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Albania: il colore della speranza

13.09.2004   

Edi Rama, sindaco di Tirana, è un personaggio unico. Un artista che si confronta con la politica in una città che cresce a vista d’occhio. Tra i consensi e le aspre critiche. Riprendiamo un’intervista a cura di Christian Elia tratta da Peacereporter.
Colori a Tirana - Peacereporter
“Tutti quelli che osservano da lontano l’iniziativa della colorazione delle facciate dei palazzi la ritengono un’operazione di cosmesi. Una ristrutturazione come tante, magari solo un po’ più eccentrica. Non è assolutamente così. Questa interpretazione è completamente sbagliata. Io ho compiuto un’operazione politica”.

Edi Rama è il sindaco di Tirana. Il palazzo del municipio si affaccia sulla piazza Skandenberg, ed è uno di quelli costruiti durante l’occupazione italiana. Forme austere, linee rigide, spigoli acuti che non concedono spazio a dubbi. Così voleva il fascismo. Appena si varca la soglia però, si entra in un'altra dimensione.

Sembra di essere in una galleria di arte contemporanea. Il sindaco Rama ha personalizzato a tal punto l’edificio comunale da renderlo più simile ad un’esposizione personale che a un elemento burocratico della pubblica amministrazione. Non poteva essere diversamente. Rama, eletto nel 2000, è uno degli artisti albanesi più conosciuti, un pittore che ha visto le sue opere esposte alla Biennale di Venezia del 1997.

Il mondo si è accorto di lui quando ha stravolto completamente il volto della capitale dell’Albania. Ha ordinato di ridipingere le facciate dei palazzi della città, edifici vecchi e nuovi, condomini d’epoca e recenti. Ridipinti a tinte vivaci, con schemi geometrici e allo stesso tempo imprevedibili. Rama ha raccolto consensi in tutto il mondo, i mass media hanno cominciato a parlare di Tirana in un modo diverso, non più necessariamente legato alla violenza, alla povertà o alla emigrazione.

“Volevo svegliare i cervelli della gente di Tirana”, spiega il sindaco, “dare una scossa a tutta la comunità. Era difficile rianimare un corpo agonizzante. Dopo la morte della speranza che aveva colpito la popolazione albanese regnava il cinismo, l’indifferenza. Ci voleva una scossa, un segnale che rivitalizzasse le anime”.

Rama, chiedendo aiuto ai suoi studenti dell’Accademia d’Arte di Tirana, dove insegnava prima di dedicarsi alla politica, ha escogitato allora l’idea del colore. Ha lavorato sull’umore dei cittadini di Tirana. Anche nel suo ufficio. Salendo le scale che conducono al piano dove riceve il sindaco Rama, si rimane colpiti da un immenso grappolo d’aglio che pende nella tromba delle scale, dove di solito si trova un lampadario. Una specie d’installazione tanto cara all’arte contemporanea.

L’ufficio di Rama, che riceve sulla porta i suoi ospiti, è un capolavoro. Sulle pareti e riprodotta una foto di Tirana dei primi del Novecento, su sfondo rosso fuoco. Una scrivania elegante, un salotto moderno e tante sedie fanno da scenografia a Edi Rama, che tiene la scena da attore consumato, aiutato dai suoi quasi due metri d’altezza e da un aspetto fisico che molte donne trovano affascinante. Rama veste un’impeccabile completo grigio che, a prima vista, sembrerebbe un classico vestito da uomo politico, ma il sindaco, quasi a voler tenere fede alla sua fama di eccentrico, sotto la giacca indossa una camicia con disegno etnico all’ultima moda.

“Appena eletto avevo un budget ridicolo”, racconta Rama, “le casse del municipio erano vuote. Avevo solo i soldi per riparare un solo chilometro di strada. Potevo farlo, avrei finito i soldi e, agli occhi di tutti i cittadini che non vivono in quella strada, non sarebbe cambiato nulla. Ho preferito usare quei soldi per ridare allegria alla gente, per restituire ai cittadini di Tirana la voglia di amare la propria città. Dopo tanto dolore e delusione, volevo che la gente tornasse a credere nel potere pubblico”.

Prima la colorazione del centro cittadino, poi la restituzione del lungo fiume alla cittadinanza. Il Lana, il corso d’acqua che attraversa la capitale albanese, era praticamente invisibile. Milioni di piccole baracche, da quelle che vendevano cibo a quelle che ospitavano il gioco d’azzardo, occupavano tutto lo spazio attorno al centro. Ora, sgomberati senza andare troppo per il sottile i chioschi, la geometria dei viali di Tirana ha ritrovato il suo ampio respiro.

I problemi però non sono risolti e, verso Edi Rama, non mancano le critiche. Molti lo accusano di aver privilegiato interventi che garantiscono un buon ritorno d’immagine, trascurando interventi strutturali fondamentali, come la rete idrica e elettrica della città, soggette a cicliche crisi di approvvigionamento. Inoltre Tirana vive un autentica esplosione demografica. In pochi anni la popolazione della città è quintuplicata. Oggi nella capitale dell’Albania vive un quarto della popolazione nazionale. Quali sono allora le priorità dell’amministrazione Rama, dopo aver incassato il successo internazionale della sua iniziativa stilistica?

“Fissare delle priorità per Tirana è impossibile in questo momento”, dice il sindaco rigirando il vistoso anello prezioso che porta al mignolo della mano sinistra, “c’è bisogno di tutto. Sono riuscito, grazie al lavoro psicologico sui cittadini, a far passare un piano di tassazione molto duro che, adesso, mi da la possibilità di lavorare. Le cifre che si leggono sui giornali, che parlano di un milione di abitanti a Tirana, sono false. Certo il problema esiste, ma non bisogna farsi prendere dal panico. Il problema dell’inurbamento eccessivo è un retaggio della crisi sociale, politica ed economica che ha sconvolto questo Paese negli anni Novanta. Spesso venire a Tirana era l’unica maniera di sopravvivere. Lo Stato, nella percezione della popolazione, era un nemico.

Quindi la gente arrivava e occupava le terre dello Stato, costruendoci la casa”. Quindi, in pochi anni, sono sorte come funghi vere e proprie cittadelle abusive attorno al centro di Tirana. Senza alcun piano regolatore, senza acqua e luce, senza scuole e ospedali, senza fognature e mezzi di collegamento. Girare per Tirana significa incrociare milioni di mezzi che si muovono su strade che non si vedono se non nella fantasia dei guidatori. Camion, autobus, automobili, carretti tirati da un animale e biciclette convivono caoticamente. L’aria diventa irrespirabile e, a tratti, ci si sente soffocare per l’inquinamento.

“Ci sono dei problemi enormi”, spiega Rama, “lo sappiamo. Disperarsi non serve a nulla e a nessuno. Siamo condannati a lavorare e a sperare. Era fondamentale però che la gente ritrovasse la voglia di vivere e la fiducia nel potere politico. Non bisogna imporre i cambiamenti, ma bisogna coinvolgere in un progetto la comunità. In Albania la società va a due velocità: la forza dell’individuo si scontra con la lentezza del potere. Immagini la forza di un fiume in piena che non viene canalizzata, che non trova una diga che ne sfrutti la potenza. Questo accade in questo Paese. Dopo tutto quello che questa gente ha passato ha voglia di fare, ma non trova a livello statale un interlocutore in grado di ottimizzare questa energia”.

Magari con l’aiuto dell’Unione Europea, di cui troneggia una bandiera nell’ufficio di Rama, accanto a quelle del comune e dell’Albania. Soprattutto però, con l’aiuto dell’Italia, millenaria e non sempre amorevole dirimpettaia. “Guardi io ho una mia teoria: gli italiani sono degli albanesi vestiti da Versace”, sorride il sindaco di Tirana, “siamo molto più simili di quello che vi piaccia ammettere. In Italia si parla di Albania solo come tema elettorale rispetto all’emigrazione. Ad alto livello il coinvolgimento c’è, ma è mancato anche per colpa nostra un lavoro sull’immagine del mio paese in Italia. Le nostre meraviglie sono rimaste oggetto di auto-celebrazione provinciale, non siamo riusciti a farle diventare dei biglietti da visita per l’Albania all’estero”.

Per molti Tirana non rappresenta l’Albania. Troppo al centro della storia e troppo slanciata verso l’Europa per rappresentare un paese che, ancora in massima parte, è rurale. Edi Rama non è d’accordo, per lui è vero esattamente il contrario e “Tirana rappresenta lo spirito che in Albania esiste ma che la classe dirigente non ha imparato a premiare, a sostenere, a sfruttare”, dice il sindaco. Un uomo delle istituzioni che non crede nelle istituzioni oppure, come sostengono alcuni detrattori di Rama, il primo cittadino usa il municipio come trampolino di lancio per la politica nazionale?

“La vita mi ha insegnato che non esiste la parola mai”, risponde il sindaco, “ma mi sento di garantire che non abbandonerò il mio posto di sindaco e che mi candiderò per un terzo mandato. Se non fossi eletto per un altro mandato triennale potrei guardarmi attorno, non ora. All’inizio avevo chiesto ai cittadini nove anni per cambiare questa città. Non ho ancora finito”.

Guardando il sindaco Rama, quest’uomo innamorato dell’arte, viene il dubbio che si possa sentire sacrificato nella vita del politico, per quando rallegrata da un ufficio originale. Si è mai pentito della scelta che ha fatto? “Mai. Se avessi dovuto fare il ministro, o qualcosa del genere, probabilmente sì. Io adoro il mio lavoro anche perché, fare il sindaco di una città come Tirana, mi creda, è un’opera d’arte”.

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