrogano sul perché non si procede più velocemente, penso che occorra del tempo. Bisogna che il Paese si rimetta in piedi, ci sono ancora molti problemi da risolvere e io penso che sia ancora presto perchè la Bosnia si lanci in un progetto così complicato. Sfortunatamente il Paese è stato sottoposto ad una grande pressione per portare a termine il progetto velocemente.
Segue la trascrizione dell’intervento di Gilles Péqueux a cura de ”Le Courrier des Balkans”
Redatto da: Cyril Groenneberg
Traduzione: Carlo Dall’Asta
Sono arrivato in Bosnia-Erzegovina nel 1994, con l'Unione Europea. Di formazione sono ingegnere. Nel 1994 era stata fatta la scommessa di far lavorare delle persone di Mostar Ovest e Mostar Est. Oltre ai sei o sette ponti di Mostar distrutti col vecchio Ponte (Stari Most), ho partecipato alla ricostruzione di ponti sulla Drava. Sono stato capo progetto per il ponte di Mitrovica, e ultimamente per il ponte di Novi Sad. Grazie alla mia esperienza precedente, le autorità di Mostar mi hanno affidato le sorti del progetto, che ha cominciato a definirsi a partire dall'Agosto 1998. Riguardo al tema del mio intervento, non entrerò nei dettagli tecnici della costruzione del ponte. Vorrei semplicemente cominciare col dire che così come a Dubrovnik la distruzione della città è stata vissuta come una grave aggressione, così a Mostar, la distruzione del Ponte e di buona parte della città è stata vissuta come un vero e proprio incubo. La distruzione del Ponte di Mostar è stata vissuta come talmente insopportabile che gli abitanti non hanno voluto vederla. Quando si inizia un simile progetto, bisogna immaginarsi che la gente vede il ponte così com’era. Il problema, è che il lutto della distruzione non è stato portato. Quello che è un po’ terribile in questo progetto, è il rapporto con una popolazione sopraffatta e una comunità internazionale che mette pressione per ricostruire il Ponte al fine di accelerare la riconciliazione.
Il pericolo a breve termine è che si rischia di ritrovarsi con un innesto che forse non attecchirà. La prima questione che si pone, è perché si ricostruisce il Ponte di Mostar e come. Innanzi tutto perché si ricostruisce il ponte. Si fa dapprima sul sito del Ponte una archeologia della struttura, poiché non esistono più tracce di questo ponte, o quasi più. Ma immaginiamo di trasportarci nello spazio di un istante nell’anno 2500, e che si veda questo ponte costruito nel 2003, o piuttosto ricostruito identico a com’era 150-200 anni dopo la caduta dell’Impero ottomano in questa parte dell’Europa. La questione sarà sapere perché questo ponte è stato distrutto e ricostruito identico, mentre l’Impero che l’ha costruito è scomparso. Ma oggi un altro problema che si pone è che tutto il mondo deve ritrovare il “suo” Ponte con le sue qualità e i suoi difetti. Sapendo che le pietre assemblate dalla ricostruzione del Ponte non cancelleranno il lutto del ponte distrutto. Sarà in qualche modo un “nuovo Ponte vecchio” ricostruito con le stesse tecniche di costruzione. Questo ponte sarà soprattutto quello dei “Mostarini” cioè quello degli abitanti che avevano conosciuto il vecchio ponte durante la loro vita.
Il progetto si situa più nell’atto stesso della ricostruzione, e nel modo di condurla: il ponte ricostruito non sarà né una copia, né una imitazione, ma uno stato dello spirito che si è cercato di ritrovare con l’archeologia della struttura. L’idea è di arrivare a ritrovare lo spirito di Hajruddin, Turco che è arrivato con due o tre altri Turchi e una trentina di persone della regione. Quello che bisogna considerare è che in Oriente c’è un modo diverso di tagliare la pietra rispetto all’Occidente (inteso fino a Venezia per l’Europa da questo punto di vista). L’aspetto emozionante di questa opera costruita nel Sedicesimo secolo è che è più vicina a una scultura collettiva che a un’opera d’arte classica. Dico scultura collettiva, perché la bellezza dell’opera risiede nel fatto che è un insieme di errori corretti con una mescolanza di procedure orientali e occidentali. Mostar è in qualche modo il luogo dove l’Oriente e l’Occidente si sono tesi la mano. E io penso che l’opera sarà riuscita se riusciremo a rimettere la gente a lavorare insieme con uno stato dello spirito comune. Personalmente, io sono abbastanza pessimista su questo punto. Ed è una delle ragioni per cui sono in disaccordo sullo stato di avanzamento del progetto.
Dibattito col pubblico
Intervento in sala: È importante precisare che voi avete aperto delle scuole di taglio della pietra.
Gilles PEQUEUX: Sì, è vero. Per me era importante che questo atto di ricostruzione fosse una riappropriazione. Non si trattava di far venire gente dall’Italia, dalla Germania o dalla Francia per costruire il ponte e andarsene dopo la costruzione. Ho dunque aperto una scuola di taglio della pietra con due sessioni di sei mesi per una quindicina di persone. Ci hanno impressionato, perché hanno mostrato un’energia fantastica. Si è lavorato volontariamente sulla storia delle tecniche a partire da uno studio dei monumenti religiosi. Il problema è che la Bosnia-Erzegovina è un Paese che tende ad essere considerato dagli altri Paesi come un mercato internazionale dove bisogna sapersi ritagliare uno spazio. Si rimprovera spesso a questo Paese di non aver saputo utilizzare il denaro che gli era stato generosamente assegnato. Io rimprovero alla comunità internazionale di aver distribuito soldi senza essersi veramente interessata a questo Paese.
Domanda: Perché pensa che la ricostruzione del Ponte sia votata al fallimento?
Gilles PEQUEUX: Per me rischia di essere un insuccesso perché il Ponte di Mostar è più un progetto politico che un progetto di ricostruzione. Non si è mai ricostruito un ponte simile, non lo si è mai fatto. E il problema è che la sola cosa che interessa alla comunità internazionale è l’inaugurazione del Ponte. Ma, come quando si vuole fare un bambino ci vogliono nove mesi per concepirlo, e non sei, se no non riesce, per il Ponte è uguale. Oggi, l’impresa che dirige i lavori, cioè che costruisce il Ponte, è turca, il capomastro è croato, con un po’ di Bosniaci. Notiamo che da parte croata c’è un po’ la volontà di redimere la “colpa” di avere distrutto il Ponte. Oggi, si è un po’ dimenticata la tecnicità dell’opera.
Domanda: Il problema è che la popolazione è stata esclusa dalla realizzazione del progetto?
Gilles PEQUEUX: Io sono fra quelli che pensano che le grandi opere nascono dalle grandi potenze. Il Ponte di Mostar è nato dall’espansione dell’Impero ottomano. Per quanto riguarda il ruolo della popolazione, lei ha perfettamente ragione. C’è bisogno di avere un ritorno sul progetto. Le autorità di Mostar sono un po’ vittime delle pressioni della Banca Mondiale. La “comunità internazionale” si pone due questioni per lei fondamentali: 1) l’aiuto costa caro. 2) A partire da questo, come si fa a partire al più presto per non pagare troppo. La strategia è dunque: si ricostruisce il ponte nel periodo più breve e si va via. Ora, la ricostruzione è un momento storico, nel senso che è qualcosa che prende del tempo.
Boris NAJMAN (
Vice presidente della associazione Sarajevo): La ricostruzione non ha avuto come oggetto di considerare le vittime come le prime destinatarie della ricostruzione.
Domanda: A che fase siamo della ricostruzione?
Gilles PEQUEUX: Il contratto del cantiere è stato firmato nel settembre 2002. Da parte mia, io ho concluso il mio contratto a fine febbraio 2003 con la messa in opera del progetto cominciato nell’agosto 1998. Oggi le fondamenta sono fatte, e i primi elementi dell’arcata saranno posati nel mese di marzo 2003. Il progetto dovrebbe essere portato a termine da qui alla fine dell’anno. Le autorità politiche di Mostar seguono le indicazioni date dalla Banca Mondiale.
Domanda: Che ne è del progetto della scuola di tagliapietre?
Gilles PEQUEUX: Il progetto è molto avanzato a quel livello, e io penso che le autorità non si siano augurate più di tanto che io resti, forse perché hanno paura che ciò rallenti il progetto. L’ambasciatore francese ha preso bene nota che le autorità di Mostar non desiderano che la Francia continui a impegnarsi in questo progetto. È un peccato, perché Mostar avrebbe potuto essere iscritta come patrimonio mondiale dell’umanità dall’U.N.E.S.C.O., la cui sede è a Parigi. I tagliapietre di Mostar conoscono bene il lavoro della pietra e padroneggiano la loro tecnica, ma le autorità di Mostar e la Banca Mondiale hanno deciso che i tagliapietre turchi erano meno cari. Io ci tengo a ringraziare ugualmente l’ambasciatore di Francia per avermi sostenuto fino alla fine.
Domanda: Che cosa pensate della ricostruzione di Mostar nel suo insieme?
Gilles PEQUEUX: Voi forse sapete che l’U.N.E.S.C.O. ha pubblicato un piano di ricostruzione della “Stari grad” (città vecchia). Ora, sapete com’è la situazione economica e sociale della città di Mostar. Ci sono molte costruzioni abusive. Io penso che se resta una possibilità di preservare la città dall’anarchia della ricostruzione, questa sarebbe l’iscrizione della città al patrimonio mondiale dell’umanità da parte dell’U.N.E.S.C.O. E al livello della ricostruzione del Ponte, il ruolo dell’U.N.E.S.C.O. avrebbe dovuto essere quello di dire quali sono le scelte del progetto che fanno sì che si resti vicini allo spirito della costruzione originale, cioè in effetti l’assenza di standardizzazione. Bisogna sapere dire qualche volta: “Non so e lascio fare ai tagliapietre” dandogli fiducia, come si è fatto all’epoca della costruzione del Ponte originale. Contemporaneamente ponendosi domande più pertinenti come: “Faccio la malta con tecniche tradizionali o con tecniche moderne?”