Il lavoro di Irfanka Pasagic e dell'associazione "Tuzlanska Amica", da anni in contatto con associazioni ed enti locali italiani per sostenere le vittime di Srebrenica e della guerra, nella difficile situazione sociale della Bosnia di Dayton. La storia, le attività, le iniziative in programma per il decennale
Irfanka Pasagic
Irfanka Pasagic è psichiatra. Dal 1992, con l'associazione Tuzlanska Amica, lavora con le vittime della guerra e dei lager, in prevalenza donne e minorenni. "In BiH ci sono circa un milione e mezzo di persone che soffrono di problemi psichici dovuti alla guerra, il cosiddetto PTSD (Post Traumatic Stress Disorder)…. Per poter fare in modo che le vittime metabolizzino il loro vissuto cerchiamo di trovare il modo di dialogare con loro, di far emergere quanto è accaduto, ma la difficoltà è enorme, soprattutto con le famiglie di Srebrenica. Non riusciremo a risolvere i loro traumi, finché l'esumazione e l'identificazione dei corpi non sarà effettuata".
Di cosa si occupa l'associazione per cui lavora?
Abbiamo iniziato a lavorare nel 1992, con donne violentate e con donne che erano state rinchiuse in campi di concentramento. Ben presto ci siamo resi conto che con loro vi erano molti bambini e non potevamo aiutare le donne senza aiutare anche i loro bambini. Vi erano anche uomini, ma non abbiamo mai avuto alcun progetto specifico su di loro. E' un problema, è difficile reperire fondi per progetti sugli uomini. Senza dubbio sono comunque i bambini la categoria più a rischio, ed è su di loro che stiamo concentrando le nostre attività. Attualmente comunque stiamo lavorando anche con ragazzi di diciott'anni. Sono usciti dall'orfanotrofio ed ora si ritrovano sulla strada: in situazioni drammatiche, molti di loro sono tossicodipendenti.
Considerati adulti ma senza alcuna possibilità di esserlo pienamente?
A dicott'anni non sono in grado di essere indipendenti e per loro trovare un lavoro è praticamente impossibile. E' una nostra responsabilità quella di aiutarli. Molti di loro sono originari dell'area di Srebrenica. Vi sono villaggi dove tutte le case sono state ricostruite tranne quelle dei bambini che hanno perso i propri genitori. E questo di non avere un posto dove questi ragazzi possano vivere è un grosso problema anche per noi come associazione, che proviamo ad occuparci di questi "giovani adulti".
Vi sostiene in quest'attività qualche associazione internazionale?
Grazie anche alla regione Emilia Romagna siamo riusciti a comperare una casa. Ne abbiamo trovata una proprio a Tuzla. I ragazzi verranno a vivere qui. E poi cercheremo di avviarli ad una professione. Non si tratterà solo di farli finire la scuola e prendere un diploma, che rischia di rimanere carta straccia, ma vogliamo che imparino una vera professione in modo che nel giro di due anni siano in grado di ottenere un lavoro.
Avete psicologi che lavorano insieme a voi?
Io stessa sono psichiatra, e con l'associazione collaborano anche uno psicologo ed alcuni assistenti sociali. Se serve ci sostiene anche un esperto in legge. In parte la nostra attività si svolge nella casa che abbiamo acquistato, e poi lavoriamo soprattutto sul campo. Andiamo direttamente dalle famiglie, la nostra intenzione è di aiutare la famiglia nel suo complesso. Non solo le madri e le figlie, ma le intere famiglie sono state ferite.
Quali i problemi principali che incontrate?
Vi sono molte famiglie senza uomini. Il sistema patriarcale secondo il quale l'uomo si occupava del mantenimento della famiglia e la donna se ne stava a casa è andato in mille pezzi. Molte donne non si sentono in grado di assumersi anche queste responsabilità "maschili" e noi cerchiamo di dare loro forza e coraggio.
Dal punto di vista psicologico?
In BiH ci sono circa un milione e mezzo di persone che soffrono di problemi psichici dovuti alla guerra, il cosiddetto PTSD (Post Traumatic Stress Disorder). Vi è un diffuso uso di sostanze stupefacenti, un problema che non vi era prima della guerra. Vi è una situazione sociale molto difficile e seguendo il desiderio di possedere qualcosa molti minori finiscono col prostituirsi. Tutto questo provoca gravi depressioni ed il tasso di suicidi è in aumento.
Vi sono altri progetti con i quali collaborate? Qualcuno che si occupi di questi disturbi anche a livello nazionale?
Sfortunatamente no. L'assistenza psico-sociale è molto scarsa in questo Paese.
Ma a livello nazionale non vi è alcuna strategia per il sostegno delle persone che hanno subito traumi durante la guerra?
Vi sono molti documenti scritti a livello nazionale, che impostano una sorta di strategia per la Bosnia Erzegovina. Purtroppo sono però lettera morta. Non esiste alcuna strategia effettiva. Vi è anche una grande mancanza di informazione in merito alle perone che soffrono di questi traumi. Abbiamo provato a fare qualche cosa attraverso l'UNICEF in collaborazione con alcune scuole: da questa nostra ricerca volta ad individuare quanti bambini soffrono di problemi psicologici sono emersi dati catastrofici! Vi erano molti bambini che presentavano sintomi preoccupanti, bambini che non erano neppure nati durante la guerra ma che avevano sintomi di cosiddetti traumi secondari. Nelle grosse città vi sono istituzioni ed ONG [organizzazioni non governative, ndr] che si occupano di questi problemi. A Tuzla ad esempio ve ne sono parecchie. Ma basta spostarsi nei villaggi a soli 20 km e non si trova un solo psicologo. Per questo abbiamo deciso di costituire team mobili, sempre sul campo.
Presso l'associazione "Zene Srebrenice", Tuzla (Gughi Fassino)
A livello pratico come operate? Come aiutate la gente a metabolizzare questi traumi?
Il modo migliore per farlo è attraverso le conversazioni. La gente in questo modo può raccontare ciò che riesce a raccontare, ciò che ha subito, il modo nel quale attualmente rivive il proprio passato. Poi vi sono famiglie i cui cari sono scomparsi. In molti di questi casi non è ancora partita una rielaborazione del trauma. Non riescono sino a quando i corpi dei propri cari non vengono identificati. Tutto è connesso. Vi sono molte situazioni patologiche rispetto alle quali non possiamo che dare il nostro sostegno, senza pensare di riuscire a risolvere il trauma. Poi vi sono anche altri problemi. Ad esempio quando sfollati rientrano nei luoghi dove hanno subito i traumi e dove vi sono ancora criminali di guerra che non sono stati arrestati.
Si tratta di situazioni che si verificano quotidianamente?
Vi è ad esempio una donna con la quale lavoriamo che aveva quattro figli. Sono stati tutti e quattro uccisi. Due di questi dal vicino, che lei ora incontra ogni giorno. In casi come questo non ci si può aspettare che questa donna superi il trauma se in qualche modo non viene riconosciuta la colpa di quell'uomo e quest'ultimo non viene punito per quanto ha fatto.
In che misura riuscite ad avere successo con i vostri interventi?
Il nostro progetto presenta molti aspetti e molti obiettivi che non sono misurabili. Molti dei bambini che seguiamo sono adottati a distanza, dall'Italia. Hanno contatti con le famiglie che li aiutano. Per loro è fondamentale ricevere quest'amore incondizionato e non egoista. E' molto difficile per persone traumatizzate dimostrare il proprio amore, i propri sentimenti. Non possiamo dire che una madre non ami il proprio figlio ma semplicemente non è in grado di dimostrare quando lo ami.
Tuzla, 11 marzo 2005 (Gughi Fassino)
State organizzando iniziative per il prossimo decennale di Srebrenica?
Parteciperemo senza dubbio alle commemorazioni del prossimo 11 luglio. In questo collaboreremo con alcune associazioni italiane e cercheremo di promuovere un'iniziativa nella quale si riesca a parlare dei traumi della guerra e dell'importanza che le vittime conoscano la verità su quanto è accaduto. Parteciperemo anche alla cosiddetta "marcia della morte". Abbiamo inoltre in cantiere il progetto di promuovere un gemellaggio tra gli studenti di Srebrenica e studenti della Scuola internazionale estiva Alex Langer, in modo che possano scambiare idee ed esperienze. Speriamo inoltre per quella data di aver pronto un libro che raccoglierà una serie di scritti dei bambini di Srebrenica in merito a quanto accaduto in quell'atroce 1995.
Alla redazione dell'intervista ha collaborato Mirella Vukota
Una scheda sull'associazione Tuzlanska Amica tratta dal mensile Una città
Tuzlanska Amica è un'associazione nata a Tuzla nell'ambito di una rete internazionale, "Ponti di donne tra i confini", creata nel 1993 dalle donne di Spazio Pubblico di Bologna assieme ad altre donne della ex Jugoslavia. L'obiettivo originario è la creazione di un centro per l'assistenza e la cura delle donne traumatizzate. Di lì a poco Spazio Pubblico e il Gvc lanciano la prima campagna di raccolta fondi per finanziare un progetto ginecologico-sanitario. Le attività cominciano però solo nel settembre 1994 in coordinamento con Bologna e Friburgo. Le principali attività di Tuzlanska Amica consistono in assistenza medica ginecologica e generica, sostegno psichiatrico e terapia psicologica, attività culturali e ricreative per i bambini. Dalle donne l'intervento progressivamente si orienta anche verso i gruppi familiari, assistendo bambini, anziani, disabili.
La situazione più drammatica resta comunque quella delle campagne. Nella maggior parte dei casi infatti i musulmani in fuga da Srebrenica, Zvornik, Bratunac, Bijelijna, Brcko e l'area circostante si sono limitati a occupare le case abbandonate dai serbi, spesso già pesantemente danneggiate, dove ancora oggi sopravvivono in abitazioni prive di porte, finestre, acqua, elettricità e, cosa più grave, completamente isolati e dimenticati. Tra l'altro, in queste zone, la famiglia-tipo è composta da nonni e nipotini, perché la generazione di mezzo è stata decimata dalla guerra. Tuzlanska Amica ha però presto avuto la felice intuizione che i casi più difficili non si sarebbero presentati all'associazione per chiedere aiuto. Bisognava quindi andare a cercarli. Così da qualche anno, in collaborazione con un progetto finanziato da una fondazione olandese, Mala Sirena, è stato allestito un team mobile (assistente sociale, psicologa, medico) che gira per le zone più isolate, individuando i casi più difficili e attivandosi dapprima con un aiuto di tipo umanitario, per poi verificare l'opportunità di un intervento anche psicologico per i componenti più vulnerabili del nucleo familiare, ossia donne e bambini. In realtà non è infrequente che si presentino anche uomini a chiedere aiuto all'associazione. La pulizia etnica che ha colpito la Bosnia ha decimato la popolazione maschile, i superstiti hanno spesso riportato gravi traumi in seguito alla detenzione nei centri di detenzione, alla perdita dei familiari, per non parlare della gravissima frustrazione –parliamo di una società, specie nelle campagne, ancora profondamente patriarcale- per non aver saputo proteggere la parte più debole della famiglia, ossia donne e bambini.