Una sintesi dell’intervento di Vehid Šehić al convegno di Osservatorio sui Balcani “Vivere senza futuro? L’Europa tra amministrazione internazionale e autogoverno: i casi di Bosnia Erzegovina e Kosovo”
Vehid Šehić
Vehid Šehić, avvocato, è nato a Tuzla il 4 maggio del 1952. E’ uno dei fondatori del “Forum civico di Tuzla”, della “Alternativa democratica per la Bosnia Erzegovina”, del “Parlamento Civico Alternativo della Bosnia Erzegovina” e tra gli iniziatori della Commissione per la Verità e la Riconciliazione in BiH. Nel 2001 ha ricevuto il riconoscimento ufficiale della Federazione Helsinki per la protezione e difesa dei diritti dell’uomo. E’ membro della Commissione Elettorale della Bosnia Erzegovina
Quando mi hanno chiesto in che lingua avrei parlato oggi, ho risposto: la nostra, perché in Bosnia Erzegovina sappiamo che è più importante pensare al contenuto che non alla forma, perché c’è qualcuno che vuole che in Bosnia Erzegovina ci siano tre lingue, nonostante io le capisca tutte.
Credo che sia giusta questa frase dieci anni dopo, perché per quanto mi riguarda, come cittadino della Bosnia Erzegovina, sono molto importanti gli Accordi di Washington, che hanno praticamente previsto la [ri]soluzione degli accordi di Dayton, nei quali è dominante l’appartenenza etnica. Gli Accordi di Washington non hanno assolutamente tutelato gli interessi della Bosnia Erzegovina, bensì hanno tutelato maggiormente quelli della Repubblica di Croazia, perché nell’immediato avrebbero dovuto costruire dei rapporti con la Federazione della Bosnia Erzegovina.
Successivamente invece si arrivò agli Accordi di Dayton che erano in funzione degli interessi della Jugoslavia, che avrebbero da subito costituito dei rapporti con la Repubblica Srpska e quindi la Bosnia Erzegovina veniva pressoché evitata, non esisteva, nonostante un unico territorio che ha dei confini statali. Noi allora ricevemmo una struttura nazionale che però non era riconosciuta dal diritto internazionale.
Quando scrissi un articolo per l’Istituto per la Cantonizzazione della Svizzera parlai di decentralizzazione della Bosnia Erzegovina e il titolo era “La casa senza tetto e senza fondamenta”, perché a nessuno interessava lo Stato della Bosnia Erzegovina, non interessavano i cittadini della Bosnia Erzegovina, ma solo, di nuovo, le tre collettività, due collettività etniche che sono la Federazione di Bosnia Erzegovina e la Repubblica Srpska ed una comunità a livello cantonale, dove di nuovo il principio etnico era dominante.
Mi dispiace che in Bosnia Erzegovina stiamo vivendo un’occasione perduta, perché nel 1995 la proposta di soprattutto due organizzazioni non governative prevedeva una soluzione differente per i problemi in Bosnia Erzegovina: la sospensione di ogni attività politica per tre anni.
Vediamo oggi che allora avevamo ragione, perché l’Alto Rappresentante deteneva poteri straordinari su ogni cosa nel 1996 come anche oggi, e se allora avessero accettato questa proposta alternativa ci sarebbe stata più libertà di parlare, perchè era più che normale prevedere che la costruzione del processo di pace non poteva essere lasciata nelle mani di chi la guerra l’aveva fatta. E in questo hanno purtroppo influito anche gli interessi degli Stati Uniti e le divergenze fra gli Stati europei rispetto alla Bosnia Erzegovina.
Devo dire che tutto ciò che è stato fatto positivamente cioè il 95% delle cose è stato fatto soprattutto grazie ai rappresentanti della Comunità Internazionale, neanche una legge importate è stata votata dal Parlamento della Bosnia Erzegovina perché lo voleva, ma perché ha dovuto, senza questo dovere la Bosnia Erzegovina sarebbe stata distrutta. Tutti gli attuali politici della Bosnia Erzegovina, quando si rivolgono alla propria popolazione dicono che si deve collaborare con il Tribunale dell’Aja, che dobbiamo decidere e votare secondo leggi democratiche perché questo si deve fare secondo il Consiglio d’Europa, dobbiamo portare avanti la riforma giuridica continuano a cercare questo da noi e noi dobbiamo rispondere.
Nessuno di questi politici ha mai detto: desideriamo e vogliamo lavorare per costruire una Bosnia Erzegovina dove tutti i cittadini abbiano tutti i diritti. Esistono all’interno della Bosnia Erzegovina diverse realtà e questo è dovuto al fatto che all’interno della Bosnia Erzegovina non abbiamo un struttura politica unificata, abbiamo partiti che hanno all’interno della loro denominazione parole come: “socialdemocratico” e “civile” e che sono sì un’alternativa ai partiti nazionalisti ma in determinati e circoscritti territori della Bosnia Erzegovina. Ad esempio, l’SDP - il partito socialdemocratico - è un’alternativa all’SDA - il partito nazionalista musulmano - ma nel territorio della Federazione della Bosnia Erzegovina. Un altro partito socialdemocratico - però nella Repubblica Srpska - rappresenta un’alternativa al partito nazionalista serbo ma nel territorio della Repubblica Srpska di Bosnia. Quindi anche a questo livello si è diviso su base etnica ciò che non si sarebbe dovuto dividere ed è per questo che io appartengo a quella categoria di persone cha hanno sempre sostenuto il lavoro e la posizione della Comunità Internazionale, perché non potevo assolutamente credere alle opzioni politiche offerte da coloro che oggi si trovano di fronte al Tribunale Internazionale dell’Aja, perché erano personalità che non riuscivano ad accordarsi nemmeno su una comune targa automobilistica o su una comune bandiera nazionale, figuriamoci ad accordarsi su un unico esercito, su un unico corpo di polizia o su un unico sistema giuridico.[…]
Oggi si parla molto della riforma degli Accordi di Dayton, della possibilità che la Repubblica Srpska possa diventare uno Stato, dell’esistenza di un così grande numero di cantoni. La cosa che più manca in Bosnia Erzegovina è la volontà politica, inoltre una caratteristica dominante della classe politica in Bosnia Erzegovina è l’ipocrisia: tutti guardano a Dayton nella misura in cui è loro interesse farlo e ovviamente cercano, tramite Dayton, quella parte di articolo, di Annesso, che possa aiutarli in qualche maniera nei loro interessi politici, altri altro ancora, ma c’è sempre il numero tre quello della divisione in tre popolazioni, in tre popoli. […]
La mia più grande speranza è quella che il più grande partito politico della Bosnia Erzegovina, cioè quello degli astenuti, che rappresenta il 55% della popolazione, percentuale che di anno in anno aumenta e che è a mio parere una delle parti più sane della Bosnia Erzegovina perché non è né di ultradestra né di ultrasinistra, si impegni nella costruzione del futuro della Bosnia Erzegovina. Tra gli astenuti vi sono soprattutto i giovani, in base alle analisi delle ultime elezioni, si vede che la maggioranza degli elettori appartiene alla fascia d’età tra i 45 e i 55 anni. […]
Voglio concludere con qualcosa che dia speranza nel futuro, perché diversamente non possiamo pensare. Ci chiediamo quando entreremo nell’Unione Europea, su questa questione c’è una divertente storiella da raccontare: Mujo dice: “Ci metteremo una ventina d’anni, ma soddisferemo tutte le condizioni previste dall’Unione Europea” e Haso risponde: “Quando le avremo soddisfatte tutte, l’Unione Europea non esisterà più” e io credo che lui abbia ragione.