Copertina del settimanale DANI, 15.04.05
Di
Snježana Mulić,
DANI, 15 aprile 2005 (tit. orig.
Željezna ruda obogaćena ljudskim kostima)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani:
Ivana Telebak
Il sei aprile di quest'anno Jasmin Odobasic, il capo della Commissione per le persone scomparse della FBiH (Federazione Bosnia Erzegovina, una delle due entità che compongono la Bosnia Erzegovina, ndt.), sul territorio delle Nuove miniere di Ljubija, sulla superficie dello scavo, ha trovato - incastrato fra gli alberi e i sassi - un cranio umano. Non lontano da esso anche altri resti dello scheletro.
Uno scheletro per noi, purtroppo, non è niente di nuovo, specialmente non si tratta di una novità per il terreno sunnominato, ma proprio questo è l'esempio più evidente delle menzogne sfacciate dei nuovi proprietari delle miniere sul fatto che lì “proprio non ci sono i resti dei cadaveri dei Bosgnacchi e Croati uccisi”.
Sì, proprio così, la più grossa compagnia mondiale per la produzione di acciaio Mittal Steel Company, che, esattamente un anno fa, ha acquisito anche il 51% della proprietà della Miniera Ljubija vicino a Prijedor, sta cercando di nascondere ciò che non può essere nascosto: che ha comprato una miniera al cui interno, ma anche in superficie, nasconde la verità sul crimine che nel luglio 1992 hanno commesso i paramilitari e l'esercito serbo nei confronti di Bosgnacchi e Croati.
Nel 1992 nel comune di Prijedor furono uccisi più di tre mila non serbi (nel
Libro degli scomparsi sono stati denunciati 3227 scomparsi, nonostante si suppone che il numero sia molto più alto), mentre in un giorno solo, il 25 luglio 1992, agli scavi abbandonati della miniera di Omarska furono assassinati più di un centinaio di civili. Semplicemente le miniere divennero il più grande campo di concentramento e patibolo della popolazione non serba.
L'amministrazione della miniera all'inizio della guerra licenziò tutti i Bosgnacchi e i Croati, mentre i dipendenti Serbi ricevettero un compito nuovo - invece di scavare il minerale di ferro, scavavano i cadaveri dei loro camerati e dei loro vicini.
Il primo a rivelare la verità sulla miniera di Omarska fu il giornalista del
Guardian Ed Vulliamy, che per primo pubblicò anche le foto dei prigionieri affamati e maltrattati, del campo di concentramento. Ma, nonostante avesse “scioccato il mondo” con questa rivelazione, ciò non aiutò le vittime a trovare la pace. Al contrario: il Governo della Republika Srpska (RS), diventata proprietaria della miniera dopo la guerra, e oggi detiene il 49% della proprietà, presto iniziò lo sfruttamento del minerale di ferro. Le prime quantità postbelliche di ferro della miniera di Ljubija, che molto probabilmente era “arricchita” con il calcio e i fosfati umani, furono consegnate all'Acciaieria Smederevo.
Mentre gli esecutori della popolazione non serba nel comune di Prijedor si occupavano degli affari, la Commissione federale per la ricerca delle persone scomparse, con a capo Jasmina Odobasic, cercava gli scheletri e, per quanto le fosse possibile, cercava di restituire alle vittime la loro dignità, e la “pace” alle famiglie sopravvissute. Così, a soli due chilometri dall'odierno ingresso dell'edificio centrale della miniera di Omarska, dove oggi vi accoglie un cartello con scritto “Benvenuti”, dalla fossa Stari Kevljani sono stati estratti addirittura 456 scheletri. Dalla fossa Hrastova glavica, anche questa sul territorio di Omarka, sono stati estratti 126 corpi, dalla fossa Redak 74, dalla fossa Lisac 49, dalla fossa Pasinac 54, e dalla fossa Jakarina kosa (miniera di Ljubija) 373 corpi. Sull'odierno territorio delle Nuove miniere di Ljubija, secondo i dati della Commissione per la ricerca delle persone scomparse della FBiH e delle famiglie degli scomparsi, si nascondono ancora circa 1700 cadaveri!
Ma, tale terribile dato non impedisce né ai nuovi proprietari di maggioranza della miniera, e neanche agli altri - il Governo della RS - di procedere con lo sfruttamento dei minerali. Al contrario, agli altri è stato favorevole l'ingresso della ditta indo-britannica Mittal Steel Company, in particolare perché con la loro presenza si riusciranno a nascondere, almeno un po', le misure del genocidio dei Bosgnacchi e Croati.
Contro il nuovo sfruttamento della miniera, prima ancora di aver finito con l'esumazione di tutte le vittime e prima di aver segnato tutti i luoghi di uccisione, non si sono pronunciati né quelli del governo federale né quelli del governo statale. L'unica voce sensata è arrivato dai prigionieri sopravvissuti al campo di concentramento e dalle famiglie degli uccisi, da alcune organizzazioni non governative, dalla già nominata Commissione per la ricerca degli scomparsi della FbiH, e da uno straniero, Ed Vulliamy.
La Società per le popolazioni danneggiate della BiH, l'anno scorso, subito dopo che Lakshi Mittal era diventato il proprietario della maggior parte della miniera, ha organizzato una tavola rotonda a Prijedor con i rappresentanti delle associazioni delle famiglie dei civili scomparsi del comune di Prijedor, con i rappresentanti della Commissione internazionale per la ricerca degli scomparsi (ICPM), con la commissione per la ricerca degli scomparsi della FBiH e della RS, la polizia locale e le organizzazioni per la protezione dei diritti umani. In questo incontro hanno chiesto all'Alto rappresentante per la BiH e al Governo della RS di interrompere la privatizzazione della miniera Ljubija, esprimendo il timore che in questo modo diventerà impossibile la ricerca dei resti dei cadaveri delle persone scomparse. Ma, a questa richiesta, dice a
Dani Fadila Memisevic, la presidentessa della Società per le popolazioni danneggiate della BiH, nessuno ha mai risposto.
Le organizzazioni non governative “Srcem do mira” di Kozarac, l'Associazione dei prigionieri sopravvissuti al campo di concentramento del comune di Prijedor, “Bosnian Network” della Gran Bretagna, “Izvor” di Prijedor, e “Optimisti” dall'Olanda, con l'aiuto del giornalista Ed Vulliamy, hanno inviato una lamentela direttamente all'ufficio di Londra del magnate dell'acciaio Lakshmi Mittal
Sabahudin Garibovic, il portavoce dell'Associazione dei prigionieri del comune di Prijedor, che è stato imprigionato 88 giorni nel campo di concentramento di Trnopolje, dice che neanche a tale lettera è mai giunta una risposta. “Ma noi crediamo in Ed. Lui andrà fino a fondo, come ha fatto anche nel 1992 quando è entrato nel campo di concentramento e al mondo ha mostrato quelle immagini terribili. La nostra richiesta innazitutto è di separare lo spazio intorno alla malfamata “casa bianca”, dove la gente veniva chiusa e torturata in modo animalesco e poi veniva uccisa, che è nel contesto della miniera Omarska, dalla miniera e poi che venga ricordata come luogo di uccisione. In quel luogo desideriamo mettere una targa di commemorazione, come abbiamo fatto nel campo di concentramento di Keraterm, L'altra nostra richiesta è che lo sfruttamento dei minerali venga interrotto finché le vittime non saranno esumate”, dice Garibovic.
Egli sottolinea che le stesse associazioni si erano lamentate anche con l'ex sindaco di Prijedor Nada Sevo, che gli aveva dato “un parere positivo per la commemorazione del luogo della strage”. Ma non se ne è fatto nulla, perché il mandato della sindaca Sevo è scaduto!
Il nove giugno dello scorso anno anche il Comitato di Helsinki per i diritti umani in BiH (HK BiH) ha scritto alla sindaca Sevo. Dicendo che ci sono supposizioni che sul territorio della miniera si trovino ancora circa 1500 corpi di persone uccise, Srdjan Dizdarevic, il presidente del HK BiH, ha chiesto alla sindaca “con la forza della sua autorità di fare di tutto per chiarire il destino degli scomparsi”. Neanche questa lettera è stata d'aiuto.
Allora, Jasmin Odobasic, in occasione dell'apertura di una delle più grosse fosse comuni - Stari Kevljani, vi ha condotto l'attuale manager generale della Nuove miniere Ljubija, l'indiano Murarij Mukherjee. “L'ho portato sulla fossa e con i suoi occhi ha visto centinaia di cadaveri. Personalmente mi ha promesso che farà di tutto affinché tutte queste fosse, sia collettive che individuali, presenti sul territorio della miniera, vengano scoperte”, dice Odobasic.
Ma, Mukherjee mentiva. Lui non soltanto non ha fatto nulla per l'esumazione delle vittime, oggi nega persino che nell'ambito della miniera esistano!? A
Dani Mukherjee ha detto: “Fino ad oggi (12. 4. 2005) né a Omarska, né in qualsiasi altra regione sotto il controllo della Nuova miniera Ljubija, è stato trovato nemmeno un corpo o fossa comune appartenente alla guerra dopo il 1992.”
Di passaggio ha detto che la Mittal Steel per le Miniere di Ljubija ha il controllo solo sulle miniere di Omarska e Drenovaca. Cosa non vera. Perché, in caso contrario, sul sito web ufficiale della compagnia Mittal (ww.mittalsteel.com) non sarebbe scritto che essa detiene il 51% della proprietà delle Miniere Ljubija. E – alla Mittal Company lo sanno - includono anche Ljubija, Omarska, e Tomasica. Fra l'altro, LNM Group, di cui fa parte la Mittal Steel Company, non ha risposto niente di meglio neanche a quanto scritto dal Guardian inglese.
Alla fine di dicembre dell'anno scorso la LNM ha inviato un comunicato dove c'era scritto che “la terra che LNM ha privatizzato, nell'insieme dei suoi investimenti in BiH, non si trova nella regione in cui c'è almeno una fossa comune conosciuta”. Sia al
Guardian, che a
Dani, comunicano che nella miniera di Omarska non è stata trovata neanche una fossa.
Però, a differenza dall'indiano, che almeno si è degnato di mandare qualche risposta, Mladen Jelaca, il direttore della parte di miniera che è di proprietà del Governo della RS, non ha fatto nemmeno questo. Dopo che si è rifiutato di riceverci durante la nostra visita a Prijedor (7 e 8 aprile 2005), con la scusa “che non ci siamo annunciati”, ha promesso di rispondere per iscritto. Tuttavia, nonostante avesse ricevuto le domande insieme a quelle indirizzate al direttore Mukherjee, e che per la maggior parte si riferivano ai cadaveri all'interno della miniera e ala nazionalità degli impiegati (nelle miniere non ci sono impiegati né Bosgnacchi né Croati), non ha risposto.
E soltanto alcuni giorni prima sul
Kozarski vjesnik, giornale che durante la guerra fungeva da principale media logistico per i cetnici “addetti ai lavori” a Prijedor, Jelaca si è vantato che “le Nuove miniere Ljubija hanno in progetto per il 2005 di produrre e vendere un milione di tonnellate di concentrati di minerali di ferro”. Il direttore dice inoltre che: “le Nuove miniere Ljubija sono per l'opinione pubblica una grande azienda, importante e molto interessante, specialmente perché adesso sono in affari con la più grande azienda metallurgica del mondo, la Mittal Steel”. Jelaca, naturalmente, si è rifiutato di rispondere anche alla domanda: come può fare una fonderia nella miniera Ljubija quando ci sono ancora le ossa delle vittime?
Kemo Alagic, uno dei cittadini di Ljubija sopravvissuti, al quale sono stati uccisi oltre 70 parenti stretti o lontani, ci ha fatto vedere la fonderia all'ingresso della miniera Ljubija, dove oggi vengono prodotti i tombini per la canalizzazione. Direttamente accanto alla fonderia anche oggi c'è la cosiddetta schiacciasassi. Questa macchina una volta rompeva l'acciaio, ma nel 1992 rompeva i cadaveri dei Bosgnacchi e Croati assassinati. Mentre ci porta in salita, agli scavi in superficie di questa miniera, Alagic ci fa vedere i posti dove nell'aprile del 1992, “scorreva il sangue a fiumi”.
“In questo posto ci sono dei cadaveri”, dice Kemo e indica col dito. “Anche in questo, anche in questo”, dice, e ci chiede di non fotografare, perché: “Riconosceranno dove sono e li sposteranno in un altro posto, e poi chi li troverà di nuovo. I Serbi già una volta avevano spostato questi cadaveri. Li mettevano in queste fosse, prima mettendo nelle pietre l'esplosivo della miniera. Con l'esplosione, i corpi si scomponevano e la terra e i sassi li coprivano. Pensavano che nessuno lo avrebbe scoperto. Noi anche oggi scopriamo qualche posto, e non di rado ci aiutano gli stessi Serbi, ma lo teniamo nascosto finché la commissione non riceverà i mezzi necessari per esumare le vittime.”
L'unica cosa che, dice, non si può nascondere sono i piccoli laghi, neri a causa del ferro della miniera. “Dentro ci sono i cadaveri e tutti lo sanno, ma credono che a causa dell'acqua nessuno ci ficcherà dentro i piedi.”
E mentre ci fa vedere la fossa Jakarina kosa, dalla quale recentemente sono state tirate fuori 373 vittime, e che fa parte del complesso della Miniera Ljubija, subito accanto al suo bordo troviamo un preservativo usato di recente!
Ma, per quanto orribile possa sembrare, anche questa esplicita dimostrazione delle relazioni della RS verso i crimini e le vittime innocenti, è più facile da capire del rapporto che, verso gli stessi, hanno i rappresentanti dei Bosgnacchi e dei Croati nel governo federale e statale. Perché loro nemmeno per scherzo hanno posto questa domanda.
Ma, quando si prende in considerazione il fatto che la Mittal Steel Company è il proprietario di maggioranza anche della Acciaieria Zenica, che prima della guerra, insieme alle miniere Ljubija, faceva parte della RMK Zenica, e che gli odierni proprietari di maggioranza probabilmente cercano di rifare nuovamente una tale simbiosi, e che per i politici locali tutto ciò sarà considerato come un punto di forza per attirare gli investimenti stranieri, allora è tutto chiaro.
Da qui anche il silenzio dei media locali sulla ripetizione del crimine contro le vittime del crimine della miniera Ljubija, mentre tutti tessono le lodi dei successi dell'esportazione della famiglia indiana Mittal. La situazione più grottesca su tale questione è accaduta proprio nelle scorse tre settimane: il 26 marzo
Avaz di Prijedor ha dato notizia dei 126 funerali delle vittime trovate nella fossa comune Jekarina kosa nel complesso della Miniera Ljubija; alla celebrazione si sono riuniti tutti i grandi della SDA, e il reis Ceric ha persino detto che anche il cielo è sceso per trovare colui che ha nascosto la verità sul crimine. Ma, soltanto una decina di giorni dopo, lo stesso giornale riportava l'intervista con il direttore della Mittal per il sud est Europa, Roeland Baan, dove questo loda i diligenti minatori della Ljubija e della nuova amministrazione. Baan non nomina Omarska, Keraterm, Jakarina kosa... i prigionieri del campo di concentramento sopravvissuti che chiedono di mettere una targa commemorativa, né il giornalista di
Avaz gli chiede qualcosa in proposito.
E siccome i media non chiedono, ma ancora meno lo fanno i
ceric, i
terzic o gli
hadzipasic, delle anime umane - inquiete tanto in questo che nell'altro mondo - sono ancora soltanto le organizzazioni non governative e le famiglie delle vittime che domandano.
Il comitato di Helsinki per i diritti umani in BiH, il 26 marzo di quest'anno ha inviato a Carla del Ponte, procuratore capo del tribunale dell'Aia (TPI), una lettera in cui si richiama l'attenzione sulla “decisione insensata circa la privatizzazione della Miniera Ljubija” e la si invita a fare il possibile per bloccare l'estrazione dei minerali prima che le vittime vengano esumate, di far arrivare degli esperti forensi e degli scienziati nelle miniere. La procuratrice Carla del Ponte è l'unica che fino ad ora si è mossa su questa questione, e dopo alcuni giorni manda il capo missione del TPI di Sarajevo, Jan Ven Hecke, da Srdjan Dizdarevic, il presidente del Comitato di Helsinki. Invece!
“Ven Hecke da me si è informato sulla località delle fosse, cosa non compressibile. Noi non abbiamo tali dati. L'ho indirizzato alla Commissione per la ricerca delle persone scomparse”, dice Dizdarevic. Ma, fino ad oggi, ha detto Mukherjee, Van Hecke per questa questione non si è rivolto alla Commissione.
Le Nuove miniere Ljubija hanno esportato nella Repubblica Ceca circa 750 tonnellate di minerali, il progetto per l'anno prossimo è di un milione di tonnellate, lo sfruttamento procede, l'acciaio arricchito di calcio e fosfati di ossa umane viaggia per l'Europa, la famiglia Mittal acquisisce nuovi milioni di dollari coi quali pagherà i matrimoni dei suoi discendenti... Il mondo commemora i 60 anni dall'olocausto e di nuovo ripete: mai più!
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Prijedor: gli scheletri della discordia
Bosnia, la memoria dei campi di concentramento
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Bosnia Erzegovina: il Paese delle fosse comuni
La Bosnia nella globalizzazione: Zenica e la LNM