Il comandante dell’esercito bosniaco musulmano Rasim Delic, incriminato, si consegna all’Aja. E’ accusato della responsabilità di comando per i crimini commessi dai mujaheddini stranieri in Bosnia centrale nel corso del conflitto 1992-1995. Dure reazioni a Sarajevo
Il Tribunale dell'Aja
Di Merdijana Sadovic*, L’Aja, IWPR, 25 febbraio 2005 (titolo originale: “Delic Indictment Unsealed”)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall’Asta
La pubblicazione dell’atto di accusa per crimini di guerra contro l’ex comandante dell’esercito bosniaco, Rasim Delic, ha messo fine a mesi di speculazioni su di una sua possibile incriminazione da parte del Tribunale dell’Aja, per rispondere dei crimini commessi dai combattenti “mujahedin” stranieri durante il conflitto del 1992-95.
Il giorno precedente l’annuncio degli inquirenti del 23 febbraio, Delic aveva affermato alla televisione bosniaca che sarebbe andato volontariamente alla corte dell’ONU la settimana successiva.
Pur negando la responsabilità per i crimini di guerra, ha detto che l’emissione dell’atto d’accusa era “una specie di sollievo perché poneva fine alle speculazioni e all’incertezza”.
La notizia ha causato un vero tumulto a Sarajevo. Anche se tre processi riguardanti imputati bosniaci musulmani si stanno già svolgendo all’Aja, l’incriminazione di Delic è la prima a spingere i politici locali a dare voce alle preoccupazioni sul Tribunale e sulla sua scelta degli imputati.
Sulejman Tihic, il membro musulmano della presidenza multietnica della Bosnia, ha accusato la corte di “aver ceduto alle pressioni” questa settimana, e ha sostenuto che il Tribunale “ha equiparato la responsabilità di quelli che hanno commesso atrocità e mandato in rovina [la Bosnia] e di quelli che l’hanno difesa”.
Ma la notizia è stata bene accolta dai Serbi della Repubblica Srpska, RS. “Crimini sono stati commessi da tutte e tre le parti durante la guerra,” ha detto Igor Gajic, capo redattore del settimanale Reporter di Banja Luka.
“Se i principali generali serbi e croati sono inquisiti, non c’è ragione per cui i [generali] musulmani non debbano condividere la stessa sorte.”
L’imputazione incolpa Delic di omicidi, trattamenti crudeli e stupri commessi dall’unità El Mujahed dei volontari islamici stranieri – conosciuti anche come mujahedin – che combatterono le forze serbo-bosniache e croate nell’area di Ozren e Vozuca nella Bosnia centrale tra il 1993 e il 1995.
Questi combattenti stranieri erano famigerati per la loro brutalità, e si sostiene che maltrattassero ed uccidessero i loro prigionieri in modi particolarmente crudeli.
Gli inquirenti sostengono che il 24 luglio 1995 un soldato serbo catturato fu decapitato nel campo di Kamenica, vicino alla cittadina di Zavidovici, gestito dai mujahedin, e che “tutti gli altri prigionieri furono costretti a baciare la testa recisa, che fu poi appesa a un gancio del muro della stanza dove erano tenuti i prigionieri”.
L’atto d’accusa sostiene anche che i prigionieri tenuti nel campo di Kamenica erano torturati e picchiati quotidianamente. “Alcuni ricevevano scariche elettriche e altri pativano dolori terribili dovuti all’uso di tubi flessibili sotto pressione attaccati alle gambe,” recitano le accuse.
Gli inquirenti denunciano anche che tre donne serbe furono violentate nel campo, e sostengono che Delic era informato di tutti questi crimini ma evitò di punire i responsabili.
Delic è anche accusato del massacro dell’8 giugno 1993 di 24 Croati di Bosnia nel villaggio di Maline, nella municipalità di Travnik, ancora una volta commesso, a quanto si sostiene, dai mujahedin.
I giornalisti di Sarajevo Emir Suljagic ed Edina Sarac hanno dichiarato ad IWPR di aver visto alcune riprese video particolarmente brutali apparentemente filmate dai mujahedin durante la guerra, che documentano la tortura e la decapitazione rituale dei Serbi catturati a Vozuca nel 1995.
Essi descrivono le immagini come “assolutamente scioccanti” e credono che gli inquirenti useranno quel nastro in tribunale come prova contro Delic.
Ma anche se i crimini descritti nell’atto d’accusa sono indubbiamente tra i più orribili di cui siano mai stati accusati degli ufficiali dell’esercito bosniaco, gli osservatori in Bosnia credono ugualmente che stabilire la responsabilità di Delic per essi non sarà così facile.
Il massiccio generale cinquantaseienne ha una reputazione da militare professionista. E ha altre qualità che lo hanno aiutato ad arrivare in cima – una delle quali, ironicamente, era la mancanza di ambizioni politiche.
Diversamente dal suo predecessore, il generale Sefer Halilovic – che sta anch’esso subendo un processo per crimini di guerra all’Aja – fonti militari dicono che Delic era disciplinato e non metteva in discussione le decisioni prese dalla presidenza bosniaca su questioni cruciali, inclusa la presenza di combattenti stranieri sul campo di battaglia.
È già apparso evidente dalle deposizioni dei testimoni sentite al processo del capo di stato maggiore Enver Hadzihasanovic e del comandante di brigata Amir Kubura che questi mujahedin causarono gravi problemi con il loro comportamento violento, sia tra i civili musulmani che tra i soldati.
Ma secondo Sarac, un cronista del quotidiano Avaz di Sarajevo, Delic “non poteva proprio fare nulla per risolvere questo problema, perché non c’era consenso politico... I mujahedin sono sempre stati una questione politica, più che militare”.
Gli avvocati di Delic tenteranno probabilmente di usare la tesi della responsabilità politica nella sua difesa.
Anche prima di essere nominato comandante dell’esercito bosniaco, Delic era uno degli ufficiali musulmani di più alto rango e uno dei pochissimi diplomati all’Accademia Militare.
Fonti militari vicine all’imputato sostengono che gli mancava l’autorità di un leader naturale, e che quando divenne il comandante dell’esercito molti misero in dubbio che potesse riuscire a trasformare dei gruppi disorganizzati e spesso indisciplinati in un esercito vero e proprio.
Eppure, nonostante tutti gli scetticismi, Delic ebbe successo. Perfino i suoi più accaniti oppositori concedono che egli fece sì che l’esercito bosniaco apparisse e agisse in modo molto più professionale.
Gli analisti militari di Sarajevo lo descrivono come un comandante che agiva “regolamento alla mano”.
Queste asserzioni sembrano essere avvalorate dalle prove che emergono dal processo a Sefer Halilovic, secondo cui Delic richiese un’inchiesta approfondita sul massacro di civili croati nei villaggi di Grabovica e Uzdol nel 1993, e ordinò la sospensione delle operazioni militari in Erzegovina fino al completamento delle investigazioni.
Dato il suo stato di servizio nell’esercito, sono in molti a Sarajevo a pensare che Delic sia vittima di un’ingiustizia.
“L’intero caso sembra una montatura,” ha detto a un giornale locale Safet Halilovic, presidente del Partito per la Bosnia ed Erzegovina, parte della coalizione al potere.
Miro Lazovic, presidente dell’Unione Socialdemocratica, all’opposizione, ha detto: “Accusando un comandante in capo di un esercito, che si è comportato in modo molto professionale durante la guerra, si equipara la colpa dell’aggressore a quella della sua vittima.”
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Merdijana Sadovic è corrispondente di IWPR dall’Aja