La Bosnia Erzegovina dopo Dayton: la posta in gioco sotto il profilo costituzionale e oltre. Questo il titolo del contributo inviatoci dal direttore del Forum per le Alternative Democratiche che interviene sul dibattito avviato dal documento ESI.
Di Cristophe Solioz*
Traduzione: Osservatorio sui Balcani
Ginevra, 16 gennaio 2003
*Christophe Solioz, direttore del Forum per le Alternative Democratiche Sarajevo/Genève/Bruxelles, e coordinatore della Associazione Bosnia Erzegovina 2005, si esprime qui a titolo individuale. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
La Costituzione, indubbiamente, occupa una posizione centrale in ogni processo di (ri)costruzione dello Stato, e questo vale in modo particolare nello spazio yugoslavo, dove le questioni costituzionali sono sempre state molto presenti al punto da giocare un ruolo preponderante nella distruzione dello stesso. Di qui la sua importanza anche nelle diverse iniziative diplomatiche della comunità internazionale: dalla conferenza dell'Aja (1991) all'accordo di Ohrid (2001), attraversando i diversi piani di pace (Cutilheiro nel 1992; Vance-Owen nel 1993; Owen-Stoltenberg nel 1993-94) e i negoziati (Washington nel 1994; Dayton nel 1995; Rambouillet nel 1999), le riforme o i progetti costituzionali hanno una importanza capitale.
Oggi molti, compreso l'attuale Alto Rappresentante Paddy Ashdown, riconoscono che gli accordi di Dayton hanno avuto certamente il vantaggio di porre fine alla guerra, ma che si sono rivelati inadatti alla costruzione di uno Stato. Tra le molte proposte avanzate per uscire da questa situazione di stallo, la nostra attenzione si è volta sulla recente analisi pubblicata dal gruppo berlinese di ricerca
European Stability Initiative (ESI)(1) che sostiene in apertura come "
Molti Bosniaci sono intrappolati – insoddisfatti dell'attuale sistema costituzionale, ma "(2) e prosegue affermando che la Bosnia Erzegovina ha avuto in questi ultimi anni pochi dibattiti in materia costituzionale(3). L'esortazione kantiana
sapere aude! non sarebbe quindi mai stata udita in Bosnia Erzegovina, Paese i cui cittadini sarebbero incapaci di servirsi del proprio intelletto? Ecco quanto ci siamo sempre rifiutati di pensare. Presupporre che i Bosniaci siano incapaci di portare avanti una tale riflessione riconduce ad ignorare non solo i numerosi dibattiti, ma anche i cambiamenti costituzionali operati in questi ultimi anni nel Paese… E lascia un po' dubbiosi tutti quelli che conoscono il rigore delle numerose analisi pubblicate da ESI nel passato recente.
Ricordiamo ugualmente, con brevità, che le prime modifiche costituzionali sono state intraprese nel 1996, allorquando le costituzioni delle entità – rispettivamente quella della Federazione e della Republika Srpska – sono state adattate una prima volta a quella dello Stato. A partire dal 1998, con il sostegno di numerose associazioni civiche bosniache, il Consiglio Civico Serbo proponeva con determinazione degli emendamenti costituzionali che postulavano la uguaglianza dei popoli costituenti e dei cittadini. Questi sforzi sono stati ricompensati nel luglio del 2000 quando la Corte Costituzionale della Bosnia Erzegovina ha respinto i paragrafi costituzionali in questione e denunciato le misure discriminatorie che favorivano in ciascuna entità il dominio di uno o più popoli sull'/sugli altro/i e, infine, ha dato rango costituzionale al principio della eguaglianza dei diversi popoli costituenti, esigendo le necessarie modifiche strutturali e istituzionali. Il 27 marzo 2002, i politici bosniaci firmano l'
Accordo Mrakovica Sarajevo: questo accordo attribuisce lo stesso status ai tre popoli costituenti così come a tutti i cittadini, e questo su tutto il territorio; soprattutto, comprende dei meccanismi che assicurano la protezione degli interessi di ogni comunità così come la loro rappresentanza negli organi decisionali; infine, obbliga le stesse costituzioni cantonali ad adottare queste modifiche costituzionali. Questo accordo testimonia della capacità dei politici in Bosnia Erzegovina di assumersi le proprie responsabilità così come della utilità dei meccanismi istituzionali presenti per superare gli accordi di Dayton… Il tutto facendo un buon utilizzo delle clausole degli stessi.
Avendo precisato quanto sopra, torniamo alla proposta formulata da ESI. L'idea di eliminare le entità, di per sé, è molto seducente: effettivamente, uno Stato costituito unicamente da dei forti cantoni permette di semplificare e di unificare un sistema federale non funzionale, di risolvere in particolare la questione del distretto di Brcko, ma anche di razionalizzare i costi dell'amministrazione così come del suo funzionamento(4). Senza voler qui discutere se si tratti di un ritorno al piano Vance-Owen (1993), si possono legittimamente nutrire dei dubbi sulla sua fattibilità, tanto più che ESI si guarda bene dal precisare il processo effettivo delle riforme costituzionali da intraprendere – a meno di non doversi immaginare una adesione e realizzazione automatica. Inoltre, il riferimento fatto al quadro costituzionale svizzero dimentica di sottolineare la circostanza essenziale che le suddivisioni politiche di questo Paese non corrispondono affatto ad una ripartizione linguistica e culturale; mentre in Bosnia Erzegovina c'è il rischio concreto di assistere al trasferimento della etnificazione dello spazio politico dal livello delle entità a quello dei cantoni. Se si volesse applicare in qualche modo il modello elvetico alla Bosnia Erzegovina, converrebbe allora prendere in considerazione una nuova strutturazione geopolitica e una diversa suddivisione dei cantoni – soluzione scartata da ESI.
Nell'affermare che spetta agli eletti bosniaci la negoziazione di un nuovo cambiamento costituzionale(5), la proposta ESI ha come effetto paradossale quello di rafforzare la sindrome di dipendenza – secondo la quale i Bosniaci aspettano dalla comunità internazionale che essa risolva le questioni ancora pendenti; sindrome menzionata del resto dal medesimo rapporto(6). Di conseguenza è a ragione che l'attuale Alto Rappresentante insiste sulla necessità di riforme costituzionali endogene: "
[…] solo i cittadini di questo Paese possono cambiare Dayton. […] Le riforme avranno come effetto di cambiare Dayton, non abbiamo bisogno di un principe azzurro(7)." Ci sembra in effetti inappropriato proporre una soluzione – per quanto possa essere interessante – dall'esterno, con l'illusione che un modello esogeno – fosse pure di ispirazione svizzera! – possa essere adeguato per la Bosnia Erzegovina.
La coincidenza tra la pubblicazione di questa proposta e l'iniziativa di eurodeputati che richiedono una revisione degli accordi di Dayton nel quadro della ennesima conferenza internazionale governativa, non è evidentemente casuale(8). Da parte nostra, piuttosto che immaginare su di una tale base una nuova conferenza internazionale – sul modello delle conferenze internazionali del secolo XIX che, ricordiamolo, sono alla base di molti dei conflitti nei Balcani - pensiamo sia più appropriato seguire la via delle riforme endogene, le uniche in definitiva in grado di superare progressivamente le contraddizioni e le insufficienze degli accordi di Dayton. Una conferenza internazionale di tipo diverso potrebbe permettere di prendere le misure di questo processo, e di formulare una ottimalizzazione dei cambiamenti in corso, in modo particolare nel settore del trasferimento progressivo alle autorità bosniache delle competenze e responsabilità assunte ancor oggi dai diversi attori della comunità internazionale presenti nel Paese(9). Il valore aggiunto di un tale approccio è di misura: il processo di riforma e di trasferimento implicano un partenariato e favoriscono un processo di appropriazione da parte degli attori bosniaci – elemento che ci sembra assolutamente fondamentale al fine di rompere la logica della dipendenza e di favorire una sovranità non importata ma con una propria legittimazione interna.
Certo, molte trasformazioni e riforme sono state intraprese sotto la coercizione e/o lo stimolo da parte della comunità internazionale; la Bosnia Erzegovina deve ora farle proprie adattandole. Evidentemente altre grandi iniziative restano ancora da intraprendere, in particolare lo sviluppo di uno Stato federale moderno e la soluzione di problemi economici lancinanti. L'integrazione europea peraltro – processo avviato con l'ingresso della Bosnia Erzegovina nel Consiglio d'Europa nell'aprile del 2002 – rappresenta certamente una leva per provocare le riforme necessarie, rappresenta
de facto il denominatore comune di tutti i Bosniaci e, in conclusione, rappresenta non l'utopia ma l'orizzonte di questo Paese.
1
Making Federalism Work – A Radical Proposal for Practical Reform, Berlin, ESI, 8 gennaio 2004.
2 Cfr il
testo pag. 1, paragrafo 2 (la sottolineatura è nostra).
3 Ibidem, pag. 10.
4 Del resto già formulata in termini simili da International Crisis Group nel 1999, cfr
Is Dayton Failing? Sarajevo, ICG Balkans Report no. 80, 28 octobre 1999, pag. 53.
5
Op. cit., p. 5.
6
Op. cit., p. 10.
7 Intervistato da Mirsad Sinanovic,
Ljiljan, Sarajevo, 9-16 gennaio 2004, pag. 18.
8 Vedi
il testo in questione.
9 E' questo uno degli
obiettivi che si è preposta la Associazione Bosnia Erzegovina 2005.
Vedi anche:
- Dayton ha fatto il suo tempo? - 2
- Dayton ha fatto il suo tempo?
- Come andarsene dalla Bosnia Erzegovina?
Vai al documento dell'European Stability Initiative (ESI)
Making Federalism work – a radical proposal for practical reform
Forum per le Alternative Democratiche
Vai al testo degli
Accordi di Dayton
Associazione Bosnia Erzegovina 2005