Un uomo nato in Iraq, inizialmente arrestato per reati di falsificazione e di frode fiscale, dovrà affrontare il tribunale per i crimini di guerra. È accusato del sequestro di cinque civili.
Parata militare durante la guerra in Bosnia
Scrive Beth Kampschror (IWPR)
Traduzione a cura di Osservatorio sui Balcani
Un cittadino bosniaco nato in Iraq è diventato il primo preseunto mujahedin, o combattente islamico straniero, ad essere accusato di crimini di guerra dal pubblico ministero della Bosnia.
Il 13 settembre Abdul Maktouf, 45 anni, è stato accusato di crimini presumibilmente commessi contro civili serbi e croati durante la guerra in Bosnia.
L’atto d’accusa sostiene che nell’ottobre 1993 Maktouf abbia sequestrato cinque civili – quattro Croati e un Serbo – nella centrale città bosniaca di Travnik e li abbia condotti in un campo di mujahedin fuori dalla città, dove i cinque sembra siano stati duramente percossi. Alla fine, il prigioniero serbo è stato decapitato.
Il pubblico ministero della Bosnia John Mc Nair ha raccontato a IWPR che i testimoni ascoltati durante la fase delle investigativa hanno descritto Maktouf come “favoreggiatore” di El-Mujahed, una famosa unità di combattenti mujahedin della Bosnia centrale, che si suppone combattesse con l’appoggio del terzo corpo dell’esercito bosniaco comandato da Enver Hadzihasanovic.
Hadzihasanovic e il suo sotto-ufficiale Amir Kubura sono al momento sotto processo a L’Aia con l’accusa di essere responsabili, in virtù del loro ruolo di superiori, dei crimini commessi contro i civili serbi e croati dai membri della loro unità.
L’atto di accusa di Maktouf è il primo caso di crimine di guerra ad uscire dal tribunale bosniaco, creato nel gennaio 2003 sotto gli auspici dell’alto rappresentante della comunità internazionale per la Bosnia.
Ma è passato circa metà anno prima che la camera della Corte specializzata in crimini di guerra , aprisse le proprie porte, e inoltre l'accusa non è stata pronunciata dal procuratore per i crimini di guerra, ma dal Dipartimento speciale per i reati legati all’economia, al crimine organizzato e alla corruzione.
McNair, il Canadese alla guida di quest’ultimo dipartimento, afferma che Maktouf è detenuto da giugno, da quando il dipartimento lo ha indagato per sospetta evasione fiscale e falsificazione di documenti, accuse che egli ha negato.
In luglio, sulla base di nuove informazioni, i procuratori hanno ampliato le indagini nell’area dei crimini di guerra, ha spiegato McNair.
Alcuni osservatori internazionali hanno espresso delle riserve sul modo in cui le accuse per crimini di guerra sono state sollevate contro Maktouf, sottolineando come sia stato accusato solo dopo aver trascorso dei mesi in detenzionale pre-processuale per capi d’accusa completamente diversi.
Ma McNair ha detto di non essere disposto ad aspettare per formulare l’accusa.
“Negli ultimi tre mesi, abbiamo condotto indagini esaustive riguardo alle accuse di crimini di guerra e crediamo che l’evidenza a sostegno di queste sia rilevante” ha detto, aggiungendo che il fatto che Maktouf fosse già sotto custodia “ha giocato contro ogni ritardo”.
L’avvocato di Maktouf Adil Lozo ha affermato di non essere stato informato che il suo cliente era indagato per crimini di guerra e sostiene di aver ricevuto la notizia dai media.
“Me lo ha comunicato Lei”, ha detto ad un giornalista del quotidiano di Banja Luka “Nezavisne Novine” il 13 settembre. “Avremo indubbiamente dovuto essere noi i primi a sapere la notizia, e poi i media”.
Le accuse contro Maktouf sono state approvate dall’Ufficio del procuratore del tribunale de L’Aia - un passaggio necessario secondo l’accordo di Roma del 1996, che sancisce che nessuna accusa per crimini di guerra in Bosnia possa essere formulata senza un tale procedimento.
Sono stati i presunti legami di Maktouf con i mujahedin ad alzare il profilo di questo caso in Bosnia, dove un’infinità di casi di crimini di guerra sono già stati processati dalle varie corti locali.
La presenza di questi combattenti – specialmente dopo gi attacchi dell’11 settembre agli Stati Uniti – è stata come una spina nel fianco per i rappresentanti dell’occidente, e soprattutto degli USA, qui.
Nonostante gli accordi di pace di Dayton, che nel 1995 posero fine alla guerra, sanciscano che tutti i combattenti stranieri debbano lasciare il paese, molti mujahedin si sono sposati con donne bosniache ed hanno ricevuto la cittadinanza bosniaca. Quattro anni fa, i media locali hanno riportato che ben 1200 ex-combattenti avevano fatto questa scelta.
Dopo gli attacchi dell’11 settembre, il governo bosniaco si è mosso per passare in rassegna i passaporti di centinaia di persone che avevano ricevuto la cittadinanza bosniaca tra il 1992 e il 2001. Le autorità, inoltre, hanno estradato gruppi di Egiziani e Marocchini sospettati di legami con gruppi estremisti.
Nel caso ad oggi più drammatico, un gruppo di sei Algerini sospettati di minacce contro l’ambasciata statunitense a Sarajevo, è stato sequestrato dalle truppe americane la stessa mattina in cui la corte locale aveva dichiarato che non esistevano prove sufficienti per trattenere gli Algerini sotto custodia.
Anche le organizzazioni umanitarie islamiche che lavorano in Bosnia sono state accusate di “incanalare” denaro per i gruppi estremisti, e le agenzie di stampa occidentali hanno riferito che gli agenti segreti e i militari USA seguono le tracce di 300 sospetti militanti musulmani in Bosnia.
Le voci sull’esistenza in Bosnia di campi di addestramento per questi radicali persistono, ma sono state respinte dal procuratore statale nel gennaio di quest’anno.
In ogni caso, i rappresentanti serbi nel governo bosniaco sono stati felici di mettere le mani sulla notizia dell’accusa per poter parlare dei mujahedin che “macchiano l’immagine della Bosnia”.
“Il tema del terrorismo in Bosnia non è mai stato veramente affrontato”, ha detto questa settimana alla stampa il serbo Mladen Ivanic, Ministro degli esteri della Bosnia.
Ma i media di Sarajevo, in generale, hanno applaudito la mossa, rispecchiando l’avversione della popolazione bosniaca musulmana per la presenza dei mujahedin nel proprio paese.
L’intera storia dei combattenti islamici in Bosnia, comunque, deve ancora essere raccontata, secondo quanto dice Senad Slatina, un analista di International Crisis Group a Sarajevo, il quale aggiunge che spera che il caso di Maktouf possa aiutare a gettare luce su “chi sono queste persone, come sono arrivate qui, e qual è l’atteggiamento della popolazione locale, specialmente dei Bosniaci musulmani, nei loro confronti”.
Se Maktouf sarà dichiarato colpevole di aver rapito i cinque civili, come minimo andrà incontro ad una sentenza di dieci anni di reclusione.
Beth Kampschror è una collaboratrice di IWPR da Sarajevo. Ana Uzelac ha contribuito a questo articolo da L’Aia.