Un'immagine dell'altopiano carsico nei pressi di Trieste
Di Paola Lucchesi*
E così, siamo sconfitti di nuovo?
Noialtri, che speriamo ogni volta che sia venuto finalmente il momento per il passato di diventare storia. Quella che dovrebbe essere maestra di vita.
Aspettavamo la storia, e invece è arrivata la "fiction" – che come dice il nome stesso vuol dire: finzione.
La realtà io me la sento nel corpo, quest'agglomerato di cellule che hanno geni misti, e solo poco meno di tre quarti sono italiani, gli altri sono sloveni. Misti come le nostre terre, e ogni volta che la nostra storia viene lacerata in questo modo, mi sento lacerare anch'io. Una sofferenza difficile da comunicare a parole.
Sono italiana? Sono slava? Sono – triestina. Sangue misto, destino di frontiera.
Qual è il VERO dramma che l'Italia non si e' mai sentita raccontare? Proprio questo: le nostre terre – Trieste, l'Istria, la Dalmazia - sono miste, lo sono sempre state, era fisicamente impossibile renderle tutte italiane o tutte slave, semplicemente la loro natura non era quella. Ogni tentativo di imporre artificialmente una realtà diversa è sempre finito male: perché prima o poi, deve ricorrere alla violenza.
Dove corra il confine, e se sia confine fra Venezia e l'Austria-Ungheria in tempi più lontani, piuttosto che fra Italia e Jugoslavia nel secolo scorso, o fra Italia e Slovenia e Slovenia e Croazia oggi, sia da una parte, sia dall'altra di quella frontiera siamo misti, italiani e sloveni e croati, e non c'è sofismo sulle proporzioni che giustifichi il cercare di cancellare l'uno o l'altro dei nostri popoli se viene a trovarsi, negli alti e bassi della storia, dalla parte "sbagliata" di un confine.
Ma il fascismo italiano fece proprio questo, quando l'Italia dopo la prima guerra mondiale ebbe Trieste, l'Istria, e qualche frammento di Dalmazia, ereditate dalla dissoluzione dell'Impero Asburgico. Cercò di mutar connotati a queste terre, e lo fece con la violenza. Un quarto di secolo di politica razzista imposta con la violenza fisica.
Per QUESTO quelli di noi che sono rimasti sconvolti dall'operazione "Il cuore nel pozzo" hanno gridato allo scandalo: perché sappiamo benissimo che non è solo delle foibe che si è voluto tacere all'Italia in tutti questi anni. E sappiamo benissimo quale significato ha voler raccontare solo un pezzetto della nostra tragedia collettiva, e in quel modo.
No, l'Italia tuttora, nel 2005, non lo sa, cosa veramente è accaduto al Confine Orientale. Nessuno aveva interesse a farla conoscere, la nostra storia, tutta la nostra storia, perché non é una storia onorevole per chi ne é responsabile.
Sulla portiera della mia auto hanno inciso "sciava de merda" (insulto tuttora corrente da noi), ma se va avanti così è facile che mi senta dare anche dell' "italiano fascista" dall'altra parte. E i miei tre bimbi mezzi croati, cresciuti imparando tre lingue contemporaneamente? Quanto ci vorrà perché si sentan dire, dagli uni o dagli altri: tu non hai diritto a stare qui?
Ho già paura per loro. Tutto questo è già successo.
L'Italia del 2005 ha la memoria corta. Ha dimenticato che la retorica sulle "terre irredente" ha già infiammato gli animi degli italiani spingendoli nell'abbraccio mortale di ben DUE guerre mondiali. Ha dimenticato cosa è stato veramente il fascismo, che ora sembra tornar di moda.
No, lo so bene che la maggior parte degli italiani oggi non è equipaggiata per comprendere cosa sia veramente "Il cuore nel pozzo". Leggo incredula le interviste al regista e gli attori, sul sito web della RAI (io vivo in Bosnia, sto qui a cercare di dare una mano a raccattare i cocci di un'altra tragedia, più recente, ma identica nella sua genesi emotiva alla nostra di sessant'anni fa): non si rendono minimamente conto, a che tipo di operazione si sono prestati. Della sua esistenza ho appreso dal telegiornale di Zagabria, e sono corsa a cercarmela in Internet, con un brutto presentimento.
Click. Le interviste.
Comincia a girarmi la testa.
Click. I videoclip.
Un groppo alla gola, mi si gonfiano gli occhi.
Guardo le scene che scorrono sullo schermo e mi metto a piangere.
No, non e' possibile! Ma com'e' successo? Non doveva andare così.
La "verità" sulle foibe? In uno sceneggiato "non storico?"
Oh, Santa Madre Divina!
Ci ho messo pochi secondi a capire che sessant'anni di passione, tutto il nostro dopoguerra di conflitti e dibattiti e polemiche, ma anche speranza di venirne fuori alla fine, fra poche ore sarebbe finito giù per lo scarico del gabinetto.
Feirunt, come si dice qui, chiuso. La commissione tripartita italo-sloveno-croata che da anni faticosamente cerca di ricostruire una storiografia dignitosa di queste vicende, liberandole finalmente da propaganda, mitologia e pura ignoranza? Ma figurati! Come potrà mai competere con la forza dirompente del polpettone televisivo della domenica sera?
Non riesco a smettere di piangere, di dolore, di rabbia: inutile illudersi, ci hanno messi nel sacco, è un'operazione brillante e micidiale, un'idea geniale, e funzionerà alla grande. Hanno vinto loro, penso. Non c'è informazione, non c'è ragionamento che tenga contro la potenza distruttiva della "fiction" tv. Che mossa geniale, noi a sperare nel lavoro degli storici, una vittoria dei "lumi" contro la propaganda … Invece ci hanno tolto la terra sotto i piedi, con Giulietta e Romeo (lei perdonabile, anche se è slava, prima di tutto perché é molto bella e poi perché è "semplice", come spiega la Antonova nella sua intervista, ovvero da brava donna si accontenta del suo ruolo di vittima stuprata dai cattivi e non pensa a far politica; lui é il bravo fante – repubblichino? la "fiction" glissa, o forse ammicca – onesto e leale), il sacerdote coraggioso e simpatico, il partigiano "titino" sadico e sanguinario. L'italiano buono. Lo slavo cattivo. E i bambini, ovviamente. Il colpo di genio. Questa sarebbe una storia "vista attraverso gli occhi di un bambino", ci spiegano. La giustificazione perfetta, il lasciapassare per sdoganare qualsiasi assurdità.
Chiamiamo le cose con il loro nome, e smettiamola di cercar di sminuire quel che accadde. Vogliamo la verità sulle foibe? Giustissimo. Sì, tanti italiani finirono in foiba, nel '43 e nel '45. Sì, anche civili innocenti. No, non e' giustificabile, neanche come reazione a un quarto di secolo di violenze di fascisti e nazisti, contro slavi, ebrei, oppositori politici e anche semplici civili innocenti.
E adesso, parliamo anche del resto. Parliamo di come il primo glorioso atto delle squadracce di Mussolini a Trieste, il 13 luglio 1920, fu incendiare e radere al suolo l'Hotel Balkan, ovvero il Narodni Dom, la casa del popolo che ospitava le istituzioni culturali ed economiche della comunità slovena. Trieste, Istria e qualche frammento di Dalmazia erano appena entrate a far parte dell'Italia, con la dissoluzione dell'impero austro-ungarico alla fine della prima guerra mondiale. Terre di sangue misto, che venivano da secoli di convivenza di popoli e lingue e culture all'interno dell'impero; parte di esse, prima ancora, dall'epoca del dominio veneziano sulla sponda orientale dell'Adriatico. Una "biodiversità umana" che ci aveva messo intere epoche storiche a formarsi, stratificandosi con ondate successive di migrazioni, colonizzazioni, rimescolamenti politici e dinastici… Gli italiani ci vivevano, ma non da soli, e neppure in maggioranza, se non nelle città della costa. Certo, l'Impero degli Asburgo non era quell'idillio che vuole una certa visione romatica e nostalgica di quell'epoca. Era una monarchia assoluta, reazionaria, autoritaria, e i popoli suoi sudditi li teneva in riga con pugno di ferro. Ma non si mise mai a cercar di cancellarli così come fece il fascismo italiano. Per la cui rozza logica era indispensabile cambiare i connotati a quelle terre in cui italiani e slavi vivevano da secoli mischiati in un garbuglio irresolubile. E ci si misero di buzzo buono, col manganello e la torcia, e spesso e volentieri con la pistola. Ma peggio di tutto, una volta al potere, ci si misero coi sacri libri: le leggi dello stato italiano.
Rinfreschiamoci un po' la memoria su come la pensava Mussolini, con una piccola citazione da un suo discorso pubblico del settembre 1920, quando venne dalle nostre parti a vedere come se la cavavano i suoi: "Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che da' lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani". E non furono solo parole, quelle del Duce, perché l'Italia INVASE la Slovenia, appropriandosi con la forza di un territorio per il quale non aveva neanche uno straccio di pretesto su una pretesa comunità italiana da difendere – non di certo a Lubiana!
Parliamo dei vandalismi e dei pestaggi e degli assassinii che nelle terre del Confine Orientale iniziarono in quel 1920 e non si fermarono più, fino al 1945. Parliamo della persecuzione e messa fuori legge di lingua, cultura, associazioni, organizzazioni sindacali, scuole, di sloveni e croati. Parliamo dell'estromissione di insegnanti e sacerdoti che parlavano la lingua sbagliata, dei trasferimenti forzati di dipendenti pubblici, dei licenziamenti dei non italiani. Parliamo dell'infame "banda Collotti", la sezione speciale di pubblica sicurezza, che durante la seconda guerra mondiale rastrellava, saccheggiava, torturava e uccideva con tale ferocia da scandalizzare talvolta addirittura le SS. Al Collotti, giustiziato dai partigiani durante la fuga, la medaglia al valore gli diedero! Nell'Italia del dopoguerra.
Abbiamo tutti dimenticato? Che uno dei cardini fondamentali della "weltenschaung", la visione del mondo, del fascimo e del nazismo, e' una filosofia RAZZISTA? Razze superiori e razze inferiori? La purificazione del sacro suolo nazionale da tutti i "diversi"? Abbiamo dimenticato che questa logica giunse fino alla follia totale di eliminare fisicamente milioni di esseri umani?
Bene. Chi di voi non è di Trieste e dintorni probabilmente non sa ciò che noi del Confine Orientale sappiamo benissimo: che fummo gli unici ad avere l'onore del nostro lager locale, in piena città, alla Risiera di S. Sabba, con tanto di forno crematorio, e che seppur piccolino (la sua funzione principale fu quella di centro di tortura e smistamento verso i fratelli maggiori di Auschwitz, Dachau, Birchenau etc.) per quel camino ci passarono diverse migliaia di partigiani (sia italiani sia slavi), di ebrei, di oppositori politici, e ovviamente, come per le foibe, puri e semplici civili. Perché dopo l'8 settembre 1943, non fu la Repubblica di Salò a comandare a casa nostra, ma direttamente le SS, che si portarono dietro la loro "tecnologia". Adriatisches Kunstenland, il litorale adriatico: sempre noi, Trieste, Istria, Dalmazia.
Ecco. Anche di questa parte della storia, la maggior parte degli italiani non sanno nulla. Per questo non si può parlare SOLO delle foibe. Se si vuol render giustizia al nostro passato, la storia bisogna raccontarla tutta.
C'e' una deliberata volontà di non farlo. Nulla di nuovo. E' un tentativo che va avanti da decenni, quello di sostenere che gli italiani furono solo vittime, e "per il solo fatto di essere italiani". E' una tecnica deliberata di propaganda militare, se andiamo a guardare le grandi aggressioni vediamo che sempre furono preparate da una potente campagna di opinione basata sulla "vittima". Hitler esaltò il senso di vittimismo dei tedeschi come Milosevic quello dei serbi, e lo fecero nel momento in cui si preparavano ad aggredire. Bush ha esaltato il senso di vittimismo degli americani in preparazione delle operazioni contro Afghanistan ed Iraq.
Il dramma degli italiani d'Istria è figlio di questa politica, caparbiamente perseguita nel secolo scorso. Alla loro memoria si deve di dirlo forte e chiaro, a rischio di farsi dar la croce addosso con l'abituale accusa "ma allora sei dalla parte degli infoibatori", se non si sposa la tesi del genocidio da parte degli slavi.
Dobbiamo evitare di farci trascinare, per l'ennesima volta, nel vicolo cieco di una lettura della storia per etnie. Saremo forse una minoranza, ma ci sono quelli di noi che per tutti questi anni si sono appassionati, hanno ricercato, scritto, dibattuto, litigato con la controparte, ma soprattutto hanno sperato, sperato davvero: che il passato finalmente diventasse storia. La grande speranza che finalmente i nostri morti, quelli delle foibe e quelli della Risiera, quelli dei lager e quelli delle trincee, non fossero più sfruttati come vessilli da sventolare per incitare a ulteriori razzismi.
La speranza che si inizi finalmente a identificare le aggressioni come aggressioni, a metterne a nudo i VERI motivi, di interesse economico e politico. E che i popoli non ci caschino più, in questa trappola: guardate, "loro" sono i cattivi.
L'Italia ha davanti tempi duri. Sta accumulando nervosismo e frustrazione, paura del futuro. Anche questo é già accaduto in passato. L' "orgoglio nazionale" in queste situazioni e' un meraviglioso cataplasma per impedire di concentrarsi sulle vere ragioni dei problemi: e' un antidepressivo che genera dipendenza. Ed e' altamente tossico.
L'intossicazione è già iniziata, ce ne sono i segni. Torniamo in noi, finché siamo in tempo.
Nel pozzo, in questo weekend di febbraio, c'è finito il buon senso.
Ma forse è solo ammaccato, vi prego, scendiamo giù nel pozzo, tutti insieme, soccorriamolo e riportiamolo alla luce del sole.
* Paola Lucchesi vive e lavora da anni in Bosnia Erzegovina. E' tra le promotrici di progetti di turismo responsabile a Martin Brod, lungo il bellissimo fiume Una.