Alcuni attacchi ad edifici religiosi non hanno incrinato un quadro generalmente stabile. Preoccupazione per i possibili effetti di una modifica dello status del Kosovo. Le reazioni dei rappresentanti politici bosniaci e internazionali.
Sarajevo, 19 marzo - Carabinieri italiani di stanza in Bosnia vengono inviati a Pristina (Fonet)
A seguito dei recenti scontri in Kosovo e delle proteste in Serbia, anche in Bosnia Erzegovina si sono registrati diversi incidenti, ma le reazioni non sono state tali da mettere in pericolo la sicurezza nel Paese. Le associazioni dei combattenti serbe hanno organizzato una serie di azioni e di proteste pacifiche per dimostrare la solidarietà dei cittadini con le sofferenze dei Serbi nel Kosovo. Le proteste, in Bosnia Erzegovina, hanno avuto una significativa connotazione religiosa. Nel corso degli attacchi nel Kosovo, infatti, sono stati dati alle fiamme anche numerosi edifici religiosi della Chiesa ortodossa serba. Per questo motivo, le proteste hanno collegato i simboli della appartenenza religiosa alla Chiesa ortodossa serba con i simboli della stessa lotta secolare per la liberazione e unificazione nazionale serba. Un esempio di questo tipo si è verificato a Bijeljina: “
Nella chiesa di San Giorgio a Bijeljina stasera abbiamo pregato Dio per quelli che hanno sofferto, ma anche per quelli che vivono nel Kosmet (Kosovo e Metohija, ndt) perché possano sopravvivere e perché Dio gli possa dare la forza per resistere, perché il popolo serbo e la fede ortodossa possano sopravvivere”, ha dichiarato Savo Cvjetinović, presidente della associazione dei combattenti della Republika Srpska (una delle due Entità che compongono la Bosnia Erzegovina, ndt). Davanti al monumento di Oslobodiocim Semberija, a Bijeljina, si sono radunate poco più di cento persone, che hanno acceso le candele per le vittime nel Kosmet, per andare poi anche di fronte al monumento a Pietro primo Karađorđević, re della Serbia, di fronte all’edificio del Comune. Su molti segnali e pannelli stradali a Bijeljina sono stati affissi dei cartelli con scritto “Il Kosovo è Serbia”.
Tra i Bosgnacchi (Bosniaco Musulmani, ndt), le reazioni maggiori sono state provocate dagli incendi delle moschee nel corso delle violente proteste serbe a Belgrado e Niš. Anche in Bosnia Erzegovina si è registrato un attacco nei confronti di un edificio religioso. Il 18 marzo a Bugojno, di sera, è stato dato fuoco al tetto della chiesa ortodossa. Già l’indomani, a Banja Luka, è andata in pezzi la finestra dell’edificio della comunità islamica. Tre giorni dopo, sono state lanciate due bombe nel cortile della moschea a Bosanska Gradiška, in Republika Srpska (RS). Nella moschea e in altri edifici appartenenti alla comunità islamica e al Partito per l’Azione Democratica (SDA) a Brčko, sono comparse scritte con le quattro “S” (le quattro “C” cirilliche, simbolo del nazionalismo serbo, ndt) e le scritte “Kosovo” e “Il Kosovo è il cuore della Serbia”. In tutti gli episodi, i rappresentanti politici, indipendentemente dalla nazionalità, hanno condannato gli incidenti e chiesto alla polizia rapide indagini sugli avvenimenti. Per nessuno di questi casi la polizia ha già chiuso le inchieste, e non è noto chi abbia intrapreso gli attacchi contro gli edifici religiosi. L’Alto Rappresentante in Bosnia Erzegovina, Paddy Ashdown, ha dichiarato che, in base alle informazioni in suo possesso, a Bugojno si è trattato di un incidente minore con pochi danni: “
Penso che in questo caso si sia trattato più di azioni insensate provocate dalla šljivovica (grappa, ndt), piuttosto che di violenza etnica o religiosa”, ha dichiarato Ashdown.
L’incendio del tetto della chiesa di Bugojno, tuttavia, ha provocato le reazioni maggiori. Si sono recati in visita a questa chiesa il presidente della Federacija BiH (Entità che insieme alla RS forma la Bosnia Erzegovina, ndt) Niko Lozančić (HDZ, Unione Democratica Croata) e i membri della Presidenza Bosniaca Sulejman Tihić (SDA) e Borislav Paravac (SDS, Partito Democratico Serbo). Una reazione così pronta da parte degli esponenti del governo bosniaco ha ricevuto la approvazione dei rappresentanti americani e internazionali a Sarajevo: “
Il governo e la polizia meritano il riconoscimento per aver saputo reagire prontamente all’incidente. L’ambasciata esprime approvazione anche nei confronti dei membri della presidenza bosniaca per la loro visita a Bugojno, e per la inchiesta sull’incidente, in quanto dimostrazione di contributo alla moderazione e alla stabilità”, si dichiara nel comunicato della ambasciata americana a Sarajevo. Solamente il muftì di Banja Luka, Edhem Čamdžić, ha deplorato in pubblico il fatto che i più importanti rappresentanti politici non abbiano mostrato altrettanta attenzione nei confronti degli attacchi agli edifici della comunità islamica in Republika Srpska.
Gli scontri tra Serbi e Albanesi in Kosovo, e le proteste dei Serbi in Serbia, non hanno dunque avuto effetti rilevanti sullo stato della sicurezza in Bosnia Erzegovina. L’Alto Rappresentante Paddy Ashdown ha dichiarato in conferenza stampa a Sarajevo che non si aspetta che la situazione nel Kosovo abbia conseguenze sulla situazione nel Paese: “
Non ritengo che in questo Paese ci sia un orientamento tale da poter portare ad una recrudescenza del conflitto, e che gli avvenimenti del Kosovo possano avere effetti sulla Bosnia Erzegovina”, ha dichiarato Ashdown. Valutazioni di questo tenore hanno dominato le esternazioni di tutti i rappresentanti locali e internazionali. Tuttavia, gli incidenti avvenuti in occasione degli avvenimenti del Kosovo segnalano che in profondità ci sono problemi che potrebbero in futuro crescere in maniera esponenziale. In primo luogo, gli attacchi nei confronti delle moschee in Serbia, così come l’attacco nei confronti della chiesa di Bugojno, sono indicatori del fatto che permane una forma di identificazione religiosa e di disponibilità alla rappresaglia in ragione della appartenenza religiosa. La seconda questione importante è la rilevanza dei simboli dell’irredentismo e della unificazione nazionale serba nelle proteste che hanno dimostrato la solidarietà dei Serbi di Bosnia Erzegovina con i Serbi del Kosovo. La questione chiave relativamente al Kosovo, che può influenzare la stabilità in Bosnia Erzegovina, è la decisione futura sullo status finale della provincia. I nazionalisti serbi al potere a Belgrado da diverso tempo dichiarano che una divisione del territorio e l’indipendenza del Kosovo avrebbe effetti sull’intera regione, dal momento che loro richiederebbero una modifica dei confini anche tra Serbia e Bosnia Erzegovina. Nel caso di una separazione del Kosovo dalla attuale unione statale di Serbia e Montenegro, ci si aspetta che il premier Vojislav Koštunica, insieme ad altri nazionalisti serbi, richieda la annessione della Republika Srpska alla Serbia o alla attuale unione statale. Una tale rivendicazione da parte di Belgrado avrebbe conseguenze significative sulla stabilità della Bosnia Erzegovina, dal momento che senza alcun dubbio troverebbe sostegno solamente all’interno della Republika Srpska. Tuttavia, tale questione non è ancora certamente all’ordine del giorno.
Le forze di sicurezza internazionali stanno ora indagando sulla possibilità che riprenda il contrabbando di armi dalla Bosnia Erzegovina al Kosovo. Azioni precedenti delle forze di sicurezza internazionali, e locali, avevano interrotto i canali del contrabbando di armi dalla Bosnia al Kosovo. Sotto questo profilo, il caso più significativo era stato confermato con precedente sentenza della Corte Suprema della Federazione di Bosnia Erzegovina contro il generale Hamid Bahte, a capo dei servizi di controspionaggio militare dell’esercito della Federazione, condannato insieme ad altre sei persone ad una pena di reclusione da tre mesi a tre anni per contrabbando di armi in Kosovo. Dopo questo caso, risolto per via giudiziaria all’inizio dell’anno scorso, non ci sono state nuove inchieste sulla questione del traffico di armi in Kosovo. Le forze internazionali in Bosnia Erzegovina, stanno anche conducendo una inchiesta nei confronti di estremisti che potrebbero utilizzare gli scontri in Kosovo per cercare di far scaturire nuovamente un conflitto nel Paese. Tuttavia, è evidente che l’amministrazione internazionale in Bosnia ritiene che al momento i rischi per la stabilità nel Paese siano minimi, dal momento che truppe della Sfor (Stabilization Force, ndt) bosniaca sono state inviate a supporto della Kfor (Kosovo Force, ndt) nel Kosovo. Carabinieri italiani insieme ad altri militari della Sfor sono infatti stati inviati a rinforzo, per contribuire alla pacificazione della situazione nel Kosovo.
Le truppe straniere in Bosnia Erzegovina sono state impegnate in modo particolare nelle indagini sui criminali di guerra e in azioni contro le reti di appoggio che rendono possibile la loro latitanza, in operazioni contro gli estremisti e in indagini sui depositi illegali di armamenti. In Bosnia Erzegovina, ormai da lungo tempo non si sono registrati scontri significativi tra le diverse nazionalità che abbiano reso necessario un intervento da parte dei militari o dei carabinieri. Una situazione stabile di questo tipo, rende possibile una significativa diminuzione del numero di militari stranieri necessari al mantenimento della pace. Quest’anno si prevede che la presa in carico della missione di pace passi dalla Alleanza Atlantica alla Unione Europea, e il numero dei militari dovrebbe essere ulteriormente diminuito dagli attuali dodicimila a seimila uomini.
La prova più importante per la stabilità della Bosnia Erzegovina, in ultima analisi, è rappresentata dalle irrisolte questioni nazionali a livello regionale, dal momento che ci sono ancora forze politiche che sperano che la questione del Kosovo possa riaprire la questione della definizione di tutti i confini nella regione.
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