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mercoledì 07 settembre 2022 17:19

 

Mostar, appunti dalla carovana italiana

26.07.2004   

Riceviamo e pubblichiamo di seguito alcuni contributi dalla carovana italiana che ha partecipato alla giornata di Mostar sull'acqua
In questi giorni, provenienti dall’Italia, sono stati numerosi i rappresentanti della società civile italiana a raggiungere Mostar, nell’occasione dell’inaugurazione dello Stari Most, ma in particolare della presentazione, nell’ambito del convegno “Acqua, fonte di pace”, del Comitato bosniaco per il Contratto Mondiale sull’acqua, nel quadro della campagna internazionale contro la privatizzazione di questo bene. Lo hanno fatto in vari modi, ma il gruppo più numeroso ha raggiunto Mostar con due carovane, partite rispettivamente da Ancona e Udine, su iniziativa di Associazione per la Pace e Centro di Volontariato Internazionale per la cooperazione allo sviluppo. Abbiamo pensato di aprire questo contenirore in cui ospitare gli appunti di viaggio che ci verranno inviati.

LA DEMOCRAVIA DELL’ACQUA IN BOSNIA ERZEGOVINA

Da Mostar, Paolo Rizzi - Comitato Italiano per il Contratto Mondiale sull'Acqua


Come di sa le traduzioni sono una componente fondamentale per la riuscita di un seminario internazionale, e dovendo organizzare quello su "Acqua fonte di vita" il 24 luglio qui a Mostar, ho chiesto aiuto a Lisa Clark, che oltre ad essere una beata costruttrice di Pace è di professione interprete, ed ho scritto alla rete di Babel che ha curato le traduzioni per i forum Europei di Firenze
e di Parigi.

Rada Zarković, donna in nero contro la guerra ed ora donna in BLU per l'acqua, ha risolto i miei dubbi spiegandomi che qui nella confederazione di Bosnia Erzegovina si è ufficialmente adottata una lingua che viene chiamata Serbo-Croato-Bosniaco, ed è un insieme dei tre idiomi parlati nella ex Jugoslavia.

Per fortuna ACQUA si traduce VODA in tutte e tre le lingue, ma per esempio la pausa caffè è già un problema perchè in serbo si dice Kafa, in croato Kava ed in bosniaco Kahva.

Ho scoperto anche che se siete al Parlamento della multietnica Sarajevo e avete bisogno di andare al gabinetto, potrebbero chiedervi se preferite andare in quello musulmano o in quello croato, lasciando a voi il dubbio di scoprire quale sia la differenza.

Noi per fortuna non avremo questo problema a Mostrar perchè la sede della conferenza è la ex sinagoga, ora teatro delle marionette, e quindi non faremo pipì nè di parte cristiana nè musulmana.

Trovo bello immaginare una soluzione a queste sottili differenze, giocando con la parola “Democrazia” che in serbo si pronuncia con l'accento sulla a di Democratia, in croato si dice Democrazia, e mentre Predrag Matvejević ha inventato il termine Demopcratura, io propongo al
seminario sull'acqua la via di mezzo e cioè la DEMOCRAVIA.


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I FUOCHI D'ACQUA DI MOSTAR

Da Mostar, Francesco Lauria - Associazione Terre Offese


Due sponde.

Da entrambe dieci anni fa si lanciavano granate e lacrime. I proiettili sugli edifici ancora non sono stati del tutto cancellati a Mostar.

Ti capita di contrattare a lungo il prezzo di un souvenir a Mostar. Soddisfatto per essere riuscito ad abbassare il prezzo, lo aspetti, quasi avidamente, quel souvenir. Poi l'uomo che ti ha concesso lo sconto ti guarda con una profondità inaspettata. Si alza e ti rendi conto che ha una gamba sola.
La guerra, la sofferenza si legge, si fa ascoltare. Hai i suoi occhi e parla in silenzio.

Da quelle sponde a Mostar stanotte si lanciano splendidi fuochi d'artificio che illuminano la
Neretva, tutta la città vecchia ed il ponte simbolo della città, lo Stari Most. La città, insieme ad un gran numero di invitati illustri, di giornalisti e di turisti più o meno consapevoli c'è, si vede.
Il nuovo vecchio ponte unisce di nuovo oriente ed occidente. Non è retorica, basta esserci per percepirlo.

Ci si rende conto di quanto i bosniaci, tutti, ma specialmente i giovani abbiamo voglia di voltare
pagina. Il passato c'è e irrompe come un pugno nello stomaco quando, durante la cerimonia di riapertura dello Stari Most, si mostrano le immagini di quel disgraziato 9 novembre 1993, quando le granate croate lo distrussero. Le colombe che volano libere non bastano a soffocare di nuovo le lacrime. Lacrime di gioia, di rimpianto, lacrime di paura per un futuro che qui, in Bosnia, è difficile e incerto. I profughi, molti mostarini sono in Scandinavia, in Australia, non qui. Forse vorrebbero tornare, ma una situazione immensamente incerta dal punto di vista economico ed istituzionale li tiene più lontani delle granate.

Comunque oggi è la rivincita della città sui suoi monti. Il tessuto urbano si ripopola, grida l'impossibilità di essere di nuovo diviso. I monti no, sono in silenzio con le loro tombe, con
quella immensa croce che i croati hanno voluto innalzare alle spalle o se volete di fronte alla
città. I monti ci sono ancora nella difficoltà di trovare un assetto condiviso per Mostar e per le sue tre minoranze, perchè qui ci sono anche i serbi.

I tuffi dei giovani, dallo Stari Most, cercano ancora, forse, di conquistare una fanciulla amata, forse
esorcizzano la paura del futuro, così come esorcizza la paura di attentati il davvero sproporzionato
schieramento di polizia. E per superare queste paure, oltre che per esprimere la loro gioia, gli abitanti di Mostar hanno attraversato, vissuto, occupato lo Stari Most fino a tarda notte.
Assomigliano un po', mi si passi la forzatura, ai goriziani e ai novo-goriziani, non tanto questo primo maggio, quanto nel dicembre di due anni fa, quando per la prima volta e per poche ore fu aperto un varco, tramite appunto un ponticciolo di legno, nella rete che divide la Piazza della Transalpina tra Gorizia e Nova Gorica. Anche allora i cittadini attraversarono commossi la passerella più e più volte con una sensazione davvero liberatoria.

Fuoco e acqua.

Oggi a Mostar si getteranno le basi del comitato bosniaco per l'acqua come bene comune. La privatizzazione selvaggia qui è ancora più urtante, poichè molte esperienze di autogestione
socialista, con i loro evidenti limiti, funzionavano. Ma lo Stato a mala pena sopravvive.

Alexander Langer ricordava come i fiumi, l'acqua potessero essere elemento di unione, di apertura dei confini. Specialmente di quelli mentali. Quel fuoco di passione che accende gli abitanti di
Mostar e gli intrusi del mondo come me, si deve incontrare con l'acqua. La democrazia così difficile in questo contraddittorio protettorato bosniaco è laboratorio per tutti e a settembre, proprio a Mostar, nascerà una nuova Agenzia per la Democrazia Locale, promossa da enti locali europei e dal Consiglio d'Europa.

Stasera il mondo si è ricordato di Mostar e forse Mostar ha ritrovato, almeno in parte se stessa. Rimangono il ricordo e l'emozione dei fuochi d'acqua che univano i minareti, le croci le lacrime di tutti. Rimangono i problemi di domani. Rimane una tormentata speranza. Anche di chi si appresta a tornare nell'Europa comoda e distratta dei venticinque. Ma soprattutto di chi qui sperimenta
l'incommensurabile difficile ricchezza di un'Europa dai mille volti.

Un'Europa da conservare e amare.


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A MOSTAR CON RADA: UN PONTE DI PACE, UNA DONNA SENZA CONFINI

di Laura Bergomi - Associazione per la pace Novara


Chi la conosce dice che Rada non sopporta fisicamente i confini, la fanno star male.

Le è toccato vederne nascere tanti a spezzettare violentemente la ex Jugoslavia e le tocca attraversarne di continuo: ha una figlia a Belgrado e una a Sarajevo; ha amici e amiche sparse, anche in Italia.

Lei è nata e cresciuta a Mostar, la città bosniaca un tempo simbolo della convivenza interetnica rappresentata dal suo Stari Most, il vecchio ponte appena ricostruito e festeggiato il 23-24 luglio. E’ stata profuga a Belgrado, attiva nella rete delle Donne in nero, contro i nazionalismi, il militarismo, le guerre. Oggi vive e lavora per ICS a Sarajevo.

Rada è una donna-ponte, intreccia progetti e persone attraverso i confini. A Bratunac sostiene la Cooperativa INSIEME che produce lamponi, per dare sicurezza finanziaria e coraggio di ritornare alle tante donne di Srebrenica rimaste sole e profughe. A Sarajevo collabora con la Commissione Ministero dell’Interno per la realizzazione del diritto all’obiezione al servizio militare in Bosnia. A Mostar il 24 luglio ha aperto e condotto il Convegno “Acqua per la pace” che ha visto nascere il Comitato bosniaco per il Contratto mondiale dell’acqua bene comune. Con l’Associazione per la pace organizza viaggi di conoscenza attraverso i Balcani.

Mostar, sera del 22 luglio.

Siamo con Rada in piazza al concerto di Ibrica Jusic’, croato, che ha messo in musica “Emina” del poeta mostarino Aleksa S’antic’, storia di un amore interetnico.

Lei canta e piange. Molte altre persone (intere famiglie, nonni genitori figli) cantano, qualcun altro è commosso. E’ la canzone simbolo di una Mostar che non c’è più. Oggi c’è la gara in quantità e altezza tra minareti, campanili, croci. Oggi servizi scuole ospedali sono divisi. Oggi molti si attaccano a una mono-identità (etnica? religiosa? etnico-religiosa? La difficoltà di nominarla da l’idea della complessità…).

Sul Ponte di Mostar la sera del 23 luglio.

Rada non è con noi, fa da guida al Controviaggio di Assopace e ha accompagnato il gruppo ad un incontro con Donne in Nero. Del resto la festa di inaugurazione con concerto danze e cori è riservata agli ospiti stranieri, donatori e finanziatori, e ai media. Noi che abbiamo lavorato al Press center abbiamo un pass VIP, e ci possiamo avvicinare: ma il pass che apre davvero l’accesso è VVIP.

Verso mezzanotte, quando lo spettacolo sul fiume – circondato da soldati polizia sommozzatori elicotteri – si conclude, può iniziare la festa di popolo (tutto il popolo di Mostar? o soprattutto della parte musulmana? O solo di una parte?).

A noi che non capiamo che cosa si dice e che cosa si canta - e non c’è Rada a spiegarcelo - sembra che quella notte nessuno sia rimasto a casa. Le strade sono un ininterrotto corteo di famiglie e soprattutto di giovani e giovanissimi/e: verso il ponte, per attraversarlo. Non tutti ci riusciranno, la calca immobilizza la città, ma tutti/e cantano, qualcuno piange, nessuno va a dormire.

24 luglio, Teatro delle Marionette, ex sinagoga di Mostar.

Rada apre emozionata e contenta i lavori del convegno internazionale “Acqua per la pace” con alcuni amministratori e parlamentari locali, italiani e europei, molte associazioni e ong bosniache e italiane (Comitato italiano contratto mondiale per l’acqua, ICS, Osservatorio Balcani, ARCI, CEVI, Assopace, Punto Rosso, Forum ambientalista), rappresentanti di Università e scuole superiori di Sarajevo e di Mostar, ADL italo-bosniache, le agenzie della democrazia locale del Consiglio europeo. Un incontro della società civile, voluto dal basso, per iscrivere nell’evento del vecchio ponte rinato il diritto universale all’acqua, la difesa del bene comune acqua dalla mercificazione; un altro ponte tra Italia Europa Balcani; un’iniziativa (che è appunto un inizio…) resa possibile dal lavoro di tessitura di Rada.

Sevdah.

Nei nostri viaggi con lei, Rada ci ha insegnato questa parola, che indica uno stato d’animo tipicamente bosniaco: allegria in faccia e tristezza dentro. L’allegria di chi come lei continua con energia tenerezza creatività e competenza a intessere ponti e progetti di pace; la tristezza di chi come lei sente le ferite e soffre dei confini.

Starog il Vecchio, bambini e bambine

Lo Stari Most è un ponte molto bello a vedersi, audace in altezza e pendenza, leggero per la pietra chiara e levigata, bello perché ritornato.

(“Non ritornati” sono per le donne di Srebrenica le migliaia di mariti figli fratelli scomparsi e massacrati)

E’ difficile da percorrere, ripido, anche scivoloso: noi stranieri camminiamo circospetti e concentrati, e scivoliamo comunque.

Eppure la sera del 23 bambini e bambine di Mostar hanno corso su e giù da questo ponte. Finalmente liberi dai blocchi di sicurezza, gli siamo andati incontro sulla via che porta al ponte, ci siamo lasciati circondare e insieme ai loro occhi sgranati e ai loro strilli emozionati abbiamo guardato i fuochi artificiali che dalle due rive illuminavano la Neretva. Ho pensato: non hanno paura dei botti, sono nati dopo i colpi di mortaio e le bombe.

Anche lì qualcuno piangeva. Sevdah, soprattutto dopo le guerre.


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Una pizza margherita nella polvere di Knin

Da Knin, Francesco Lauria - Associazione Terre Offese

Knin.

Avevo letto con attenzione il saggio di Giacomo Scotti : “Operazione Tempesta” e aspettavo con ansia di poter vedere questo “luogo maledetto”.

Non era la prima volta che attraversavo la Krajna.

Questa volta però ero nella città della fortezza, delle due gravissime pulizie etniche.

La città che si è svuotata per due volte nel corso di quattro anni (1991 e 1995) della sua popolazione.

Prima se ne andò la minoranza croata che non poteva restare in maniera indolore nella capitale dell’autoproclamata repubblica serba di Krajna, poi, nell’agosto 1995 la fulminea offensiva dell’esercito croato, denominata per l’appunto “Operazione Tempesta” e favorita tacitamente dagli Usa e dalla Nato, spazzò via nel giro di pochi giorni il microstato serbo abbandonato al suo destino dai “fratelli” di Belgrado e di Pale.

Oggi Knin è una città a stragrande maggiorata croata anche se non tutti i croati espulsi nel 1991 sono rientrati, sono stati semplicemente sostituiti da altri profughi, come spesso avviene nei bizzarri scambi di popolazioni nell’ex Yugoslavia.

Knin ha perso quasi interamente le sue industrie e il suo nodo ferroviario in passato così strategico per tutta la Yugoslavia sembra, a tratti, un binario morto.

Soprattutto qui la gente è profondamente triste.

Glielo si legge negli occhi.

Rispetto ai villaggi della Lika (“l’altra Krajna”) non puoi nemmeno consolarti con gli anziani serbi che dopo anni stanno faticosamente rientrando, ripopolando un deserto desolato.

Li trovi sulla strada con il loro ombrellone ed i loro formaggi che ti sorridono timidamente.

I camini hanno ripreso a fumare nei freddi inverni della Lika.

I primi anziani sono stati arsi nelle loro case, poi sono state arse solo le abitazioni infine gli unici fumi, regolari, sono stati quelli dei camini.

Queste sono le campagne.

Poi arrivi nelle piccole città.

Ecco, una scintillante chiesa cattolica e, a fianco, proprio a fianco, una chiesa ortodossa crivellata di proiettili, le entrate sprangate.

Altrove è il contrario è vero.

Ma l’effetto non cambia.

Così Knin con la sua immensa fortezza veneziana che fu ricoperta da un’immensa bandiera croata nel giorno della riconquista.

Così a Knin puoi fermarti di rientro dalla Bosnia.

Mentre ti dirigi verso Spalato, Zara, Fiume, Trieste.

Puoi ordinare seduto comodamente una pizza margherita.

Non è male anche se è una pizza balcanica.

Il pomodoro ad esempio non esiste.

Ma che importa, puoi guardare da lontano il gran premio di F1, pagare in EURO.

Puoi anche sorseggiare un caffè che dicono viene tostato in Italia.

Ma, mentre a volte la Bosnia nella sua irrazionalità a volte sembra una Las Vegas dei poveri, qui sei all’anno zero.

I serbi erano arrivati più di cinque secoli fa.

Ora in tutta la Croazia sono meno di un terzo rispetto al 1991.

Ma qui la sconfitta, il disorientamento è generale, non etnico.

La disoccupazione, la criminalità sono devastanti.

La Croazia è il prossimo candidato del mosaico ex yugoslavo all’allargamento dell’Unione Europea.

Ecco, ci vorrebbe un po’ più di Europa a Knin.

Per ridare un po’ di speranza ad una regione e ad una città “maledette”.

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