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giovedì 08 settembre 2022 13:48

 

L'insostenibile cooperazione: il caso di Pec/Peja

05.12.2001   

La ricerca, presentata durante l’incontro “Dieci anni di cooperazione con il sud-est Europa: bilancio, critiche, prospettive”, è stata svolta da Silvia Pandini durante quattro mesi di permanenza a Pec/Peja nell’ovest del Kosovo. Qui di seguito l’abstract.
Questa ricerca è stata curata nell’intento di evidenziare alcuni degli elementi che hanno caratterizzato l’intervento in Kosovo e di proporne un’analisi critica. La permanenza sul territorio kosovaro e la collaborazione con operatori di Trentino con il Kosovo hanno fortemente caratterizzato questo lavoro e hanno permesso di comprendere e disegnare molte problematiche che uno studio da lontano avrebbe forse faticato ad identificare.
Pec/Peja è la città più grande della parte nord – occidentale del Kosovo e da sempre gode di un’importanza strategica per il commercio e per i trasporti.

Secondo le stime più accreditate al momento gli abitanti della città di Pec/Peja ammontano a 130.000 – 150.000 persone per lo più appartenenti alla comunità albanese. I pochi esponenti della comunità serba ancora presenti sul territorio kosovaro dalla fine dei bombardamenti trovano rifugio nelle enclaves protette dalla forza militare internazionale KFOR.

Secondo dati rilasciati da UNHCR nel luglio 1999 la città di Pec/Peja e i suoi dintorni hanno rappresentato una delle zone più colpite dagli scontri: il 68% delle abitazioni private nei paesi limitrofi a Pec/Peja è stato severamente danneggiato o distrutto mentre in centro città la percentuale si attesta sul 58%. A questi danni vanno poi sommati quelli provocati dai bombardamenti NATO e che hanno interessato ponti, caserme e centri produttivi.

Al di là delle agenzie internazionali impegnate ufficialmente a supportare l’amministrazione ONU nella ricostruzione del Kosovo, stupisce la massiccia presenza di ONG e OG che hanno implementato progetti in quest’area. Il dato appare molto interessante perché a fronte di una popolazione che, lo ripetiamo, non supera le 150.000 unità si trovano ben 60 ONG che operano nella sola città di Pec/Peja.

Questo sovraffollamento ha creato e in alcuni casi esacerbato alcune problematiche. La pluralità degli attori internazionali presenti è spesso apparsa come un elemento limitante piuttosto che una potenziale risorsa.

Il materiale utilizzato per quanto riguarda il lavoro e la presenza della componente civile in Kosovo deriva da un questionario strutturato appositamente e distribuito nelle diversa sedi ai responsabili di progetto.

Un primo importante dato da registrare riguarda proprio le reazioni a questa operazione. Sono state molte le organizzazioni che si sono rifiutate di rilasciare informazioni riguardanti la propria attività e le proprie risorse. Questo da una parte ha limitato la portata della ricerca ma ha anche permesso di dimostrare come il principio della trasparenza sia ancora lontano da questo settore.
Le informazioni raccolte hanno comunque permesso di delineare un quadro piuttosto interessante che è stato scomposto in quattro categorie:

• Tempi di presenza sul territorio e progettualità – in questo caso su 24 organizzazioni che hanno risposto alla domanda, 5 avrebbero concluso l’attività a primavera 2001 e le altre, ad esclusione di un solo caso, non erano in grado di ufficializzare la propria presenza fino alla fine dell’anno anche a causa di forti incertezze riguardanti le risorse necessarie.

• Il trattamento economico degli operatori locali e internazionali e le distorsioni del tessuto socio-economico – con una certa approssimazione si può affermare che tra il 1999 e il 2001 circa 3.400 persone, nella sola Pec/Peja, abbiano lavorato con la Comunità Internazionale che ha dimostrato di non aver preventivato le potenziali distorsioni legate ad una politica salariale indiscriminata. Un medico locale assunto all’ospedale di Pec/Peja raggiunge i 300 – 350 marchi mensili mentre un locale assunto da una ONG come autista percepisce un salario che si attesta tra i 400 e gli 800 marchi a seconda dell’organizzazione. Il 13% delle risorse investite nei progetti sul campo viene assorbito dal personale internazionale che, potendosi permettere costi di vita più elevati rispetto agli standard locali, collabora a solidificare le distorsioni esistenti.

• Le risorse investite dalle ONG nella struttura operativa sul campo – in questo caso si è cercato di mappare i costi relativi agli affitti delle strutture utilizzate come sedi e degli appartamenti degli internazionali. Il 48% delle organizzazioni che hanno risposto paga un affitto, per le proprie sedi, compreso tra i 300 e i 2.000 DM mensili, il 29% sborsa tra i 2.000 e i 2.500 DM, il 14% paga tra i 3.000 e i 4.000 DM mentre il 9% va dai 4.500 ai 6.000 DM.

• Risorse investite nei progetti – questa è la parte più sofferente viste le insuperabili resistenze incontrate. Le 13 organizzazioni che hanno permesso il trattamento dei propri dati hanno investito, nel periodo compreso tra l’estate-autunno 1999 e dicembre 2000, circa 33 miliardi di lire.

Questa esperienza in Kosovo ha permesso di evidenziare molti elementi del fare cooperazione su cui sarebbe opportuno discutere: ONG che divengono sempre più spesso mere esecutrici di progetti che vengono pianificati in luoghi troppo lontani da quelli in cui vengono implementati, una politica dei finanziamenti che limita lo sviluppo a favore di un intervento finalizzato alla risoluzione della sola emergenza, una dimostrata incapacità di prevenzione del conflitto, una colpevole disattenzione dimostrata verso l’impatto dell’intervento nella risoluzione dei conflitti interni e non da ultimo un intervento civile che sembra non poter essere indipendente da quello militare.

Silvia Pandini


La ricerca è stata presentata durante l’incontro Dieci anni di cooperazione con il sud est Europa: bilancio, critiche, prospettive.


File allegati

L'insostenibile cooperazione: il caso di Pec/peja ( S_Pandini.pdf [ 281.53 KB ] )