Lo stato post-comunista modello, una società civile organizzata, redditi sempre più vicini a quelli dell’Europa occidentale. Ma anche la Slovenia ha i suoi scheletri nell’armadio. Ed ora è obbligata a tirarli fuori. Una traduzione da TOL.
Un cartina della Slovenia
Di Ales Gaubes – TOL Traduzione a cura dell’Osservatorio sui Balcani
Slovenia, che sprizza qualità della vita, con un’economia forte, con una società civile ordinata e ben organizzata, la Slovena che più di una volta è stata citata come il Paese post-comunista perfetto. E’ molto più spesso associato ai suoi vicini, all’Austria, all’Italia piuttosto che alle Repubbliche della ex-Jugoslavia dalla quale ha dichiarato l’indipendenza nel 1991.
Ma recentemente, una crepa è apparsa nel tessuto sociale del Paese. Gli Sloveni sono dovuti scendere a patti con alcune verità scomode che sino ad ora erano rimaste, per la maggior parte, nascoste.
Almeno una di queste, sembra essere stata insabbiata di proposito. Il Parlamento sloveno è attualmente incastrato in un dibattito sui “cancellati”, 18.000 persone che, nel 1992, vennero privati della cittadinanza. In quell’occasione il Governo decise che non era stato rispettato il termine di sei mesi per estendere il loro permesso di residenza dopo la guerra di indipendenza terminata nel giugno del 1991. Revocò loro quindi i diritti di cittadinanza.
Ma nel 2000, la Corte costituzionale slovena, si dichiarò a favore del reintegro dei diritti di questi ex-cittadini, la maggior parte dei quali erano originari della Bosnia e della Serbia. Nell’aprile 2003 la Corte costituzionale fece un ulteriore passo e sancì che il reintegro dei loro diritti doveva essere retroattivo e quindi partire dal 26 febbraio del 1992.
I partiti d’opposizione ed almeno uno dei partiti della coalizione di Governo hanno protestato alacremente contro questa sentenza ed alcuni politici hanno messo in dubbio pubblicamente la lealtà alla Slovenia dei “cancellati”.
Ed un tentativo per organizzare, sulla questione, un referendum pubblico è stato bloccato la scorsa settimana dalla stessa Corte costituzionale che ha dichiarato che il quesito proposto era anticostituzionale.
Contemporaneamente un altro gruppo, i cui membri sono considerati da molti sloveni come “stranieri”, ha iniziato a farsi sentire. In febbraio, alcuni membri del consiglio municipale di Lubiana, hanno presentato una petizione sottoscritta da 12.000 cittadini contro la costruzione di una moschea ed adiacente centro culturale in città. Se costruita, sarebbe la prima moschea nel Paese, che ospita circa 50.000 musulmani.
La scorsa settimana il sindaco di Lubiana ha annunciato che non permetterà un referendum sulla questione.
Queste due questioni, entrambe indicative di come il Paese si rapporta con le minoranze, sono rpesto salite alla ribalta del dibattito politico in Slovenia, diventando un vero e propri incubo per le pubbliche relazioni del Paese in un momento in cui si sta finalizzando l’entrata nella NATO e nell’Unione europea.
Richieste incostituzionali
Secondo Neva Miklavzic-Predran, a capo del Comitato di Helsinki sloveno, a 120.000 sloveni sarebbero stati tolti i diritti di cittadinanza da parte del Ministero degli interni nel 1992. Le corti slovene invece riconoscono ufficialmente una cifra che si aggira attorno alle 18.000 unità.
Il gruppo che si batte per il rispetto dei diritti umani ha consegnato l’anno scorso, nelle mani del Commissario sui diritti umani del Consiglio d’Europa, Alvaro Gil-Robles, un rapporto dettagliato sulla questione. Il Commissario ha successivamente accusato la Slovenia di violazione dei diritti umani rispetto ai “cancellati”.
Il rapporto era il risultato di dieci anni di ricerche che hanno messo in luce quanto i “cancellati” abbiano subito situazioni di estrema difficoltà dopo essere stati privati dei propri diritti. In molti casi non riuscirono ad ottenere documenti personali o di viaggio quali ad esempio patenti di guida, carte d’identità, passaporti una volta che i documenti in loro possesso scadevano. Alcuni che si erano recati all’estero non riuscirono più a rientrare in Slovenia, anche persone che avevano vissuto nel Paese da più di trent’anni.
Due referendum sulla questione incombono
Il primo, previsto per il 4 aprile prossimo, riguarda la possibilità di garantire nuovamente i diritti di residenza di coloro i quali possono dimostrare che risiedevano legalmente in Slovenia prima del 1992. Il secondo, che poneva il quesito se garantire o meno anche coloro i quali non sono in grado di dimostrare alle autorità slovene che erano residenti nel Paese prima del 1992 diritti di residenza, è stato bloccato lo scorso 26 febbraio dalla corte costituzionale. Nello specifico la Corte ha contestato la costituzionalità di 5 dei 7 quesiti proposti. Gli unici due accettati sono quello che riguarda il termine per presentare domanda per ottenere la residenza permanente ed la possibilità o meno per persone che hanno operato contro lo stato sloveno durante il processo di indipendenza di ottenere la residenza permanente. I membri dei due partiti d’opposizione, i Democratici sloveni (SDS) e la Nuova Slovenia (NSi), che hanno promosso I quesiti referendari hanno dichiarato di averlo fatto poiché si oppongono ad una norma che garantisca i diritti di cittadinanza ai “cancellati” in modo retroattivo. Questo, affermano, obbligherà lo Stato a pagare ingenti risarcimenti. Il segretario dell’SDS, Janez Jansa, ha criticato le decisioni della Corte costituzionale ed ha assicurato che continuerà ha trovare modalità per impedire che leggi in linea con le sentenze della corte vengano approvate in Parlamento. Ciononostante, i partiti della coalizione di governo, i Liberal-democratici (LDS) e la Lista Unita dei Social-democratici (ZLSD), si sono dichiarati a favore della sentenza. Miran Ptrc, deputato del ZLSD, ha invitato i colleghi a raggiungere una decisione in merito il prima possibile. Non solo per evitare ulteriori violazioni dei diritti umani ma anche per salvare la faccia della Slovenia in campo internazionale. Il 26 febbraio, rappresentanti dei “cancellati” hanno sottolineato il 12mo anniversario della decisione del Ministero degli interni di cancellarli dai registri pubblici inviando una lettera al Commissario sui diritti umani per il Consiglio d’Europa Gil-Robles. Nella lettera si afferma che le uniche due istituzioni in Slovenia nelle quali ripongono la propria fiducia sono la Corte costituzionale e l’Ombudsman del governo.
Aleksandar Todorovic, Presidente dell’associazione dei “cancellati”, ha ricordato che la loro situazione sia divenuta una miccia accesa solo a causa delle elezioni parlamentari programmate per il prossimo mese di novembre.
“Siamo riusciti a divenire la questione politica principale in Slovenia” ha affermato. I commentatori politici ed i sondaggi d’opinione sembrano suffragare questa sua affermazione.
L’ultimo sondaggio, condotto dal Centro di Ricerca sull’Opinione Pubblica della Facoltà di Ricerca Sociale dell’Università di Lubiana ha mostrato come il sostegno al governo sia calato del 4% nell’ultimo mese. Il sostegno al partito principale di governo, l’LSD, è sceso dal 21% di gennaio, al 17% di febbraio. E’ invece in continua crescita il sostegno all’SDS, partito d’opposizione. Il direttore del centro, Niko Tos, attribuisce questi cambiamenti proprio al dibattito sui “cancellati”.
Quei maledetti documenti
In parte il dibattito si è incentrato anche su cosa avvenne 14 anni fa. Il 25 febbraio scorso il quotidiano Vecer ha pubblicato alcuni documenti del Ministero degli interni datati 1992 che dimostrano come i pubblici ufficiali dell’epoca erano consapevoli che la loro decisione avrebbe causato problemi. Il Ministero inviò dispacci speciali a tutti gli uffici sul territorio nei quali si davano indicazioni su come relazionarsi con le persone che erano state “cancellate”. “In questo periodo c’è da aspettarsi un certo numero di problemi con persone che diverranno stranieri a partire dal 28 febbraio del 1992 non avendo richiesto né la residenza temporanea né quella permanente. Vogliamo che prestiate attenzione al fatto che i documenti dei quali sono in possesso, anche se emessi da uffici competenti nel nostro Stato e anche se non scaduti, non sono più validi perché lo status di queste persone è cambiato”, è scritto in uno di questi documenti riportati da Vecer.
Il quotidiano ha inoltre confermato quanto veniva affermato anche dal Comitato di Helsinki: a molti vennero distrutte carte d’identità o passaporti da parte di impiegati comunali nel momento in cui si recavano presso gli uffici competenti per rinnovarli.
La polizia, inizialmente, era riluttante ad espellere i “nuovi stranieri”, riporta sempre il quotidiano, poiché ritenevano che tale azione fosse giustificata solo dopo che a qualcuno fosse comunicato, con documenti ufficiali, l’annullamento del diritto di residenza. Ma il governo insistette che i “cancellati” potessero essere espulsi in ogni caso. La polizia era così autorizzata a “scortare” i “cancellati” sino ai confini del Paese ed invitarli ad attraversarlo.
Il mondo sta osservando
E’ forse troppo tardi per la Slovenia di lavare i panni sporchi in casa e di evitare una condanna internazionale su questa questione. Il New York Times ha già pubblicato un proprio articolo sui “cancellati” ed anche sulla questione della moschea.
Entrambe le questioni sono state citate anche dal Dipartimento di Stato USA nel suo rapporto annuale dedicato ai diritti umani. Questo senza drammatizzare quanto accaduto in Slovenia e con un tono obiettivo. Ciononostante un segnale chiaro ai politici sloveni affinché a breve termine diano risposte in merito.
Almeno uno, tra i politici sloveni, ha già preso posizione. Si tratta di Danica Simsic, sindaco di Lubiana, che lo scorso 24 febbraio ha bloccato il referendum sulla costruzione della moschea nella propria città, negando in questo modo gli sforzi del consigliere comunale Mihael Jarc, che ha raccolto più di mille firme in più delle 11.000 necessarie per indire il referendum.
“Sono convinta che un eventuale referendum rappresenterebbe un attacco ai diritti che la Costituzione garantisce alle minoranze religiose, in questo caso alla comunità islamica”, ha spiegato in un comunicato stampa. La Simsic ha inoltre proposto che il consiglio comunale si esprima con una propria mozione sulla questione del referendum.
A fine febbraio l’Ombudsman per la Slovenia, Matjaz Hanzek, ha invocato i partiti politici sloveni a prendere una posizione unitaria contro ogni discriminazione. Dal suo punto di vista negare la costruzione della moschea rappresenterebbe una pesante discriminazione. Già sei volte l’amministrazione comunale ha rifiutato, per una ragione o per l’altra, dei luoghi proposti per costruire l’edificio.
“Non si deve essere esperti di statistica per capire che si tratta di discriminazioni nei confronti della comunità musulmana” ha dichiarato “basti considerare che vi sono 3000 chiese cattoliche in Slovenia mentre vi sono 60.000 musulmani senza una sola moschea”.
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