Un recente rapporto UNICEF denuncia lo sfruttamento del lavoro minorile in Romania. Una vera e propria piaga. Ragazzini e ragazzine di 12-13 anni obbligati a lavorare per 3 euro al giorno.
Bambino al lavoro - Unicef
Immaginatevi un villaggio di campagna dove la civiltà arriva soprattutto via tv. Dove le strade non non sono state asfaltate e dove la parola d’ordine è povertà. Famiglie con almeno due, tre bambini che vivono al limite della sopravivenza. Immaginatevi, se non è troppo difficile, anche genitori che “affittano” i loro bambini per lavori agricoli o zootecnici. E ora accettate che quello che avete immaginato non sia altro che la dura realtà dei villaggi del sud-est della Romania.
Secondo uno studio recente realizzato da UNICEF, Ministero del lavoro romeno e Ufficio internazionale del lavoro, in Romania un milione di bambini sono costretti in un modo o nell’altro a lavorare. Si tratta di un fenomeno di lavoro minorile che in campagna tocca i suoi limiti massimi: qui 9 bambini su 10 lavorano in agricoltura. Ma , paradossalmente, il 70% di questi considera che sia normale lavorare e molti di loro sono anche fieri di dirti che lavorano dall’età di 10 anni.
Quello che succede nei villaggi della Moldavia romena è un fenomeno legato alla mentalità ed alla povertà. Ci sono famiglie intere dove gli unici che portano soldi in casa sono i bambini. Bambini di 12 e 13 anni guadagnano per mantenere i genitori e altri fratelli più piccoli. E i genitori che non hanno né un lavoro stabile né un reddito sicuro mandano a lavorare i loro figli o addirittura li affittano ai proprietari terrieri. Sempre più inchieste giornalistiche mostrano come l’affitto e lo sfruttamento dei minori non sia più una questione incidentale ma sia diventato un fenomeno frequente.
Spesso i bambini vengono “affittati”per lavori stagionali o addirittura come braccianti durante tutto l’arco dell’anno. E’il caso, riportato ampiamente dai media nel novembre 2003, di un ragazzo di 13 anni. Gheorghita, originario di un villaggio della Moldavia romena, che era stato “affittato” ad un contadino a centinaia di chilometri di distanza dalla sua famiglia per seguire un allevamento di maiali. Il tutto è stato reso possibile da un semplice accordo tra i genitori di Gheorghita e l’imprenditore agricolo di un villaggio della contea di Giurgiu, nel sud del paese. Un villaggio dove sfruttare la mano d’opera infantile è una cosa all’ordine del giorno.
Il caso di Gheorghita è uscito però alla luce quando il bambino, salendo su un palo di alta tensione, è rimasto fulminato. Dopo qualche settimana di cure mediche il padrone si è presentato all’ospedale chiedendo che il bambino fosse rilasciato perché doveva continuare a lavorare e curare i maiali della sua fattoria. Il caso è diventato subito di pubblico dominio e riportato dai media. Le istituzioni hanno cominciato ad interessarsi della sorte di Gheorghita. La stampa è andata nel villaggio dei genitori a chiedere come sia stato possibile affittare il proprio bambino. I genitori che vivevano in condizioni di disperata miseria, senza redditi e con altri figli a carico, hanno spiegato che Gheorghita era in realtà un grande aiuto per la famiglia. Ogni mese per il suo lavoro i genitori ricevevano intorno ad un milione di lei, quasi 25 euro. Una somma per loro importante ma comunque miserabile rispetto allo sforzo del bambino ed alle condizioni durissime in cui viveva.
E’ inoltre emerso che la famiglia aveva affittato non solo Gheorghita, ma anche un altro figlio, Mihai, di 12 anni. La condizione di schiavitù in cui era ridotto il bambino ha suscitato molto clamore ed ha aperto di nuovo le discussioni sullo status dei minori in Romania. Ma così come si è acceso il fuoco si è anche spento. A sei mesi di distanza dall’incidente nessuno è stato punito per il dramma del bambino. Nessuno è stato ritenuto responsabile per quanto accaduto.
In Romania infatti non c’è ancora una legge che punisca penalmente i genitori che costringono i figli a lavorare. Nel caso di Gheorghita il padrone è stato chiamato a fare una dichiarazione alla polizia e il padre ha perso la patria potestà. Tutto qui. Intanto i villaggi sono pieni di bambini che lavorano al posto dei genitori. Sono bambini mandati in altri villaggi a centinaia chilometri distanza dove nessuno si cura di loro e dove possono essere sfruttati al piacimento dei grandi. I padroni preferiscono far lavorare i minori per più motivi. Prima di tutto perché la mano d’opera infantile costa molto di meno. Poi i bambini non conoscono i loro diritti e non possono denunciare eventuali abusi. Non bevono, non fumano e non fanno scandalo. I bambini sono anche capaci di lavorare bene e senza pause. Davanti a questi “vantaggi” sempre più agricoltori preferiscono fare lavorare i minori.
Le conseguenze per i bambini partono dalla mancanza di istruzione, al fatto che possono subire abusi fisici e psichici. Anche lo Stato ne subisce le conseguenze: perde non solo in materia di immagine, ma anche di punto di vista economico perché il lavoro minorile è in nero e non vengono pagate imposte. Secondo lo studio di UNICEF l’8% dei bambini costretti a lavorare affermano che vengono picchiati se non obbediscono alle richieste dei genitori. L’abbandono scolastico diventa sempre di più un problema evidente senza però che le autorità intervengano efficacemente. Tant’è che solo l’1% dei giovani che vivono in campagna hanno la possibilità di frequentare e finire un corso universitario.
Il lavoro minorile in Romania coinvolge anche bambini che vengono dalla Repubblica di Moldavia. Si tratta, quindi, di un fenomeno per il quale i confini non contano, non esistono neppure. Dai villaggi moldavi sempre più bambini passano la frontiera rumena in cerca di lavoro. Vengono per lavori giornalieri, per raccogliere frutta o legumi. Sono pagati a giornata, al massimo 125.000 lei, nemmeno 3 euro.
Bambini che si dichiarano felici quando trovano qualcuno che gli offre un lavoro. In Romania i diritti dei bambini vengono spesso violati. Da anni il Paese è all’attenzione internazionale con i casi delle adozioni, dei bambini abbandonati o sfruttati. Le campagne elettorali fanno emergere, ogni quattro anni, promesse che la situazione migliorerà. Promesse che sino ad ora sono rimaste non corrisposte. Sono sempre più comunque quelli a cui non basta lo sforzo formale per preservare un’immagine pulita del Paese e che hanno capito che, per entrare in Europa, occorre concretamente occuparsi delle reali problematiche della contraddittoria realtà rumena.