A Srebrenica oggi vivono ancora molti profughi di nazionalità serba, in centri collettivi o sistemazioni di emergenza diventate col tempo scomode dimore abituali. Non esistono dati aggiornati su di loro, ma alcune famiglie ci hanno raccontato le condizioni in cui vivono
Desanka (foto G. Fassino)
L’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, UNHCR, sta procedendo alla ri-registrazione di tutti i profughi e sfollati in Bosnia Erzegovina. Il processo è terminato alla fine di marzo, 2005, ma le Nazioni Unite stanno ancora aspettando di ottenere le ultime informazioni da parte dei Ministeri competenti delle due Entità del Paese prima di pubblicare il rapporto definitivo. L’UNHCR Sarajevo, tuttavia, ci ha fornito alcuni dati che possono essere utili per inquadrare su un piano generale la realtà di Srebrenica. In particolare, per quanto riguarda il dato dei ritorni a Srebrenica, secondo l’UNHCR sarebbero 2.884 al marzo 2005, un dato inferiore a quello comunicatoci dalle autorità locali e riportato negli articoli precedenti. Per quanto concerne invece il numero dei rifugiati e sfollati serbi giunti a Srebrenica da altre zone della Bosnia Erzegovina, gli ultimi dati disponibili (fine 2000) indicavano una cifra di 5.714 persone, 3.848 provenienti dalla Federazione, mentre 1.866 da altre zone della Republika Srpska. In attesa della prossima pubblicazione dei dati relativi a questo segmento della popolazione, (il report con i dati aggiornati dopo il processo di ri-registrazione potrebbe essere disponibile entro il prossimo mese di giugno), è possibile tuttavia svolgere alcune considerazioni. In particolare, alla fine del 2003, è stato completato in Bosnia Erzegovina il cosiddetto Piano di Restituzione delle Proprietà (PLIP). A Srebrenica sono state restituite circa 1.700 abitazioni ai precedenti proprietari, un terzo delle quali costituite da appartamenti di cosiddetta proprietà sociale, mentre i restanti due terzi case private. Gli occupanti di queste case, verosimilmente, secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite, avrebbero a loro volta in maggioranza ripreso possesso delle proprie abitazioni. A Srebrenica si era verificato dopo il 1995 un afflusso di profughi serbi provenienti da diverse zone del Paese e dalla capitale, in particolare dai quartieri di Hadzici e Ilidza. Chi non è ancora potuto ritornare nella propria abitazione è confluito in sistemazioni alternative o in centri collettivi ma secondo l’UNHCR, coerentemente con il trend nazionale, il loro numero è probabilmente diminuito almeno della metà rispetto a quello registrato nel 2000. Chi è rimasto viene ancora assistito dall’UNHCR – nel caso abbia espresso il desiderio di ritornare alla propria casa. Negli altri casi è assistito dalle autorità locali.
In attesa della pubblicazione della prossima rilevazione, abbiamo fatto visita a due centri collettivi di Srebrenica, l’Hotel Domavia e il centro cosiddetto “Baratova”, per vedere come vivono le famiglie e le persone confinate lì. Alcuni di loro sono profughi da oltre 10 anni.
Desanka Dragicevic abitava in un villaggio poco fuori Srebrenica. Da oltre dieci anni è profuga. Come molti dei rifugiati all'albergo Domavia, vive una condizione di precarietà assoluta: pochi aiuti, poche speranze e tanta rassegnazione.
Da quanto tempo siete qui?
Noi siamo profughi dal 1992, quando siamo stati cacciati dai berretti verdi, musulmani. Ci hanno distrutto tutto, ci hanno bruciato le case. Non abbiamo niente. Eravamo a Bratunac, poi da Bratunac ci siamo trasferiti qui in un appartamento di musulmani, dall'appartamento siamo arrivati qui all'Hotel, ed ecco questo è il terzo anno da quando siamo qua.
Quanti profughi ci sono qui all'Hotel Domavia?
Parecchi
Un centinaio?
Sicuramente. Ma ce ne sono anche ad Argentarija, un altro edificio qui vicino.
Che prospettive avete per il futuro?
Non lo sappiano nemmeno noi, aspettiamo che qualcuno ci aiuti, ma nessuno ci aiuta
E la casa che avevate?
Bruciata fino alle fondamenta
Avete qualche mezzo di sostentamento?
Sì, abbiamo la pensione.
Chi è responsabile della vostra situazione?
E chi lo sa!
L'amministrazione comunale o il governo?
Ma entrambi, dovrebbero fare qualcosa per aiutarci.
Cosa vi hanno detto? Quanto tempo dovrete stare qui?
Finché non risolveranno qualcosa.
Cosa pensa della situazione odierna di Srebrenica, dieci anni dopo la fine della guerra?
Non è cambiato nulla, se non è peggio non è neanche meglio. Non ci sono industrie, non c'è niente che funzioni, nessuno lavora. Cosa dobbiamo fare? È crollato tutto. Quando arriverà il sole, e si scioglierà la neve, ti sarà più chiaro come viviamo qui.
Andrete anche voi alla commemorazione del 12 luglio per le vittime serbe?
Certo che andremo. Mio marito è morto in guerra ed è sepolto là.
Djurdjo (foto G. Fassino)
Djurdjo Trifkovic vive con la moglie e due bambini all'Hotel Domavia. Da due anni e mezzo la loro casa è fatta da due piccole stanze di un albergo fatiscente poco sopra il centro di Srebenica. Da 12 anni sono profughi.
Da dove venite?
Siamo del comune di Vares, a 50 chilometri da Sarajevo. Dal 1993 siamo profughi, siamo stati cacciati da Ilijas, poi nel 1995 quando è stato firmato l'Accordo di Dayton siamo venuti da queste parti. Prima a Potocari, poi quando i proprietari della casa sono tornati, ci hanno dato due stanze qui all'Hotel Domavija.
Da quanto tempo siete qui?
Da due anni e mezzo.
E la vostra casa di Vares?
Distrutta, non c'è più niente.
Nessuno vi ha aiutato a ricostruirla?
Chi vuoi che ci aiuti?
La comunità internazionale?
Macché! E poi prima dovrei costruire una casa, e poi cosa faccio? Torniamo là, e i bambini? Non ci sono scuole, là non c'è niente. Prima c'era una scuola a 7-8 chilometri dal villaggio. Ma adesso non c'è più niente, è tutto distrutto. Almeno qui i bambini possono andare a scuola. Nessuno vuol tornare a quel villaggio.
Quindi voi siete profughi da 12 anni... quali sono le vostre prospettive per il futuro?
Nessuna. Io lavoro per un'industria privata che lavora il legno, a Bratunac. Sopravviviamo.
Ricevete degli aiuti?
Nessuno. Se ricevessi degli aiuti cercherei di costruire una casa.
Secondo voi chi è responsabile della vostra situazione?
Non lo so, il ministero ha in mano la questione degli appartamenti.
C'è qualche organizzazione che si occupa dei profughi?
C'è un'organizzazione per i diritti, ma è sorda su queste cose. Per tutto il tempo invii carte e documenti e ti dicono di fare domanda per la proprietà.
Quanti profughi ci sono qui a Domavia?
Circa 30 famiglie. Per lo più sono tutti del comune di Srebrenica, gli unici siamo noi che veniamo da fuori.
Come sono i rapporti con le altre nazionalità presenti a Srebrenica?
Buoni, per quanto ne so. Non ho niente con loro. Anche loro fanno fatica a rientrare.
Non ci sono problemi?
No. C'era persino una donna musulmana qua, al secondo piano dell'Hotel. È stata qua finché non le hanno costruito la casa. Adesso è tornata a casa sua, in un villaggio ad una quindicina di chilometri da Srebrenica.