A breve la Romania entrerà nella NATO, uno degli obiettivi primari della politica estera di Bucarest sembra così essere presto raggiunto. Per l'Osservatorio sui Balcani scrive Mihaela Iordache
Un C-130 USA presso l'aeroporto militare di Costanza
Fra qualche mese, nella primavera del 2004, ad Istanbul, sette paesi ex-comunisti diventeranno membri a pieno titolo dell’Alleanza Nord atlantica. E’ la seconda volta dopo la caduta dei regimi comunisti dell’Est Europa che la Nato apre le porte a Paesi dell’Europa dell’est. Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia avevano infatti già preso il primo treno verso la NATO. Ora tocca a Romania, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia e Slovacchia giocarsi le proprie carte.
Per tutti i governi di Bucarest post-rivoluzione l’adesione alla Nato e all’Ue sono stati i due obiettivi principali di politica estera. Obiettivi non facili però da centrare e ci sono voluti 14 anni prima che la Romania fosse invitata ad aderire alla NATO. Dopo l’11 settembre la guerra mondiale contro il terrorismo dichiarata dagli Stati Uniti ha fatto sì che il Paese dei Carpazi, con sbocco sul Mar Nero, assumesse un’importanza geostrategica maggiore rispetto al passato.
L’apice dell’interesse si è raggiunto con la guerra contro l’Iraq quando la Romania e la Bulgaria hanno messo a disposizione delle truppe americane porti ed aeroporti sul Mar Nero. Qualche mese dopo la fine della missione americana nell’area, in ottobre, a Sofia, l’ammiraglio Gregory Johnson, comandante militare della NATO per l’Europa del Sud dichiarava: “Il Mar Nero diventerà una zona di importanza strategica per l’Alleanza Nord Atlantica, una volta conclusa l’adesione nel 2004 dei sette paesi candidati”. E l’ammiraglio americano continuava il discorso rivelando che la zona est del Mar Nero è sufficientemente vicina al nord dell’Iraq ed anche all’Iran per assicurare un intervento rapido ed efficace in una situazione di crisi.
La Romania è presente sotto il comando Nato in diverse zone post-conflitto: in Bosnia con 122 uomini, in Kosovo con 222. Attualmente i militari romeni impegnati in missioni estere sono 1900, la maggior parte in Iraq e Afghanistan. All’inizio del mese di dicembre, il sottosegretario alla difesa USA, Douglas Feith, assicurava a Bucarest: “negli ultimi anni gli Usa hanno sviluppato con la Romania rapporti molto stretti sui problemi della difesa” citando come esempio le missioni contro il terrorismo in Afghanistan e l’Iraq. Quindi, ha aggiunto Feith, “il fatto che la Romania ed altri Paesi entreranno nella NATO é il punto di partenza per ripensare la collocazione delle truppe USA in Europa e nel mondo”.
Le truppe americane saranno con tutta probabilità spostate in centri più piccoli, meno costosi, dotate di equipaggiamenti non ingombranti, capaci di dispiegarsi rapidamente in zone come il Medio Oriente, i Balcani o l’Asia Centrale. Tra i Paesi che potrebbero ospitare basi americane si sono fatti spesso i nomi della Polonia, Romania, Bulgaria. Sarà il più ampio spostamento dopo la seconda guerra mondiale. Ne è convinto assertore il Presidente americano, George Bush, che ha dichiarato di recente: “Paesi come Germania, Giappone o Corea del Sud che hanno ospitato negli ultimi 50 anni centinaia di migliaia di soldati americani constateranno che il Pentagono concentra ora la sua attenzione verso altre zone di interesse”.
Ora gli Stati Uniti vogliono spostare le basi per motivi geostrategici ma anche economici. “Gli Usa non hanno più bisogno di basi molto grandi così come era necessario durante la guerra fredda” ha ribadito lo stesso sottosegretario alla difesa americana, Douglas Feith. Per quanto riguarda le future e possibili basi americane in Romania finora, secondo le autorita competenti, si è parlato solo in termini generali. Il ministero romeno della Difesa ha già messo a disposizione della NATO un catalogo intitolato “Host Nation Support” che descrive le infrastrutture e i servizi di cui potrebbero usufruire i militari americani. Secondo fonti citate dal quotidiano “Ziua” di Bucarest, in una prima fase la Romania dovrebbe mettere a disposizione località dove alloggiare ed addestrare alcune migliaia di militari delle truppe terrestri ed offrire, allo stesso tempo, servizi per aerei da trasporto presso l’aeroporto internazionale Otopeni (Bucarest) e Mihail Kogalniceanu (Costanza) e servizi per le navi dell’esercito USA presso il porto di Costanza, sul Mar Nero. Non c’è sino ad ora però ancora nulla di concreto. I negozianti tra gli Usa e la Romania riprenderanno nel gennaio 2004.
Nel frattempo la Romania continua la sua riforma in ambito militare. Una riforma apprezzata dagli organismi internazionali, gli stessi che non hanno esitato a criticare la corruzione, la burocrazia e non ultima, la futura sicurezza degli archivi Nato. L’allargamento NATO presuppone, tra l’altro, che i Paesi che l’anno prossimo diventeranno membri dell’Alleanza risolvano prima i problemi legati al loro passato. Sarebbe quindi preferibile che gli ufficiali dei servizi che hanno avuto legami con la polizia politica degli ex regimi comunisti non rimanessero più in tali strutture una volta entrati nella NATO.
La NATO non ha ancora emesso alcun documento ufficiale in tale senso, ma ripetutamente i suoi rappresentanti hanno avvertito i futuri membri di chiarire ogni aspetto prima dell’allargamento. In fin dei conti è anche una questione di moralità e di fiducia reciproca e ogni sospetto che riguarda la conservazione dei segreti NATO dev’essere eliminata fin dall’inizio. Ma non è facile per i Paesi ex comunisti staccarsi da determinate strutture del passato. E quando si tratta di persone le cose si complicano ulteriormente. La voce della società civile di questi paesi dell’Europa dell’Est si è alzata più di una volta contro il mantenimento nelle strutture dello stato degli ex rappresentanti del partito comunista. Stavolta i conti si fanno con i servizi segreti, dove sembra, almeno giudicando dagli articoli di stampa, che ci siano tuttora ufficiali che hanno avuto a che fare con la polizia politica.
Quella polizia che per anni ha seguito, spiato e perseguito tutti coloro che si pronunciavano contro i regimi comunisti d’allora e che ha mandato in prigione migliaia di persone, e non poche furono quelle che così trovarono la morte. Nei Paesi ex comunisti ormai esistono istituti democratici che sono entrati in possesso degli archivi dei servizi segreti. Da un Paese all’altro però la normativa in merito all’accesso agli archivi varia. In Germania è l’Istituto Gauk a detenere tutti gli archivi dell’ex Stasi mentre in Romania il Consiglio nazionale per lo studio degli archivi è in possesso solo di una piccola parte dei dossier, essendo la maggior parte gestita ancora dai servizi d’informazione romeni.
Ultimamente ci sono state sempre più polemiche legate ai servizi d’informazione dei Paesi che stanno per entrare nella NATO. In Romania il Presidente della commissione parlamentare di controllo sull’attività del Servizio Romeno di Informazioni (SRI) ha criticato qualche mese fa in termini duri ed inattesi l’istituzione. Il deputato Ion Stan, rappresentante del PSD (Partito Sociale Democratico) al governo in Romania, accusava il servizio romeno di non aver espulso gli ex “securisti”, cioè coloro che facevano parte della polizia politica del regime comunista. Casi simili che facevano riferimento ad ex ufficiali dei servizi segreti comunisti si sono verificati anche in Bulgaria, Estonia e Slovacchia.
Se nel campo dei servizi segreti le riforme sembrano proseguire lentamente così non è per quanto riguarda il ridimensionamento del personale impiegato nel settore della difesa. Secondo il documento strategico “Forza Obiettivo 2007”, elaborato dal ministero romeno della Difesa e che dovrà ricevere il parere favorevole dal Consiglio supremo per la difesa del Paese, le forze armate romene ridurranno gli effettivi di 50.000 unità entro il 2007. Negli anni ‘90 le forze armate romene disponevano di 320.000 effettivi, scesi nel 2000 a 180.000 e poi, nel 2003, a 140.000 (112.000 dipendenti militari e 28.000 civili). Di queste 140.000 persone, 50.000 verranno negli anni prossimi licenziati. Costano troppo allo Stato e l’opzione è quella di andare verso l’esercito professionista. L’obiettivo finale è di arrivare, nel 2007, ad un effettivo di non più di 90.000 persone tra militari e civili.
Per le migliaia di militari che dovranno lasciare il servizio lo Stato ha promosso un sistema di reintegrazione (riconversione) socio-professionale che li assiste e promuove attività imprenditoriali. Assistenza sino ad ora rimasta solo teoria. Solo l’1% dei 30.000 militari che hanno perso il lavoro è riuscito ad avviare attività imprenditoriali. Per esempio un colonnello della riserva ha ora la sua piccola impresa che produce bandiere, tende ed altro materiale tessile. Un altro, appassionato di musica, ha aperto uno studio di registrazione. Ma sono solo eccezioni.
La riforma dell’esercito però continua. Il primo ministro, Adrian Nastase, ha annunciato che anche l’anno prossimo sarà allocato il 2,38% dal PIL per la difesa. Ed ha aggiunto che vi sarebbero anche buone prospettive per aumentare gli stipendi dei militari. Inoltre nella riforma è contemplato anche l’acquisto di mezzi più moderni, capaci di far fronte alle esigenze della Nato.
La Romania passerà entro il 2007 al servizio militare su base volontaria. Anche la nuova costituzione apre la via verso l’esercito professionista e si attende una legge che regolamenti in modo organico la materia. Per il momento il disegno di legge promosso dal ministero dell’Amministrazione e degli Interni ha scatenato polemiche da parte del ministro della Difesa, Ioan Mircea Pascu. La proposta di legge istituirebbe la possibilità di non prestare il servizio di leva ai giovani in rgado di pagare l’equivalente di 15 salari minimi, cioè 37 milioni di lei (circa 625 euro). Una cifra che però pochi sono in grado di permettersi. La proposta è stata criticata anche dalla stampa romena che ritiene che la legge favorisca i giovani dei ceti abbienti. Lo stesso provvedimento propone la riduzione del servizio di leva da 12 a 9 mesi.
Fra qualche mese la Romania sarà parte integrante della NATO. Il suo desiderio di andare oltre i Balcani, di sedere al tavolo delle trattative magari all’inizio anche solo come osservatore si è compiuto. Molti ritengono che la possibile futura presenza di basi americane in Romania potrebbe portare un po’ di benessere con la creazione di posti di lavoro all’interno delle basi stesse e nell’indotto. Secondo i sondaggi in molti in Romania vedono nella Nato e nell’Ue una soluzione ai problemi economici che li attanagliano quotidianamente. Uno scenario però forse troppo ottimistico anche perché di miracoli, in Romania, sino ad ora se ne sono visti pochi davvero.
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