Di Romania in Italia si è iniziato a parlare soprattutto quando negli anni '90 il Nordest ha iniziato a delocalizzarvi le proprie imprese. Ma anche da allora poco è stato pubblicato in merito alla storia di questo Paese. Riportiamo un saggio a firma di Nunzio dell'Erba, ricercatore di storia contemporanea presso l'Università di Torino, e pubblicato sul numero di aprile della Rivista della Scuola superiore dell'economia e della finanza. La Romania dallo stato moderno ai giorni nostri
Di Nunzio dell'Erba
La storia della Romania, nel corso della sua vicenda politica unitaria, non ha avuto grande fortuna nel nostro Paese. La sua conoscenza è rimasta quasi limitata alle opere storiche diffuse in Italia durante il regime comunista, che ha adattato al suo modello economico e politico un'immagine distorta sia sul piano culturale sia su quello storico. Così la conoscenza della Romania ha subito un profondo sradicamento della tradizione storica, che ha avuto illustri rappresentanti sin dall'unificazione moldavo-valacca dei Principati. Sul piano internazionale la letteratura storica è molto ricca[1], mentre in Italia la storia romena - studiata con obiettività da pochi anni[2] - presenta non poche lacune, che sono state colmate solo in parte dalla cospicua produzione storica degli anni comunisti[3].
Gli storici romeni, seppure profondamente divisi sulla periodizzazione da dare alla storia del loro Paese[4], hanno ravvisato gli elementi costitutivi dello Stato unitario nella tradizione storica, nel sentimento nazionale, negli interessi comuni della vita economica e soprattutto nella comunanza della lingua. Essi addirittura hanno ripreso una tesi messa in rilievo dallo storico italiano Antonio Bonfini, che già nel XVI secolo aveva sostenuto la comunanza linguistica come elemento indispensabile dell'unità politica e territoriale (ut non tantum pro vitae, quantum pro linguae incolumitate)[5].
L'introduzione della stampa e l'uso della lingua latina nella Chiesa e nell'amministrazione dello Stato hanno contribuito a rafforzare i rapporti commerciali tra la Moldavia e la Valacchia con la Transilvania, la cui economia si è sempre orientata verso il Danubio e il Mar Nero. Le città di Braşov, di Bistriţa e di Sibiu hanno rappresentato i principali punti di contatto delle tre regioni sul piano economico. A questo aspetto strettamente commerciale si deve aggiungere un fondo culturale comune costituito dai costumi, dalle convinzioni religiose e dai medesimi rituali come le cerimonie dei battesimi, delle nozze, dei funerali e delle feste.
Le prime formazioni politiche «cnezate» e «voivodate» sono apparse fra il IX e il XIII secolo in Moldavia, in Valacchia e in Transilvania, regioni circondate in quei secoli da potenti Stati feudali con mire egemoniche. L'ondata delle invasioni barbariche, durata fino alla seconda metà del XIII secolo, ha ritardato la formazione dei tre voivodati. La loro lotta, proseguita contro le tendenze espansionistiche degli Stati confinanti (il regno di Polonia e quello d'Ungheria), ha assunto un peso decisivo durante l'instaurazione del dominio ottomano.
Con il declinare della potenza turca verso il principio del XVIII secolo, i Paesi romeni divennero campo di lotta fra i contrastanti espansionismi dell'Impero austriaco e di quello zarista. Ma in pari tempo si diffusero, con la cultura dell'Europa occidentale, le idee di libertà e di indipendenza proclamate dalla Rivoluzione francese e nel 1822 i Fanarioti, posti dal governo ottomano sui troni di Valacchia e di Moldavia, furono sostituiti con prìncipi nazionali. Il risultato più interessante di questa particolare situazione giuridico-internazionale fu determinato dall'introduzione del «Regolamento organico»[6] (una vera e propria Costituzione), che stabilì la separazione dei poteri ed istituì un'Assemblea generale, un consiglio dei ministri, un'apparato burocratico, un sistema fiscale e un esercito estesi su tutto il territorio dei due Principati. Grazie ad esso - come giustamente è stato sottolineato – iniziò un processo di trasformazione politica, che da un lato portò ad una concentrazione del potere nella classe dei boiardi e dall'altra consentì lo sviluppo dell'industria manufatturiera e una maggiore circolazione di merci e persone. Divennero così numerosi i giovani, che si recarono all'estero per studiare, soprattutto in Francia, dove assorbirono le idee liberali e diedero vita ai movimenti patriottici[7].
La rivoluzione del 1848 risvegliò un sentimento nazionale, che pose le condizioni per l'abbattimento del dominio turco. Nel decennio successivo i contrasti tra la Russia e la Sublime Porta favorirono un processo unitario, che si concluse nella seconda metà del XIX secolo, quando si consolidò l'idea di nazione e si affermò il progetto di uno Stato nazionale. Nel 1858 le Grandi Potenze (Austria, Inghilterra, Prussia, Regno di Sardegna, Russia) decisero di sostituire ai vecchi istituti di tipo costituzionale una Convenzione e un nuova legge elettorale[8]. Grazie ad essa fu raggiunta, l'anno successivo, l'Unione dei Principati di Moldavia e di Valacchia, che costituì nel 1862 lo Stato romeno[9].
Il processo di rinascita nazionale, che investì la Romania negli anni postunitari, si sviluppò sulla base della Convenzione imposta ai due Principati e sulla sua trasformazione nella Costituzione del luglio 1866; mentre sul piano internazionale si svolse attraverso profondi cambiamenti nei rapporti fra le Grandi Potenze, scanditi dalla crisi d'Oriente (guerra russo-turca, 1875-1878), dal Congresso di Berlino sino alle guerre balcaniche e alle lotte dei movimenti indipendentistici per l'annessione della Transilvania e la realizzazione della «Grande Romania».
In questo processo unitario le idealità nazionali trovarono piena attuazione dopo la Prima guerra mondiale, quando la Romania - in seguito all'aumento della popolazione e all'estensione del suo territorio - modificò completamente il suo volto. Essa s'ingrandì notevolmente, incorporando la Bessarabia, ossia la regione tra il Prut e il Dnestr; la Bucovina, situata a nord della Moldavia; parte del Banato e la Transilvania, posta all'interno dell'arco carpatico. Con il Trattato del Trianon (4 giugno 1920), infatti, la Transilvania venne incorporata nel territorio della Romania, che raggiunse un'estensione di 294.000 kmq: cifra che diminuì nel 1940, quando la Romania fu obbligata a cedere all'Ungheria parte della Transilvania, alla Bulgaria la Dobrugia meridionale e all'Unione Sovietica la Bessarabia e la Bucovina settentrionale. Alla fine della Seconda guerra mondiale la Romania restituì solo i territori ceduti all'Ungheria, ma divenne uno dei tanti stati satelliti dell'Unione Sovietica.
La dittatura «velata» di Gheorghiu-Dej e quella macroscopica di Ceauşescu frenarono ogni forma di sviluppo in Romania, anche se entrambi cercarono di garantirsi una certa autonomia sul piano internazionale. Poi la caduta del muro di Berlino, nel novembre 1989, segnò anche per la Romania la fine di un'èra, il trapasso a un sistema politico pluralistico, l'ingresso nella NATO e l'avvio di un processo di modernizzazione che dovrebbe culminare entro il 2007 nell'ingresso nell'Unione europea[10].
Sommario: 1. Premessa - 2. Lo Stato unitario - 3. I primi lustri del '900 - 4. Il Primo conflitto mondiale - 5. Il periodo interbellico - 6. La Seconda guerra mondiale e le sue conseguenze - 7. Il comunismo nazionale - 8. Il regime di Ceauşescu - 9. La difficile transizione verso la democrazia.
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testo integrale del saggio
Note:
[1] Sulla bibliografia storica in francese e in inglese rinvio a C. Durandin, Histoire des Roumains, Fayard, Paris 1995, pp. 533-557; Kurt W. Treptow (edited by), A History of Romania, The Center for Romanian Studies, Iaşi 1996, pp. 640-690.
[2] F. Guida, La Romania contemporanea, Edizioni Nagard, Milano 2003; A. Biagini, Storia della Romania contemporanea, Bompiani, Milano 2004.
[3] Tra le numerose pubblicazioni, apparse in questi anni, si distingue il volume collettaneo AA. VV., Storia del popolo romeno, a cura di A. Oţetea, Editori Riuniti, Roma 1971.
[4] Sulla suddivisione cronologica della storia romena, per il periodo precedente il regime comunista, interessante è ancora il volume di I. Lupaş, I principali periodi della storia dei Romeni, Anonima Romana Editoriale, Roma 1930. La trattazione più compiuta si ritrova, in I. Scurtu-G. Buzatu, Istoria Românilor în secolul XX (1918-1948), Paideia, Bucureşti 1999.
[5] C. Isopescu, Notizie intorno ai Romeni nella letteratura geografica del Cinquecento, in «Bulletin de la Section Historique de l'Académie Roumaine» (Bucarest), 1929, a. XVI, fasc. I, p. 18. L'autore si riferisce al volume: A. Bonfinius, Rerum Ungaricarum decades quatuor cum dimidia, ex officina Oporiniana, Basilae 1568.
[6] I. C. Filitti, Domniile române sub Regulamentul Organic 1838-1848, Socec-Sfetea, Bucureşti 1915.
[7] A. Biagini, Storia della Romania contemporanea cit., pp. 16-18.
[8] Convenţiune pentru reorganizarea definitivă a Principatelor Dunărene Moldova şi Valahia, traducere după textul francez, publicată de Independenţa Belgică, Tipografia Buciumului Român, Iaşi, 1858.
[9] Sulla fusione dei Principati in uno Stato unico cfr. A. Oţetea, Unirea Principatelor [L'unione dei Principati], in AA. VV., Studii privind Unirea Principatelor [Studi sull'Unione dei Principati], Bucureşti 1960; D. Berindei, Il processo di unificazione dei Principati danubiani e l'avvio dell'unità nazionale, in AA. VV., Risorgimento. Italia e Romania 1859-1879. Esperienze a confronto, Centro di studi sull'Europa Orientale, Milano1992; D. Berindei, Il secolo XX, in AA. VV., Una storia dei Romeni. Studi critici, Fondazione culturale Romena Centro di studi Transilvani, Cluj-Napoca 2003, pp. 264-270.
[10] Su questi temi cfr. il volume collettaneo Romania-Italia-Europa. Storia, politica, economia e relazioni internazionali, a cura di F. Randazzo, Periferia, Cosenza 2003.