Con la dissoluzione della ex Jugoslavia sono molte le città che si sono ritrovate divise. Lo scorso 21 marzo è stato dedicato a queste ultime un convegno a Trieste promosso dall'Istituto Maritain e dal Master di Portogruaro. Iniziamo a pubblicare alcuni dei materiali emersi. Nel mese di giugno gli organizzatori pubblicheranno gli atti anche in cartaceo
Travnik, Bosnia centrale
Di Silvia Trogu
Città divise da nuovi confini statali
Dopo la dissoluzione della Repubblica Federale di Jugoslavia, con la creazione di Stati indipendenti, molte città sono state divise dai nuovi confini statali. Ad essere interessate da questo nuovo assetto sono state soprattutto le città che si sono sviluppate sulle sponde dei fiumi, che ora sono diventati confini statali.
Sul fiume Sava (confine fra la Republika Srpska di Bosnia ed Erzegovina e la Croazia) abbiamo Srpski/Bosanski Brod, Slavonski Brod, Orašije/Županja, Brčko/Gunja. Sul fiume Una (confine fra la Republika Srpska di Bosnia Erzegovina e la Croazia): Bosanski Novi/Dvor, Bosanska Kostojnica /Hrvatska Kostojnica. Sul fiume Drina (confine fra la Federazione di Bosnia ed Erzegovina e la Serbia e Montenegro): Zvornik/Mali Zvornik, Bratunac/Ljubovija.
I ponti che una volta erano parte integrante della rete logistica interna delle città sono oggi… punti di controllo passaporti e di dogana. Ciascuna parte della città divisa, proprio perché appartenente ad uno stato diverso, tende a differenziarsi nello sviluppo in funzione del nuovo Paese di appartenenza.
Città interne divise da nuovi confini amministrativi definiti lungo le linee di divisione sub-nazionali
Sono circa il 30% del totale le nuove unità amministrative locali (indicate con un asterisco), nate dalla ridefinizione dei confini amministrativi lungo linee di divisione "sub-nazionali". Questo è anche il risultato della divisione del Paese, così come è stata contemplata dagli Accordi di Dayton (14 dicembre 1995), che prevede la partizione del Paese sostanzialmente in Federazione di Bosnia Erzegovina (F) (a maggioranza croata e musulmana) e Republika Srpska (RS) (a maggioranza serba). Si tratta per lo più di entità amministrative locali situate sul confine fra Republika Srpska e Federazione o, all'interno della Federazione, fra cantoni.
Emblematico il caso di Doboj (100 mila ab. 1991) che oggi è ripartito in Doboj (RS), Doboj Jug*(F, Cantone di Zenica-Doboj), Doboj Istok* (F, Cantone di Tuzla). Altre città sono state poi divise per ragioni diverse da quelle cosiddette "sub-nazionali", un esempio per tutti Travnik e Novi Travnik dove il confine divide … le fabbriche di armamenti!
Città divise dall'estremismo sub-nazionalistico
Queste divisioni, se pur non codificate dal punto di vista amministrativo, sono fortemente presenti nel vivere e sentire quotidiano degli abitanti.
Si tratta di sottili differenze culturali e religiose alimentate ad arte dalla propaganda politica degli ultimi anni. A tutti è noto il caso di Mostar Est – Mostar Ovest. Esempi simili non mancano, come per esempio: Žepće/Zavidovici, Tešanj/Usora, ecc.
L'insieme di queste tre tipologie di "città divise" si stima rappresentino circa il 50% di tutte le entità amministrative di base della Bosnia ed Erzegovina ed il 60% della popolazione!
Sono le stesse nelle quali il ritorno ed il reinserimento degli sfollati e dei rifugiati (che alla fine della guerra erano 1,2 milioni, pari a un terzo della popolazione, che consta di 4,1 milioni) è più difficile (a 10 anni dalla fine delle ostilità, secondo stime dell'UNCHR, meno della metà di loro sono ritornati nei luoghi di origine).
Si tratta di divisioni create dalla guerra e probabilmente consolidate dalla successiva politica di stabilizzazione. Al punto che, parafrasando liberamente Von Klawseviz, si può affermare con una certa sicurezza che queste divisioni altro non sono che "la continuazione della guerra attraverso la negazione dei diritti di cittadinanza".
Spesso, infatti, la pulizia etnica perpetrata durante la guerra dalle diverse fazioni in lotta, continua ad essere praticata su un piano diverso, attraverso la discriminazione.
Come è possibile, infatti, vivere e/o pensare di tornare nella propria città se non si ottiene la residenza, che dà diritto a soggiornare, a riottenere la propria casa o, una volta ottenuto tutto questo, se la discriminazione sul posto di lavoro è tale da rendere impossibile lavorare? (ammesso che ci sia un lavoro disponibile per "uno di loro", vista la disoccupazione che affligge il Paese).
Si noti che, paradossalmente, le attuali "città divise", sono quelle che prima del 1991 avevano una percentuale particolarmente alta di matrimoni misti.
Vivere nel Paese delle città divise
Passo ora ad illustrare alcune esperienze concrete di discriminazione e di auto-esclusione dai diritti di cittadinanza, soprattutto di quelli di tipo "solidale", per dare un'idea di cosa significhi vivere sia in un Paese che in una "città divisa".
Del mondo accademico ho esperienza diretta. Il sistema accademico della Jugoslavia era incentrato su pochi poli universitari specialistici. Per cui, ad esempio, si studiava Medicina a Belgrado, Giurisprudenza e Belle arti a Sarajevo, Ingegneria a Tuzla.
Conseguentemente, questa impostazione presupponeva e imponeva la mobilità degli studenti e dei docenti; essa veniva incoraggiata dallo stato anche attraverso idonei incentivi economici. Tra l'altro, questa mobilità favoriva la convivenza, le relazioni interpersonali e l'alto numero di matrimoni misti all'interno dell'elite intellettuale del Paese.
Nella Bosnia ed Erzegovina del dopoguerra, ogni gruppo "sub-nazionale" ha voluto la propria università quale fucina della proprio futuro ceto dirigente. Al servizio di questo progetto sono stati chiamati i propri docenti. Soprattutto quelli che per la loro appartenenza ad uno dei due gruppi sub-nazionali minoritari della capitale (croati e serbi) si trovavano in grosse difficoltà nella Università di Sarajevo, a causa dell'ostracismo sub-nazionalistico che si andava sempre più imponendo.
La nascita ed il proliferare di nuove facoltà, unite alla contemporanea riduzione del corpo docente della principale università del Paese, Sarajevo, ha portato ad un diffuso abbassamento del livello di preparazione dei giovani.
Oggi, dopo un periodo di attivazione e sviluppo indiscriminato di nuove università e facoltà, la Bosnia ed Erzegovina sta lentamente razionalizzando il proprio sistema universitario, che sarà composto di soli 4 poli: Sarajevo, Banja Luka, Mostar e Tuzla.
In attesa che il piano di sviluppo universitario dia i suoi frutti, desidero illustrarvi due fenomeni emblematici dell'attuale situazione di divisione: quello dei "visiting professor" e quello della differenziazione dell'utenza di ogni università in funzione della sub-nazionalità di riferimento.
A parte il caso limite di Mostar dove sono attualmente presenti due università, in tutto e per tutto "parallele", una musulmana ed una croata, posso parlarvi per esperienza diretta dell'Università di Banja Luka.
Quale polo universitario di riferimento della Republika Srpska, quindi della componente "sub-nazionale" serba di Bosnia ed Erzegovina, richiede i docenti alla "università di riferimento nazionale" (Belgrado) per far fronte alle esigenze didattiche che non è in grado di soddisfare.
Tutto questo ha dei costi altissimi, che potrebbero essere evitati o ridotti ricorrendo a docenti delle università di Sarajevo o Tuzla che sono a poco più di un centinaio di km.
Inoltre questi "visiting professor", proprio perché vengono da Belgrado, tengono normalmente lezioni estremamente irregolari e in numero decisamente inferiore al programma, con conseguente abbassamento del livello didattico.
Questo comportamento è replicato dall'università di Mostar Ovest, croata, che, "ovviamente", si avvale di "visiting professor" delle università di Dubrovnik, Spalato e Zagabria.
Per quanto riguarda gli studenti dell'Università di Banja Luka, essi sono, salvo poche eccezioni, di nazionalità serba. Di questi, pochi si sono avventurati a visitare la parte musulmana di Sarajevo, pur essendo stati nella Sarajevo Srpska.
Con le attuali politiche, della vecchia mobilità di docenti e studenti favorita dalla Jugoslavia, che tanto ha contribuito a favorire la convivenza e l'alto numero di matrimoni misti all'interno dell'elite intellettuale del Paese, rimangono solo … alcuni testimoni superstiti.
Per quanto riguarda più in generale il mondo scolastico, di cui non ho esperienza diretta, desidero condividere con voi le riflessioni riportate nel rapporto UNDP dell'aprile 2004.
Dopo aver analizzato la recente riforma del sistema scolastico portata avanti sotto l'egida della Comunità Internazionale, nel rapporto si nota che, per rispondere alle esigenze dei singoli gruppi sub-nazionali, detta riforma in pratica ha portato alla nascita di scuole parzialmente separate sotto lo stesso tetto. Fatto questo che difficilmente può ascriversi a iniziative di promozione del diritto allo studio, della comprensione, della tolleranza, della convivenza, dell'integrazione delle minoranze.
Nel rapporto si osserva come la riforma, così come viene attuata, mentre era nata per garantire uguali diritti alle minoranze (con classi separate per storia, letteratura e religione), finisce di fatto per mancare al fondamentale ruolo di fornire una educazione equilibrata, per sancire e stabilire per legge la polarizzazione culturale e religiosa e, a volte, per provocare una vera e propria segregazione.
Emblematico in questo senso il progetto pilota attivato in un liceo di Mostar. Avrebbe dovuto essere la prima scuola del dopoguerra ad accogliere studenti sia musulmani che croati. Alla fine si sono create classi differenti, entrate differenti, libri di testo differenti e così via... Questo esempio credo si commenti da solo.
Situazioni simili si verificano nel settore dell'assistenza sanitaria. Premesso che Federazione e Republika Srpska hanno due sistemi mutualistici separati, in Bosnia ed Erzegovina ogni gruppo sub-nazionale usufruisce di fatto solo dei servizi sanitari di appartenenza.
Che cosa succede quando questi servizi non ci sono o non sono ritenuti adeguati dal cittadino-paziente? I serbi vanno a Belgrado, anche se questo comporta loro un lungo viaggio e costi spesso insostenibili; di converso i croati vanno a Zagabria o Spalato.
Alla mia domanda: "perché non vai a Sarajevo per le cure e le analisi?", i serbi di Banja Luka mi hanno risposto che non ritenevano di poter accedere, neanche a pagamento, al servizio sanitario della Federazione. Alcuni, inoltre, hanno espresso molto velatamente (essendo io una straniera) delle riserve sulla fiducia da accordare al personale medico e paramedico di un ospedale mono-nazionale di un'altra componente sub-nazionale.
Analogamente a quanto sopra riferito per i "visiting professor", sono le stesse strutture sanitarie di Banja Luka a mandare, per i casi più gravi, i pazienti in Serbia e Montenegro, a spese della Republika Srpska.
Nelle città divise l'accesso ai servizi sanitari può diventare in tanti modi un fattore discriminante. Mi è stato riferito da fonti affidabili che a Mostar, per esempio, i pazienti musulmani, quando hanno bisogno di analisi che possono essere effettuate solo nelle strutture presenti nella parte croata della città, devono… sottomettersi ad estenuanti e puntigliose pratiche burocratiche prima di venir accettati: pratiche certamente inventate per scoraggiare gli "altri" dall'accesso al servizio.
Rimane, quindi, il fatto che ognuno si rifà alle strutture sanitarie del proprio gruppo sub-nazionale, gestite esclusivamente da personale "fidato".
…..
Nulla però come i trasporti pubblici racconta della divisione del Paese e delle città. Essi sono strutturati su base sub-nazionale e centrati sulle rispettive "capitali": Sarajevo e Banja Luka, Mostar ovest.
Ciascuna parte delle città divise è servita, spesso malamente, dai sistemi di trasporto afferenti al proprio polo di riferimento sub-nazionale.
A Sarajevo, come a Mostar ed a Doboj, ci sono due stazioni degli autobus distinte, ciascuna delle quali fa riferimento al sistema di trasporto relativo al proprio polo di riferimento sub-nazionale. Così da Sarajevo Srpska, ci sono 4 collegamenti giornalieri con Banja Luka e addirittura 6 con Belgrado e 4 con Podgorica (Montenegro). Analogamente da Sarajevo ci sono diversi collegamenti giornalieri con Zagabria, ma due soli con Banja Luka.
Desidero sottolineare, inoltre, che gli autobus non effettuano il percorso più breve per collegare le principali città, bensì quello che collega il maggior numero di zone a forte presenza della componente sub-nazionale di riferimento.
Un paradigma per tutti i sistemi di trasporto delle "città divise": tra la stazione degli autobus di Sarajevo e di Sarajevo Srpska, non c'è alcun mezzo di collegamento, anche se distano solo 6 o 7 km l'una dall'altra.
Il risultato di questo sistema di trasporti, è che il cittadino bosniaco … viaggia su mezzi di trasporto e su tratte appartenenti solo al proprio gruppo sub-nazionale …
Lascio a voi immaginare l'effetto di questo sistema sullo sviluppo della conoscenza reciproca di chi vive in "città divise" di piccole dimensioni…, dove normalmente è più intensa la propaganda sciovinista.
Recuperare le tradizioni di convivenza
Dopo questa, a mio avviso, doverosa testimonianza di ciò che significa oggi vivere in una "città divisa" della Bosnia Erzegovina, esperienza che penso sia simile a quella di cinquant'anni fa di questa città ed altre realtà del confine orientale italiano, voglio ora entrare nel merito della costruzione di ponti culturali.
Penso che, per chi dall'esterno intende impegnarsi a costruire ponti nelle e tra le città divise, sia opportuno rifarsi alle tradizioni di convivenza che, a dispetto della propaganda, mi risulta siano sempre state molto radicate in Bosnia ed Erzegovina.
Il komšiluk
Komšiluk: è una parola di origine turca indicante rapporti di buon vicinato fra gente di diversa religione e tradizione.
Per indicare il vicino di casa esistono, in Bosnia ed Erzegovina, due parole: komšija e susjed, la cui differenza di significato è chiarita dal seguente proverbio: "chiunque può essere un susjed, ma non un komšija."
A quanto mi risulta ed ho potuto verificare, il komšija è una presenza fondamentale sia alle feste "familiari" (dove la tradizione vuole che i primi invitati siano i vicini e solo secondariamente i parenti), che a quelle religiose (nelle quali la presenza di un komšija è considerato un onore per i padroni di casa ed un dovere sociale per il komšija stesso, se appartenente ad una altra religione).
Nella narrativa e nella produzione culturale popolare, solo la presenza di komšija salva dall'estraneamento, dalla coesistenza forzata. I grandi spostamenti delle minoranze sub-nazionali causati dalla guerra, come anche l'urbanizzazione, hanno inferto un duro colpo alla tradizione del komšiluk.
Gli spazi di identità e di convivenza dei bacini fluviali
In tutti i paesi privi di sbocchi al mare, i bacini fluviali rappresentano da sempre importanti spazi di identità e di convivenza. Nei Balcani occidentali questa tradizione di convivenza consolidata, è stata profondamente modificata dalla guerra del 1992-95.
Fiumi come la Sava, la Drava, la Drina, la Una sono addirittura diventati dei confini statali; in alcuni tratti addirittura minati.
Oggi gli abitanti delle città nate sulle due sponde di questi fiumi, sono obbligati a fare i conti con i confini statali e con le relative procedure di passaggio, magari soltanto per andare a coltivare i propri campi dall'altra parte...
I fiumi che prima della guerra univano, ora dividono.
Ma in quei bacini vivono popolazioni che (dopo il recente passato che le ha viste confrontarsi per affermare la loro identità nazionale), vogliono lasciarsi alle spalle lo stato di impoverimento in cui sono cadute, nonché superare il loro status di "limes interno" per diventare parte integrante dell'Unione Europea.
A mio avviso, l'esperienza di convivenza multinazionale, esistente fino a 15 anni fa all'interno di questi grandi bacini idrici, insieme alle comuni radici culturali, come ad esempio la tradizione mitteleuropea, dovrebbero essere riscoperte e valorizzate nei progetti di riconciliazione e di integrazione europea.
In questo senso penso che la positiva esperienza di convivenza multinazionale realizzata nel bacino dell'Isonzo, potrebbe essere un esempio da promuovere nei bacini fluviali dei Balcani occidentali.
I diritti di cittadinanza: il caso di Tuzla
Prima di passare ad affrontare il tema proposto, desidero richiamare la vostra attenzione su una realtà multinazionale che in Bosnia ed Erzegovina esiste ancora: il Cantone di Tuzla dove vivo e lavoro.
Tuzla, la capitale del Cantone, è certamente una città non-divisa, né fisicamente (quartieri), né spiritualmente (i luoghi di culto musulmani, ortodossi e cattolici non sono stati distrutti e continuano a coesistere come prima).
Sviluppatasi come città industriale a partire dal 1860, su impulso dell'impero austro-ungarico che era interessato a sviluppare la produzione di nuovi prodotti chimici, ricavabili dai sali delle sue miniere (Tuzla significa sale in lingua turca), la moderna città di Tuzla nasce come crogiuolo di immigrati provenienti da tutto l'impero (tra cui anche italiani della Val Sugana e delle valli del Friuli), senza che nessuna "nazionalità" predominasse. Tuzla è, quindi, una "città di tutti e di nessuno".
Questa origine spiega la diversità di condotta di quest'area rispetto alle altre del Paese durante le ostilità del 1992-95.
Visto che, per motivi politici, nessun censimento ha più avuto luogo dalla fine delle ostilità, non restano che le stime dell'OHR e UNCHR secondo le quali sul territorio sono presenti circa lo stesso numero di serbi e croati che erano presenti prima delle ostilità, nonostante la popolazione musulmana sia aumentata, avendovi trovato rifugio molti di quelli che sono stati espulsi dalle città luoghi di massacri, come Goražde, Brčko, Srebrenica.
Perché qui la multi-nazionalità è sopravvissuta alla guerra?
Secondo gli esperti locali ed internazionali, questa realtà multinazionale è rimasta tale grazie alle autorità locali che:
· non solo sono riuscite a disinnescare il circolo vizioso delle reazioni a catena fra le varie componenti sub-nazionali, ma anche a preservare il concetto di convivenza pacifica, rafforzando l'immagine di città tollerante, multi-religiosa, multinazionale, nonostante le molte trappole e tentazioni.
· Hanno saputo assicurare l'esercizio della giustizia e la non discriminazione, soprattutto nei luoghi di lavoro, a tutti gli abitanti della città, indipendentemente dal gruppo sub-nazionale di appartenenza, come diritti fondanti di cittadinanza.
Circa l'importanza e l'impatto della giustizia sulla conservazione del carattere multinazionale della città, desidero citarvi lo studio del giornalista di Front Slobode, Alić Sinan (un musulmano) "Suffering of the Serbs in Tuzla: reality or deception6?" sull'assicurazione alla giustizia dei responsabili di episodi di violenza perpetrati contro i serbi nel corso della guerra del 1992-1995.
Il Cantone di Tuzla, naturale corridoio alla Krajna serba, durante la guerra ha sofferto in più occasioni l'iniziativa dell'esercito jugoslavo e delle unità paramilitari (a cui pare abbiano aderito circa 200 - 300 cittadini serbi del Cantone, a fronte degli oltre 20.000 che lo abitavano).
Analizzando in dettaglio la reazione istituzionale agli episodi di violenza commessi contro serbi fra il 1992 ed il 1995, ed in particolare allo scontro fra l'esercito jugoslavo e le forze cantonali, il 15 maggio 1992 a Brčanska Malta, il suddetto studio mostra che nell'area del Cantone ci sono stati solo 7 omicidi perpetrati contro serbi ed un tentativo di omicidio.
I responsabili di questi misfatti sono stati: 7 militari della Bosnia della Erzegovina e 4 civili, tutti di sub-nazionalità bosniaca o " musulmani".
Tutti i colpevoli sono stati portati in tribunale e condannati ad un totale di 130 anni.
I motivi dei crimini, in base agli atti processuali, sono stati: personali – saccheggio (9), combinazione di fattori personali e vendetta (1), altro (1).
Questo dimostra ancora una volta che la giustizia e la non-discriminazione dei cittadini di fronte alla legge, è e rimane il fondamento della pace e della convivenza civile, soprattutto in ambito multinazionale.
Una proposta concreta
Se con me convenite, che il vero limite che condiziona il presente ed ancor di più il futuro delle "città divise", è l'assenza di dialogo e di conoscenza reciproca tra i diversi gruppi sub-nazionali, allora per il loro sviluppo diventa fondamentale educare le giovani generazioni delle città divise a questi valori.
Si tratta di educare le nuove generazioni, che sono cresciute durante la guerra, che non hanno mai sperimentato la tradizionale convivenza e che hanno una conoscenza dell' "altro" indiretta, mediata dalla propaganda e dai traumi di guerra.
A tal fine ripropongo un progetto a me molto caro: "Una settimana d'incontro fra i giovani artisti delle "città divise" dei Balcani occidentali", che un domani può essere replicato nelle "città divise" di altre regioni o continenti scossi dalle guerre.
E' il mio sogno nel cassetto, che non ha ancora potuto trasformarsi in un progetto per mancanza di partner adeguati e di fondi.
Si tratta di un'iniziativa culturale volta a richiudere le ferite e le divisioni indotte dalla guerra, promuovendo il dialogo tra i giovani delle città, ora divise da nuovi confini statuali o che sono separate al loro interno da sottili differenze religiose, politiche e psicologiche, alimentate ad arte dalla propaganda politica degli ultimi anni.
Nella sua essenza, l'iniziativa in oggetto consisterebbe nel fare incontrare fra loro i giovani artisti delle città "divise" con cadenza periodica (ogni sei mesi per esempio), ogni volta in una diversa città "divisa" dei Balcani occidentali.
Considerate le difficoltà che incontra il dialogo politico ad affermarsi a livello regionale, nonché gli obiettivi degli amministratori delle città "divise", che sono chiamati ad adeguare le infrastrutture ed i servizi alla nuova realtà statale o amministrativa sorta dal conflitto, il lancio di un simile programma non potrebbe che avvenire in una città terza, culturalmente vicina ma estranea ai conflitti che hanno generato le attuali divisioni. Questo permetterebbe anche di soddisfare le aspirazioni cosmopolite dei giovani.