Alcuni analisti l’hanno chiamato ‘genocidio leggero’, ‘morte civile’, ‘genocidio amministrativo’. E’ il destino delle 30.000 persone che nel febbraio del 1992 vennero cancellate dai registri di residenza in Slovenia. Un articolo di Donald F. Reindl (Radio Free Europe). Traduzione a cura di Davide Sighele.
I cancellati
Il vocabolario politico sloveno è pieno di espressioni del tutto peculiari la cui semplicità svia dal forte portato storico che hanno. Ad esempio la parola “pregnanci”, espulsi, sono i 63.000 sloveni deportati con la forza dalle potenze dell’Asse durante la Seconda Guerra Mondiale, “optanti”, coloro i quali scelgono, sono i 130.000 italiani che hanno abbandonato la cosiddetta zona B della regione di Trieste quando quest’ultima è stata annessa alla Jugoslavia, nel 1954.
Un nuovo termine è stato aggiunto a questo lessico nel 1992: “izbrisani”, cancellati. Il 26 febbraio di quell’anno le autorità slovene hanno cancellato dagli archivi ufficiali tutti i non-sloveni che si erano rifiutati di richiedere la cittadinanza della neo-nata Slovenia.
Le ragioni per le quali molti hanno deciso di non richiedere la nuova cittadinanza erano varie. Molti appartenevano alle classi meno agiate e non erano nemmeno a conoscenza della necessità di farlo. Altri avevano la fedina penale sporca ed erano riluttanti a contattare le autorità. Per alcuni era invece una scelta di principio, rimanevano legati alla vecchia Jugoslavia e rifiutavano l’idea di una Slovenia indipendente. Un terzo di coloro i quali vennero cancellati dai registri ufficiali lasciarono il Paese, ma 18.000 rimasero pur restando il loro status giuridico del tutto indefinito.
Sotto pressioni dell’Unione Europea nel 1999 la Slovenia adottò una legge per regolarizzare la situazione degli “izbrisani” e dare a loro una seconda opportunità. Dovevano dimostrare che risiedevano in modo permanente in Slovenia prima della sua indipendenza ed anche attualmente.
Questo portò alla regolarizzazione della situazione di altre 12.000 persone. 7.000 di queste ricevette la cittadinanza, 4.800 un permesso di soggiorno permanente o temporaneo. Molti però criticarono i soli tre mesi dati a chi voleva richiedere la regolarizzazione. Troppo poco tempo per poter ottenere da una burocrazia non certo fluida tutta la documentazione necessaria.
Un’intervista pubblicata su “Delo” lo scorso 18 aprile a Aleksandar Todorovic, presidente di un’associazione che raggruppa i “cancellati”, sottolinea come sia molto ambiguo il sentimento che questi ultimi provano per la Slovenia. “Io stesso ad esempio non ho richiesto la regolarizzazione perché avrebbe significato tradire ciò che sono” ha dichiarato Todorovic. “Sono uno straniero con residenza permanente in Slovenia, e questo voglio rimanere”.
Una nuova legge dibattuta in queste settimane in Parlamento garantirà il permesso di soggiorno permanente a quasi tutti i rimanenti "izbrisani". Ve ne sono ancora circa 4.200 dalla fatidica cancellazione avvenuta nel 1992. resterà fuori solo chi si è macchiato di crimini contro lo Stato o contro l’umanità. Questa “terza opportunità” agirà come una sorta di coperta, sarà retroattiva e non si baserà sull’approccio caso per caso.
Le cancellazioni del 1992 hanno creato diverso imbarazzo ad una Slovenia che altrimenti è ritenuta sostanzialmente rispettosa dei diritti umani fondamentali. Ed ha causato conseguenze sociali senza dubbio poco piacevoli per chi decise di non richiedere la cittadinanza. Vennero confiscate patenti di guida e carte d’identità, l’assistenza sanitaria revocata e cure mediche potevano avvenire solo a pagamento. Naturalmente questa situazione era incomparabile con le atrocità che avvenivano in altri luoghi della Jugoslavia ma alcuni non hanno esitato a definire queste cancellazioni come “morte civile”, “genocidio amministrativo”, “genocidio soffice”.
Jasminka Dedic, ricercatrice presso il Centro della Pace di Lubiana, recentemente ha notato come le cancellazioni abbiano riguardato in particolare cittadini non appartenenti alla comunità slovena e quindi sono risultate discriminatorie sia dal punto di vista etnico che sociale, in particolare colpendo Rom ed ufficiali dell’esercito jugoslavo. La Dedic osserva anche come la Slovenia differisce dagli altri Stati post-comunisti dove i residenti di lungo periodo non-naturalizzati non sono stati privati del loro status anche se è stato per loro molto difficile ottenere la cittadinanza (vedi i russi in Estonia o i rom slovacchi nella Repubblica Ceca).
D’altro canto molti sloveni non sono soddisfatti delle concessioni che vengono fatte agli “izbrisani”. Il Partito della Nazione Slovena, non rappresentato in Parlamento, ha spesso descritto i “cancellati” quali traditori che hanno abbandonato la Slovenia nel 1991 con la speranza che venisse riconquistata dall’esercito jugoslavo e per poi rientrare e avvantaggiarsi dalla scelta fatta. Sono stati molteplici i tentativi di indire un referendum popolare sulla questione, finiti poi nel nulla.
I partiti dell’opposizione ammoniscono che i “cancellati” potrebbero trarre enormi vantaggi dalla nuova legge arrivando a richiedere tre miliardi di dollari di danni. Lo riporta il quotidiano Delo del 29 ottobre. Maida Zupan del Nuovo Partito Sloveno (Nsi) ricorda che ogni cittadino sloveno sarebbe ipoteticamente chiamato a pagare a testa in media 1500 dollari, una cifra ben al di sopra della paga media mensile. La dichiarazione è riportata dal sito di informazione 24ur.com. Il Partito Nazionale Sloveno, che si colloca a destra nello spettro politico del Paese, ha condannato apertamente la proposta di legge affermando che ricompensa coloro i quali hanno complottato contro il futuro della Slovenia.
“La Lista Unitaria dei Socialdemocratici (ZLSD), assieme agli altri partiti della coalizione di governo, è favorevole ad una soluzione definitiva della questione nell’ottica del rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto” ha affermato Milan Potrc, a capo del ZLSD, in un comunicato stampa del 10 ottobre scorso.
Nonostante l’opposizione la legge dovrebbe riuscire ad ottenere il voto favorevole della maggioranza del Parlamento facendo così passare la questione degli “izbrisani” dal continuo dibattito pubblico ad una nota in fondo pagina nella storia slovena.