Dalle carceri di Enver Hoxha, alla crisi delle piramidi. Dall’infanzia passata tra le forti contraddizioni dell’intellighenzia albanese, alla solitudine intellettuale patita nell’Albania che con euforia ha aperto al capitalismo. La pubblicazione di una lunga ed affascinante intervista a Fatos Lubonja, premio Moravia 2002 e uno degli intellettuali albanesi più lucidi e stimolanti.
Intervista sull'Albania, Il Ponte 2004
Fatos Lubonja è l’intellettuale più lucido dell’Albania contemporanea. La sua opera è caratterizzata dall’analisi e dalla critica del potere in tutte le sue forme, fin da quando, poco più che ragazzo, comprese la vera natura del regime di Enver Hoxha. È alla fine degli anni Sessanta che Fatos, non ancora ventenne, figlio del direttore della televisione, capisce la natura dittatoriale del regime enverista. Da quel momento smetterà di scrivere quei primi racconti di esaltazione dell’uomo nuovo socialista che avevano caratterizzato la sua opera adolescenziale e deciderà di scrivere la sua “letteratura da cassetto”, solo per i pochi amici fidati e per se stesso, per iniziare la sua strada di critico tenace del potere e dei potenti.
Quegli scritti vennero trovati nel 1974 dalla polizia albanese che stava indagando contro il padre di Fatos, Todi Lubonja, il cui destino fu segnato dall’accusa, da parte del dittatore, di essere un “liberale”. In quell’anno entrambi furono arrestati, al culmine di una violenta campagna contro quelli che Hoxha definì appunto i «liberali che si annidavano all’interno dello stato».
Fatos, entrato a 23 anni in carcere, ne uscirà a quaranta. Furono diciassette anni di carcere duro, fra cui anche i lavori forzati in miniera. Dell’esperienza di quegli anni rimane il
Diario di un intellettuale in un gulag albanese, che gli è valso il premio Moravia 2002 per la letteratura straniera.
Al momento di entrare in carcere Fatos è probabilmente il giovane più colto di Albania, un paese in cui nemmeno l’impressionismo poteva essere studiato, poiché veniva considerato borghese e non in linea con i canoni del realismo socialista. Grazie al potere del padre – che gli faceva avere i libri stranieri di nascosto – Fatos poté leggere molto della letteratura contemporanea nelle tre lingue che già a vent’anni conosceva: francese, inglese e italiano.
Nei diciassette anni di prigione – forzatamente avari di letture – Fatos intrattiene un suo personale dialogo con i riferimenti culturali della sua gioventù e della storia dell’umanità, in una dimensione di vita che si dilata nel tempo fino a comprendere tutti i tempi passati dell’Europa fino all’antichità, e si contrae nello spazio fino alla possibilità di poter interrogare nella propria cella Orazio, Montaigne, Shakespeare oppure Sartre.
Nel 1991, uscito dalla prigionia a seguito della caduta del regime comunista, Fatos Lubonja è un uomo di 40 anni, consapevole del dramma dell’Albania fino a paventarne la distruzione per eccesso di ribellione, e ben presto sarà in grado di denunciare la pericolosità di un’acritica adesione ai valori dell’Occidente per un paese che non ha intenzione di riflettere sul proprio passato e rimane imprigionato dai miti salvifici, siano essi quelli del nazionalismo ottocentesco, della modernità comunista o del sogno consumistico occidentale.
Inizia così il nuovo percorso intellettuale di Lubonja caratterizzato da un lato dalla critica di tutti i miti nazionalistici e di tutti i poteri che li utilizzano, comprese le classi dirigenti postcomuniste, e dall’altro incessantemente volto alla riflessione sul passato e sulla storia dell’Albania, liberata dalle incrostazioni mitologiche. Il suo obiettivo è quello di contribuire a creare una vera cultura che si basi sulle uniche forze della ragione e di un sentimento popolare ispirato dal bene pubblico e dai principi della responsabilità individuale e collettiva. Ed è questo anche il programma della rivista
Perpjekja – Impegno – che Lubonja fonda nel 1994 a Tirana, dando vita ad una redazione di giovani intellettuali.
Emerge negli anni Novanta la figura di un intellettuale colto e raffinato, che non smetterà mai di assolvere la sua funzione di voce pubblica che si rivolge alla società civile affinché l’Albania costruisca lucidamente la propria strada autonoma. Non dobbiamo però credere che la sua forte esposizione pubblica e l’autorità morale che gli deriva da quei diciassette anni di carcere lo abbiano in qualche momento reso dipendente dal potere. Lubonja, infatti, non ha mai sfruttato la sua condizione di ex-prigioniero per fini politici o di tornaconto personale, né ha mai agitato in modo becero la bandiera dell’anticomunismo, tenendo sempre fermi i suoi principi di intellettuale dell’Illuminismo e di uomo di sinistra.
È proprio la grande forza morale, l’indipendenza dal potere e il non essersi voluto piegare acriticamente ai valori dell’Occidente capitalistico – pur testimoniando la sua fiducia nei valori liberali dell’Illuminismo – che ha reso Lubonja un punto di riferimento per le nuove generazioni albanesi che si muovono alla ricerca di un futuro autonomo e consapevolmente costruito per il proprio paese.
Quello che emerge dall’intervista non è ovviamente solo il racconto di una vita, è anche il ritratto dell’epoca enverista e la lucida analisi dei meccanismi del potere stalinista. Straordinaria è l’analisi di quei meccanismi anche all’interno del carcere, dove Fatos credeva di trovare finalmente un luogo di libera espressione, ma dove in realtà decine e decine di condannati stavano come spie al servizio del potere e dove altri ancora credevano in Enver e nella sua causa, convinti che un giorno il loro capo li avrebbe salvati. Nella conversazione abbiamo così cercato di interrogarci sulla natura di quel potere e sugli strumenti utilizzati da Hoxha. Lubonja individua una linea di continuità nella storia del suo paese a partire dall’Ottocento, caratterizzata dall’uso dei miti per creare una fittizia identità albanese, a discapito di una cultura vera fondata sulla storia e sull’introspezione.
Nel periodo comunista l’ideologia nazionalista si fonda con il mito dell’uomo nuovo comunista, dando vita a quello che Lubonja chiama nazionalcomunismo. Il nazionalcomunismo è stato per Lubonja una simbiosi delle due ideologie – nazionalismo e comunismo – che faceva fuggire gli albanesi dalla miseria del presente verso un glorioso passato o verso un futuro felice, senza essere mai capaci di capire la loro realtà e la loro miseria, perché non sapevano da dove venissero realmente, dal momento che avevano solo dei miti ideologici come patrimonio culturale.
Molto famosa è la polemica della sua rivista
Perpjekja contro l'opera e la figura intellettuale di Ismail Kadaré, considerato un cantore del regime comunista ed un fautore, mediante la letteratura, della propaganda nazionalcomunista. Per Lubonja Enver Hoxha ha inventato il nazionalcomunismo per manipolare le coscienze e opprimere la popolazione, e Kadaré si è prestato alla diffusione del nazionalcomunismo con le sue opere letterarie.
Lubonja rivendica inoltre con orgoglio la decisione, presa giovanissimo a partire dalla fine degli anni Sessanta, di non scrivere più per il pubblico, una volta capita la vera natura del regime. Ed accusa Kadaré di non avere avuto lo stesso coraggio. Questa sua posizione ha isolato Lubonja all'interno del panorama intellettuale albanese, dove viene accusato di offendere una delle glorie nazionali. Kadaré per i più, in Albania, avrebbe il merito di fornire un orgoglio identitario al popolo albanese, perché la sua opera è famosa in Occidente. Questo conferma Lubonja nella sua idea che la cultura in Albania ancora non si è liberata dall'ossessione dell'emulazione dei grandi esempi, a tutto discapito dell'autonomia e della presa di coscienza della propria storia.
La riflessione sul futuro dell’Albania non poteva essere disgiunta da quella sull’intera area balcanica, e sull’Europa. Più volte negli ultimi giorni delle nostre conversazioni Lubonja ha ricordato l’esortazione di Husserl che richiamava l’Europa all’eroismo della ragione. Per Lubonja, di fronte ai nazionalismi e ai razzismi secessionistici che crescono anche nell’Europa occidentale, bisogna riprendere il richiamo husserliano all’eroismo della ragione, sapendo che il banco di prova sarà l’impegno per la difesa dei diritti dei migranti e di tutte le minoranze. Questo suo impegno per la difesa dei diritti dei migranti testimoni nel modo più limpido l’adesione di Fatos Lubonja ai grandi valori dell’Illuminismo europeo, sicuramente più convinta di tanti suoi colleghi che si richiamano ai valori occidentali e ciononostante hanno ammesso nel loro vocabolario anche la “guerra preventiva”.
* curatore dell’intervista