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Srebrenica: ieri il massacro, oggi il saccheggio

18.07.2003   

Pubblichiamo il terzo di una serie di tre articoli relativi all'anniversario della strage di Srebrenica. Articolo selezionato e curato da Notizie Est.
Donne di Srebrenica nelle miniere
Venerdì 11 luglio 2003, ottavo anniversario. L'11 luglio del 1995, al termine di un lungo assedio, le truppe del generale Mladic irrompevano nella piccola enclave della Bosnia Orientale, dichiarata "area protetta" dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e, sotto gli occhi dei caschi blu olandesi presenti (il "Dutchbat"), deportavano le donne e avviavano il massacro degli uomini. Migliaia di vittime – ancora oggi manca un numero preciso – seppellite in fosse comuni in varie località della Bosnia orientale, sono state identificate e riesumate negli anni successivi per essere sepolte nel memoriale edificato in località Potocari, Srebrenica, luogo delle stragi di quei giorni di luglio del 1995.

Srebrenica è il più grande massacro avvenuto in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale, rappresenta simbolicamente la vittoria dei nazionalisti e la sconfitta delle Nazioni Unite. Per anni i/le sopravvissuti/e hanno denunciato quanto avvenuto. Recentemente (maggio 2003) due alti ufficiali serbo bosniaci accusati di genocidio per quei fatti, Momir Nikolic e Dragan Obrenovic, hanno deciso di collaborare con il Tribunale Internazionale dell'Aja raccontando nel dettaglio quanto è successo.

Le donne, deportate otto anni fa, oggi vivono ancora in gran parte in centri collettivi, rifugi di fortuna o case abbandonate nella Entità croato musulmana della Bosnia. Oggi sono poste di fronte ad una secca alternativa: rientrare nelle proprie case a Srebrenica e nei villaggi circostanti o restare nei luoghi dove in questi anni hanno cercato di ricostruire la propria vita. Per quelle che sceglieranno di restare, non ci saranno aiuti. Questa è la legge della comunità internazionale: secondo gli accordi di Dayton infatti, tutti devono rientrare nelle case che abitavano prima della guerra.

Abbiamo deciso di ricordare questo anniversario in forma insolita, pubblicando due contributi scritti da volontari italiani che vivono in Bosnia, Valentina Pellizzer e Michele Trainati, impegnati a fianco di una delle comunità di donne di Srebrenica. Raccontano come hanno vissuto queste giornate e perché hanno deciso – rispettivamente – di non partecipare e di partecipare al funerale collettivo organizzato nel memoriale di Potocari la settimana scorsa nel giorno dell'anniversario. Chiude questa serie di tre articoli la traduzione – a cura di Notizie Est – di un editoriale pubblicato nei giorni scorsi dal settimanale bosniaco Dani che descrive la situazione di Srebrenica oggi.






[...] La miniera Sasa [di Srebrenica] prima della guerra era un collettivo di lavoro di grandi dimensioni e importante per l'intera repubblica, mentre oggi sta definitivamente morendo, dopo essere finita nella rete dei saccheggi politico-mafiosi.


Mentre ci dirigiamo dalla miniera Sasa verso Bratunac, ci fermiamo presso un gruppo di minatori che guardavano preoccupati il fiume Saska. Ci spiegano che quel piccolo fiume proviene dalla miniera e che quando c'è tempo sereno non dovrebbe assolutamente essere così torbido, quasi bianco: "Siamo venuti a sapere che hanno cominciato a portare via le rotaie e questo fenomeno ne è la dimostrazione. Se cominceranno ad asportare anche i muri divisori, fatti di acciaio temprato fabbricato a Zenica e capaci di resistere a enormi pressioni, tutto crollerà".

Continuando per la nostra strada ci siamo accorti che il guidatore di una Golf che avevamo già incontrato in precedenza cerca di non farci passare avanti. All'improvviso ci siamo resi conto che si tratta di Krstan Rankic, un minatore pensionato sette anni fa. Dato che durante tale periodo non aveva alcun motivo valido per rimanere nella miniera inattiva, è sicuro, secondo quanto hanno spiegato i minatori, che il direttore della miniera, Vukajlovic, lo ha ingaggiato per smontare gli impianti e per svolgere servizi "informativi".

Il giorno successivo la nostra équipe si è recata molto più presto fino al già menzionato piccolo fiume, senza essere accompagnata da alcun minatore, e ha potuto osservare gli sviluppi della situazione. L'acqua era assolutamente pulita, ma solo dopo un'ora è diventata nuovamente torbida. Era tutto chiaro.

Abbiamo cominciato a occuparci di questo tema dopo l'invito urgente che ci è stato rivolto da un gruppo di minatori di Srebrenica in cassa integrazione, altrimenti serbi locali: "Qui è in atto un vero e proprio saccheggio milionario, che sta distruggendo definitivamente la miniera. Di notte i camion portano via i macchinari smontati e gli altri impianti. Ci siamo rivolti ai dirigenti del comune, alla polizia e alla magistratura, ma come in moltissimi casi analoghi negli ultimi cinque anni, durante il governo despotico del direttore Miodrag Vukajlovic, tutto è stato inutile. Gode della protezione delle alte sfere di Banja Luka. L'unica speranza che ci rimane e che l'opinione pubblica venga a conoscenza di tutto questo".

OMICIDIO COLLETTIVO

La miniera Sasa prima della guerra aveva circa 1.800 dipendenti. Di questi, 400 erano minatori. Disponevano dei più moderni macchinari e attrezzature di scavo, carico e trasporto fino all'edificio per la flottazione. In quest'ultimo venivano realizzati i concentrati di zinco e piombo. Lo zinco veniva consegnato alla Zorka di Sabac e il concentrato di piombo a Trepca, dove con un altra procedura dal piombo veniva separata una determinata percentuale di argento e oro. Si trattava di un'azienda stabile e redditizia, che alimentava il bilancio finanziario della Bosnia-Erzegovina.

Durante la guerra la miniera ha cessato le sue attività produttive e nel corso di tale periodo si sono alternati i suoi proprietari: l'Esercito della Republika Srpska e l'Esercito della Bosnia-Erzegovina. Tuttavia, consci del suo valore e della sua importanza, nessuno di loro le ha arrecato danni. Dopo la guerra la produzione è ripresa in minima parte e, fatta eccezione per un'interruzione di 11 mesi, è proseguita fino all'inizio dell'anno scorso, quando è stata definitivamente sospesa e circa 120 minatori sono entrati in cassa integrazione. Nel frattempo questi ultimi hanno organizzato proteste, tavole rotonde, hanno inviato petizioni a Banja Luka, segnalando a chi di competenza, e anche a chi non di competenza, che il collettivo poteva riprendere le sue attività, stante la condizione che venisse rimosso il direttore Miodrag Vukajlovic, che ai tempi della crisi più forte era riuscito a mettere le mani sul nuovo palazzo nella via Sekovica e su numerosi altri beni.

Tuttavia, prima il governo di Ivanic e poi quello di Mikerevic hanno protetto Vukajlovic come un vero e proprio pupillo. Perfino quando i debiti e i relativi interessi, in assenza di ogni investimento, hanno raggiunto 10 milioni di KM (marchi convertibili). E anche adesso, quando tutte le istituzioni sono state avvertite del fatto che dalla miniera, di notte, vengono portati via di nascosto i macchinari e gli impianti smontati, con il rischio di distruggerla definitivamente.

Dusan Stojanovic, quando ancora lavorava, scavava nella prima cella e, come la maggior parte dei suoi colleghi, è stato costretto a cercare una fonte di reddito lavorando come giornaliero nel settore edile, ma di lavoro ne ha ben poco, perché nella municipalità di Srebrenica tale settore è in agonia. "Nonostante tutti i problemi che in questi anni ci sono stati causati dal direttore Vukajlovic e dalle persone che lo proteggono, non sarei mai arrivato a pensare che fossero pronti anche a tale colpo finale. Per questo mi sono recato con un gruppo di colleghi al villaggio di Biljac, nei pressi della minera, per vedere di cosa si tratta. E abbiamo avuto di che vedere. Intorno alle 22 abbiamo visto venire dalla direzione della Sasa un convoglio di camion. Erano tre mezzi con rimorchio che abbiamo cominciato a osservare. Quando il nostro amico che guidava ha acceso gli abbaglianti mi sono reso conto di cosa si trattava. Stavano trasportando le nostre KAV, macchine da carico per miniera, di produzione svedese, modernissime ed eccezionalmente costose. Alcune persone del comune ci hanno confermato di sapere che smontano i macchinari e li portano via. Quando gli domandiamo perché non reagiscono e non impediscono il saccheggio, non rispondono. Poi veniamo a sapere che dalla miniera stanno portando via le rotaie e le vendono per quattro soldi. Stanno distruggendo la miniera, è la nostra fine. Perché se si dovesse riprendere la produzione, dovremmo ricominciare da zero, come se dovessimo scavare una nuova miniera sul colle. E anche quelle poche speranze che ancora nutrivamo, stanno scomparendo. Non ho ancora ricevuto gli ultimi nove stipendi che mi sono guadagnato. Cosa dobbiamo fare - nutrirci dell'erba dei campi? Ho detto a Vukajlovic, quando lo ho incontrato, che nemmeno suo figlio potrà avere fortuna se il mio rimarrà affamato".

E' simile anche il racconto di Radoslav Eric, che ha lavorato nella miniera per due decenni. Anche lui ha potuto constatare con i propri occhi come i macchinari, le rotaie e i vagoni stiano scomparendo: "Mi meraviglio del fatto che quelli di Banja Luka, dove siamo andati in gruppo, non abbiano fatto assolutamente niente nonostante le numerose promesse. Ma che governo abbiamo mai? Non è possibile lasciare così per la strada decine di colleghi ai quali manca poco alla pensione, che comunque non riceveranno mai. Non c'è nessuno che venga qui e che si mostri in qualche modo preoccupato".

IL RICICLAGGIO DEI SOLDI

Passando per Srebrenica ci siamo fermati a parlare con un gruppo di rimpatriati bosgnacchi. Anche loro ce l'hanno su con il proprio governo e ricordano che in questi giorni, o meglio, in queste notti, si sta portando a termine qui il saccheggio del complesso per la lavorazione del legno Zeleni Jadar. Fino alla guerra vi lavorava più di un migliaio di operai e la maggior parte della produzione, per anni, è stata acquistata dai partner americani. E' un fatto che prima del ritorno dei bosgnacchi una quota di tale azienda è stata privatizzata, ma la quota maggiore rimane pubblica e ora proprio da lì stanno portando via le presse e i macchinari, per venderli come ferro vecchio.

"Qui sfilano statisti esteri, si tengono conferenze dei donatori, ci promettono sempre un futuro radioso, ma finora i rimpatriati non hanno visto nulla di tutto questo. Questi saccheggi, ai quali assistono tacendo sia i funzionari locali che quelli esteri, sono un chiaro messaggio e dicono che qui sono stati uccisi sia il passato che il futuro. Ma questo non impedisce che ai dipendenti di UNDP e OHR ogni mese venga pagato un enorme stipendio, mentre il popolo fa la fame", ci dice arrabbiato uno dei rari giovani rimpatriati nella città.

E' noto che nei vari piani di ritorno e di rinnovo, locali ed esteri, a Srebrenica viene riservato il posto più importante, ma è altrettanto noto che la città è uno dei maggiori centri di riciclaggio del denaro nazionale e internazionale e che i rimpatriati non ne guadagnano nemmeno un centesimo. Non solo non vengono aperti nuovi posti di lavoro, ma la maggior parte di quello che è stato realizzato fino a oggi viene chiuso. Questa città, se si può usare questa definizione per un posto fatto di macerie in centro e di quartieri per la maggior parte spettralmente deserti, non ha una macelleria, un laboratorio fotografico, un negozio di mobili...

Il sindaco Abdurahman Malkic ha dichiarato pomposamente, dopo avere assunto la carica, che ci sarebbero stati migliaia di rimpatriati, nuove case, nuovi posti di lavoro. Ovviamente di tutto questo non si è visto ancora nulla e poiché non vive a Srebrenica, bensì a Sarajevo, Malkic non ha bisogno di presentare i conti ai propri "concittadini". Anche il presidente del consiglio comunale, dr. Pavlovic, viene al lavoro da Bajina Basta. Complessivamente, a Srebrenica circa il 70% dei quadri serbi e il 99% di quelli bosgnacchi sono funzionari "in trasferta". E' evidente che in quanto tali preferiscano i partiti politici più forti, sia dall'una che dall'altra parte. Da quando per lo "zelo" di cui ha dato prova a Srebrenica è stato premiato con una carica statale nella capitale, Radivojevic non ne vuole assolutamente sapere di tornare a Srebrenica. "E' un posto troppo stretto per le sue limousine e la sua scorta", commentano i locali. E' identico il caso di Sefket Hafizovic, ex sindaco e ora vicepresidente del parlamento della Republika Srpska. Bisogna tuttavia menzionare il fatto che Hafizovic in passato ha cercato, in modo più sincero ed efficace di tutti i funzionari della SDA, di fare qualcosa per il bene di Srebrenica. Per questo tutte le rimostranze dei rimpatriati si sono rivolte per mezzo anno contro Banja Luka, dalla quale ci si attendeva, invano, almeno un alito di costruttività e di miglioramento. Ma anche quella speranza è andata persa, e il perché ce lo spiegano così: "Sefket andava bene, ma non ha saputo resistere ai piaceri e ai vantaggi che Dragan Cavic gli ha offerto a Banja Luka, per evitare di vedersi ancora mettere Srebrenica all'ordine del giorno".

Andandocene da Srebrenica veniamo salutati da una dolorosa ironia. Il memoriale di Potocari, in costruzione, è l'unico cantiere e l'unico segno di vita, che però pulserà solo fino all'11 di luglio cioè la data in cui Paddy Ashdown e gli altri funzionari internazionali verranno a rendere onore alle vittime. E condivideranno il dolore con gli abitanti di Srebrenica sopravvissuti. E prometteranno nuove "meraviglie del ritorno" ai rimpatriati. Che quel giorno a Srebrenica saranno come minimo diminuiti di alcune decine rispetto a oggi.

Hasan Hadzic - ("Dani" [Sarajevo], 27 giugno 2003), selezione e traduzione a cura di Notizie Est

Vedi anche:

Dossier OB Srebrenica
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