Cresce nel Paese il sentimento antiamericano, per la crescente instabilità regionale, la preoccupazione per le sorti della minoranza turca e i continui attacchi ai convogli. 30.000 cittadini iracheni voteranno in Turchia. La tensione tra Kurdi e Turkmeni e il referendum dei Kurdi iracheni per l’indipendenza. I movimenti di popolazione nell’Iraq del nord e il latente confronto Usa-Iran
La stampa e l’opinione pubblica turca seguono con grande attenzione le vicende irachene sin dall’epoca in cui gli Americani, senza successo, chiesero di poter utilizzare il territorio turco come base di partenza per le operazioni militari in Irak. Dall’invasione americana in poi la preoccupazione e la crescente ostilità verso gli Stati Uniti sono andate crescendo di pari passo. Un recente sondaggio realizzato dalla BBC in 20 diversi Paesi rivela come siano gli intervistati turchi (82%) a manifestare la più accesa avversione verso Bush.
La stampa turca, in genere molto divisa sul piano ideologico, si ritrova spesso unita nei commenti e nelle interpretazioni delle vicende irachene. In particolare il brutale atteggiamento americano, che viene definito imperialista da destra e da sinistra, le apprensioni per le sorti della minoranza turca, i timori per le ripercussioni che l’instabilità irachena potrebbe avere sulla Turchia. Cresce inoltre la preoccupazione per il prezzo molto alto in vite umane che la Turchia sta comunque pagando in Irak, con l’uccisione di diverse decine di cittadini turchi, per lo più camionisti. Un aspetto questo che costituisce un ulteriore motivo di frizione con Washington, accusata, anche dagli ambienti ufficiali e militari di Ankara, di non fare nulla per proteggere i convogli. Quotidianamente infatti sono 1.500/2.000 i TIR turchi che varcano la frontiera irachena. Per molti camionisti della Turchia sud-orientale la paga offerta per i viaggi in Irak, intorno ai 1.500 dollari mensili, costituisce un richiamo molto allettante, anche se questa cifra si sta abbassando rapidamente a causa della crescente offerta.
Per quanto riguarda l’appuntamento elettorale del 30 gennaio, va innanzitutto sottolineato come esso avrà anche un’appendice in Turchia. Sono infatti circa 30.000 i cittadini iracheni, per lo più di etnia turca/turkmena, che si sono rifugiati in Turchia allo scoppio delle ostilità. Essi avranno la possibilità di votare in tre seggi elettorali predisposti ad Istanbul ed Ankara.
A sottolineare il crescente clima di violenza, insicurezza e confusione che accompagna l’avvicinarsi all’appuntamento elettorale, i giornali turchi usano spesso l’espressione “elezioni con il coltello alla schiena”.
Sono soprattutto le vicende dell’Irak settentrionale a catalizzare nelle ultime settimane l’attenzione della stampa turca. Tre sono i temi principali:
il primo riguarda le sorti della minoranza turkmena. Etnicamente e linguisticamente turchi, dal punto di vista religioso divisi tra Sunniti e Sciiti, i Turkmeni sono insediati nel Nord iracheno fin dagli albori del periodo ottomano. La loro consistenza numerica è incerta (1 milione? 3 milioni?) ed è diventata essa stessa motivo di scontro politico. Al crollo del regime di Saddam Hussein la comunità ha vissuto momenti di tensione con la componente curda, sfociati in numerosi episodi di violenza. Attualmente nella regione vige uno stato di profonda tensione latente. Ankara si è molto prodigata nelle scorse settimane per fare in modo che i Turkmeni si presentassero alle elezioni uniti sotto le insegne di un unico partito. E’ ormai certo invece che saranno due i partiti a contendersi i voti dei Turchi, il Fronte dei Turkmeni in Irak (ITC) ed il Partito di Azione Nazionalista Turkmeno (TMHP).
Una divisione che secondo molti commentatori farà scendere da 15 a meno di 10 il probabile numero di rappresentanti che i Turchi riusciranno a mandare all’Assemblea Nazionale Irachena. Una parte consistente della popolazione turkmena poi appartiene alla corrente sciita ed è altamente probabile che molti di essi daranno il voto al partito dell’Ayatollah Ali Sistani, nelle cui liste elettorali tra l’altro sono presenti sei candidati turkmeni. Più in generale sono l’appello ai Sunniti perché boicottino le elezioni e soprattutto il clima di generale insicurezza a far temere che la percentuale di votanti tra i Turkmeni non sarà molto alta. “Temiamo che la maggior parte dei 300.000 Turkmeni che vivono nella città di Telafer, per timori legati alle condizioni di insicurezza, non si recheranno alle urne” ha dichiarato ai giornali turchi Faruk Abdurrahman, leader dell’ITC.
Alcuni giornali hanno anche azzardato delle previsioni sull’affluenza elettorale: il 65% dei Turkmeni contro un probabile 60% degli Arabi e l’85/90% dei Curdi. Per questa ragione si sono moltiplicati nei giorni scorsi gli appelli radiofonici e televisivi alla popolazione turca perché “partecipi alle elezioni, come dovere verso la religione, il popolo e la patria”.
Il secondo elemento di preoccupazione riguarda la componente curda, che si presenterà alle elezioni con una lista unitaria, “L’Alleanza Democratica del Kurdistan”. Il 30 gennaio però non sarà solamente l’occasione per scegliere i rappresentanti dell’Assemblea Nazionale Irachena e di 16 Assemblee provinciali. Per i Curdi sarà anche l’occasione di partecipare ad un referendum che dovrà decidere del futuro di un eventuale Stato autonomo curdo. Nei seggi gli elettori troveranno una scheda con la domanda: “Vuoi rimanere all’interno di uno Stato iracheno unitario oppure ti vuoi separare?”
Nelle scorse settimane si è svolto ad Amman un vertice tra i ministri degli esteri dei Paesi della regione, unico assente l’Iran. In quell’occasione Ankara si è detta favorevole ad una soluzione federale per l’Irak, a condizione che la divisione non avvenga su base etnica o religiosa. Il timore è che uno Stato curdo autonomo nell’Iraq settentrionale possa costituire un polo di attrazione per i Curdi della Turchia sud-orientale e di instabilità per l’intero Paese.
Da tempo poi si susseguono quotidianamente notizie sui movimenti di popolazioni attuati dai Curdi. Essi sono accusati di aver modificato a loro vantaggio gli equilibri demografici in particolare delle zone in cui la presenza turkmena era più consistente. La città di Kerkuk è il centro di questi movimenti. Essa ospita un’ importante comunità turkmena, ma soprattutto rappresenta il principale polo petrolifero della regione, che contribuisce per il 40% alla produzione nazionale. I Curdi sono accusati di aver trasferito qui ed iscritto nei registri elettorali popolazioni provenienti da altre parti del Paese. Secondo alcuni giornali, su di una popolazione totale di 950.000 abitanti, la popolazione curda, grazie ai nuovi arrivi, supererebbe ormai le 400.000 unità. Alcuni osservatori prevedono che queste proporzioni permetteranno alla lista curda di ottenere almeno 24 dei 41 seggi dell’Assemblea provinciale, riuscendo così ad inserire anche Kerkuk nella regione autonoma curda. Molti giornali riportano la denuncia del rappresentante ad Ankara dell’ITC: ”L’anno scorso sono stati circa 150.000 i Curdi che si sono insediati a Kerkuk e dintorni. Negli ultimi tempi le iniziative che mirano a trasformare Kerkuk nella capitale dello Stato autonomo curdo si sono intensificate ed ora siamo di fronte alla realtà dell’iscrizione nei registri elettorali di altri 72.000 cittadini curdi”. In seguito lo stesso rappresentante ha rivelato che gli Americani, di fronte alle sue proteste, gli hanno consigliato di trasferire nella città 200.000 turkmeni.
Una rivelazione che, nella stampa e nell’opinione pubblica, rafforza la convinzione che gli Americani stiano attivamente sostenendo la creazione di uno Stato autonomo curdo.
Il terzo elemento di preoccupazione riguarda il ruolo del Pkk (che ora ha cambiato nome, Kongra/gel) nelle elezioni e più in generale nelle vicende nord-irachene. I giornali della destra soprattutto hanno denunciato nei giorni scorsi la presenza, all’interno della miriade di partiti che si presenteranno domenica 30 gennaio, di due formazioni che sarebbero una creazione del PKK.
Ankara poi preme da tempo sugli Americani perché contrastino le attività dei circa 5.000 guerriglieri del PKK che si trovano nel Nord Irak, da dove si infiltrano in Turchia. L’ultimo episodio pochi giorni fa, a Sirnak, sul confine iracheno, nel quale sono morti due militari e cinque guerriglieri. Molti commentatori ritengono che la tolleranza americana sia dovuta all’uso che Washington sta facendo dell’esperienza militare del Pkk, in chiave anti-iraniana. Attualmente il PKK sarebbe impegnato nel duplice compito di scontrarsi con l’esercito di Tehran e organizzare i Curdi iraniani. Un ipotesi, in qualche modo confermata dalle recenti dichiarazioni di Abdullah Ocalan dal carcere di Imrali.
Non mancano quindi le ragioni per immaginare che domenica molti occhi in Turchia saranno puntati sulle urne irachene.