Il noto giornalista e scrittore Tim Judah analizza le conseguenze della rivelazione del video degli “Scorpioni” sulla popolazione e le forze politiche serbe, mettendo allo stesso tempo in luce la tensione latente nell’area di Srebrenica. Ieri la polizia ha ritrovato 35 kg di esplosivo vicino al Memoriale di Potocari
Di Tim Judah, per Transitions Online, 30 giugno 2005 (titolo originale: “Massacre Video Sparks Confusion”)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta
Srebrenica (foto Gughi Fassino)
Srebrenica, Belgrado, Banja Luka - Nel corso del processo a Slobodan Milosevic, l’ex leader serbo e jugoslavo, l’accusa ha presentato il primo giugno un videotape, nastro poi mostrato alla stampa nel prosieguo della serata. Il nastro mostrava apparentemente gli uomini di un gruppo paramilitare serbo chiamato gli Scorpioni mentre giustiziavano sei giovani di Srebrenica, in seguito alla caduta dell’enclave bosgnacca (bosniaco musulmana), nel luglio 1995. Ne è risultata una tempesta politica che ancora deve placarsi e che ha lasciato molti Serbi arrabbiati e confusi. Quando il nastro è stato mostrato per la prima volta, l’accusa presso il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY), con sede all’Aja, ha sostenuto che gli Scorpioni fossero sotto il controllo del Ministero dell’Interno serbo. Se ciò venisse provato, avrebbe un significato politico e giudiziario enorme. In effetti, l’accusa ritiene di aver trovato la “smoking gun” che collega la Serbia e la sua passata leadership al massacro di Srebrenica, che già il tribunale dell’ONU in una precedente sentenza ha inequivocabilmente giudicato essere un genocidio. Almeno 8.000 uomini e ragazzi bosgnacchi furono uccisi in seguito alla caduta dell’enclave.
Dapprima, la leadership serba si è affrettata a denunciare il crimine visto nel video. Sia il Primo Ministro serbo Vojislav Kostunica che il Presidente serbo Boris Tadic hanno rilasciato dichiarazioni molto decise e diversi ex componenti degli Scorpioni sono stati arrestati. Ma non appena hanno incominciato a piovere recriminazioni, non c’è stato accordo su cosa fare in seguito.
Se il video fosse stato mostrato in un qualsiasi altro momento degli ultimi anni, avrebbe sicuramente avuto un significato politico minore di quello che ha assunto oggi. Il problema, per la Serbia, è che il caso degli Scorpioni è esploso solo poche settimane prima della commemorazione del decimo anniversario del massacro, che si terrà a Potocari, appena fuori Srebrenica, l’11 luglio. Sarà un importante evento politico e mediatico, alla presenza di importanti rappresentanti della regione e di tutto il mondo.
Prima che il video fosse mostrato, il Presidente Tadic aveva ricevuto un invito a presenziare da parte della presidenza bosniaca, a cui non aveva ancora risposto perché stava presumibilmente valutando le diverse opzioni a sua disposizione. All’indomani della tempesta mediatica dopo la proiezione del video, Tadic non ha avuto altra scelta che confermare la sua partecipazione. Comunque, si è accorto ora che per il suo viaggio sarebbe servito un maggiore appoggio politico.
BELGRADO AL CENTRO DELL’ATTENZIONE
La mossa è poi passata al parlamento serbo. Qui, ancora prima che il video fosse mostrato, i deputati liberali Zarko Korac e Natasa Micic avevano già presentato una mozione che invitava i membri dell’assemblea a condannare il massacro come genocidio. Avevano fatto questo all’indomani di un pubblico raduno tenutosi il 17 maggio alla scuola di legge dell’Università di Belgrado, in cui gruppi di estremisti nazionalisti e di destra avevano celebrato la “liberazione” di Srebrenica (in cui prima della guerra il 73 per cento della popolazione era bosgnacca) e avevano sostenuto che nessun massacro avesse avuto luogo, oppure che i bosgnacchi avessero gonfiato a dismisura il numero dei morti.
Con la pubblicazione del video, prendere posizione è diventata una questione urgente. Non era in discussione l’ammettere che il genocidio avesse avuto luogo, specialmente mentre la Serbia-Montenegro è ancora alle prese con una causa giudiziaria potenzialmente molto pericolosa, portata dalla Bosnia ed Erzegovina di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), che la accusa di genocidio. Quello che spaventa i leader serbi non è solo il costo politico per la Serbia e i Serbi in generale di perdere questa causa, ma i miliardi che la Bosnia domanderà in risarcimento se vince. Ciò nonostante, il partito di Tadic avrebbe voluto approvare una risoluzione in cui la specifica natura del crimine veniva riconosciuta. Il partito di Kostunica non ha tuttavia voluto sottoscriverla, non solo per ragioni ideologiche ma anche perché conta sui voti del Partito Serbo dei Socialisti di Milosevic e del nazionalista estremista Partito Radicale Serbo per sopravvivere. Dato che il primo era al potere al tempo del massacro di Srebrenica e che il secondo ha fornito a Milosevic i paramilitari che combatterono in Bosnia, né l’uno né l’altro erano preparati ad appoggiare niente di più di una vaga ed annacquata risoluzione che condannava i crimini di guerra commessi nella ex Jugoslavia da tutte le parti durante le guerre.
I negoziati per una presa di posizione sono falliti il 14 giugno. Tutto questo è stato seguito da una condanna di quanto accaduto a Srebrenica da parte del Consiglio dei Ministri di Serbia e Montenegro, organismo estremamente debole che non ha l’autorità dei governi delle Repubbliche. Il fallimento nell’approvare una risoluzione significa che Tadic potrebbe dover affrontare delle proteste quando andrà a Potocari. Certo, il gruppo delle Madri di Srebrenica, che aiuta le famiglie dei sopravvissuti, ha definito la sua visita una “provocazione pianificata” e un tentativo di “dimostrare che Srebrenica è parte della sacra terra serba nel cui nome questo genocidio fu commesso”. Si sono poi appellate alle famiglie delle vittime di Srebrenica perché impediscano fisicamente a Tadic “e ad ogni altro ospite indesiderato” di partecipare alla cerimonia dell’11 luglio.
POTENTI FORZE ALL’OPERA
Mentre nel parlamento di Belgrado si svolgeva la battaglia sulla risoluzione, divenne chiaro che c’erano potenti forze in Serbia determinate a distruggere la credibilità del nastro o la prova che esso pretendeva di mostrare. C’erano diverse ragioni per questo. In primo luogo, il nastro è rilevante nella causa della Bosnia contro la Serbia presso l’ICJ. Secondariamente, il collegamento evidenziato dal team d’accusa dell’Aja e da Natasa Kandic, l’attivista e leader del movimento serbo per i diritti umani che ha portato alla luce il video, è anche estremamente dannoso per un gran numero di individui attualmente in attesa di processo all’Aja. Tra questi c’è Jovica Stanisic, l’ex capo della polizia segreta serba.
Dapprima sono iniziate ad emergere nella stampa tesi secondo cui le uccisioni del video avrebbero avuto luogo prima del massacro di luglio. Poi, che gli Scorpioni, che avevano operato sotto il comando dell’Esercito Popolare Jugoslavo (JNA) nella Slavonia orientale in Croazia nel 1991, sarebbero poi entrati a far parte dell’esercito serbo in Croazia, nella Repubblica della Krajina Serba (RSK), entità secessionista dalla vita breve. Alla fine, il 17 giugno, l’attuale Ministro degli Interni serbo, Dragan Jocic, ha ribadito che gli Scorpioni non erano mai stati una unità di riserva del Ministero. Se questo fosse dimostrato con delle prove, sminuirebbe significativamente il valore dell’inchiesta dell’Aja.
Florence Hartmann, portavoce dell’accusa all’Aja, ha però replicato duramente, dicendo che non solo l’accusa ben presto presenterà delle prove che dimostrano il legame [tra gli Scorpioni e l’esercito di Belgrado], ma aggiungendo anche che gli Scorpioni indossavano l’uniforme dell’esercito della RSK solo come facciata. Tutti sanno che uno dei loro principali incarichi era salvaguardare le forniture del petrolio prodotto nella Slavonia orientale, all’epoca sotto il controllo serbo, che veniva esportato in Serbia. Poiché la regione era poi passata sotto mandato ONU, Hartmann ha evidenziato che difficilmente gli Scorpioni avrebbero potuto operare apertamente con uniformi della polizia serba.
Il risultato del tumulto causato dal video degli Scorpioni è stato sia quello di creare conflitto che quello di confondere. Prima che il video fosse mostrato, metà dei Serbi intervistati sosteneva di non credere che [i Serbi] avessero commesso crimi di guerra durante i conflitti degli anni ‘90. Dopo la pubblicazione del video, un nuovo sondaggio ha scoperto che un terzo del pubblico ritiene che esso sia un falso. Un altro sondaggio pubblicato sul quotidiano serbo Blic il 17 giugno ha mostrato che il 37 per cento degli intervistati sostiene di non credere che il generale Ratko Mladic, comandante in tempo di guerra delle forze serbe bosniache, debba essere estradato all’Aja dove è accusato di genocidio per Srebrenica. Una percentuale leggermente più ampia degli intervistati pensa che egli debba sostenere il processo all’Aja. Di questi, però, solo il 20 per cento pensa che egli debba presentarsi perché sia responsabile di crimini di guerra, mentre un altro 23 per cento pensa che dovrebbe andare solo perché questo è l’unico modo per la Serbia di entrare nell’UE.
TRA I SERBI DI BOSNIA
Con la commemorazione all’orizzonte, il dibattito su Srebrenica non dà segno di volersi placare. Vesna Pesic, nota politica liberale, ha aggiunto benzina sul fuoco, suggerendo che quello potrebbe essere considerato in Serbia giorno di lutto. All’interno della Republika Srpska (RS), l’entità bosniaca a maggioranza serba, il dibattito è stato molto diverso. Lord Paddy Ashdown, Alto Rappresentante in Bosnia della comunità internazionale, ha richiesto che la RS fornisca una lista di nomi di tutti gli uomini che potrebbero essere stati coinvolti nel massacro, cosa che le autorità sono state riluttanti a fare, sostenendo che si trattava di un compito impossibile, dato che alcuni documenti erano stati requisiti molto tempo prima dalle truppe a guida NATO in Bosnia e perché i fascicoli che si riferivano a qualsiasi coinvolgimento della Serbia erano a Belgrado.
L’anno scorso, dietro fortissime pressioni di Ashdown, le autorità della RS hanno finalmente ammesso che un crimine aveva avuto luogo a Srebrenica e hanno fornito una lista di 7.800 persone scomparse, collimante con quella del Comitato Internazionale della Croce Rossa. Dopo di ciò il Presidente della RS Dragan Cavic ha definito il massacro “una macchia nera sulla storia del popolo serbo”. Ora comunque sta invocando mutue richieste di perdono tra Bosgnacchi, Serbi e Croati in Bosnia. “Quando si parla del crimine di Srebrenica e della richiesta di perdono per esso”, ha detto recentemente, “molti fanno un paragone con le scuse dell’allora cancelliere tedesco Willy Brandt alle vittime della Germania nazista. Alla Bosnia servirebbero tre Brandt riuniti nello stesso posto, solo così queste scuse avrebbero qualche significato. Fuori da questo contesto, esse sono solo mosse politiche”.
Per alcuni Serbi di Bosnia, l’idea di Cavic potrebbe sembrare peregrina, ma potrebbe anche riflettere i sentimenti di molti altri che si sentono amareggiati dal fatto che il mondo renderà omaggio alle vittime bosgnacche di Srebrenica l’11 luglio, mentre le vittime serbe, sostengono, sono dimenticate. Per esempio nel villaggio serbo in Bosnia di Bibici, a pochi chilometri da Srebrenica, il locale conducente di autobus Radivoje Bibic dice di credere che il 99 per cento dei Serbi del posto sono d’accordo con lui quando dice che quello che è accaduto ai Bosgnacchi all’indomani della caduta di Srebrenica era pienamente giustificato. “Hanno avuto quello che hanno chiesto. Se lo meritavano”, ha dichiarato a ISN Security Watch.
A Srebrenica Milos Milovanovic, capo della locale sezione dell’associazione dei veterani di guerra serbo bosniaci, ricorda che i Bosgnacchi “hanno ucciso molti Serbi, durante la guerra, ma gli stranieri parlano sempre e solo della vittime musulmane”. Nella vicina Kravica, una croce alta sette metri è stata eretta per commemorare i Serbi di questa regione che morirono durante la guerra. Il numero si aggira sui 3.500, dice Jovan Nikolic, membro del comitato per il memoriale, ammettendo però che quasi tutti erano soldati. Tra di loro tuttavia ci sono 49 persone, per la maggior parte civili, che sono morte quando gli affamati Bosgnacchi di Srebrenica irruppero a Kravica nell’alba della mattina del Natale ortodosso, il 7 gennaio 1993.
SOLO UNA SCINTILLA
Lungo la strada, dopo la croce di Kravica, c’è il capannone di una fabbrica dove circa 1.500 Bosgnacchi furono giustiziati dopo essere stati catturati nel tentativo di fuggire da Srebrenica nel 1995. I muri sono ancora crivellati dai fori di proiettile. Un Serbo del posto, che sta lavorando alla croce e ha chiesto che il suo nome non venisse citato, dice: “Anche Kravica ha avuto molte vittime”. Interrogato sui Bosgnacchi uccisi nel 1995 dice: “Non è stata una cosa così grossa. Qualche cosa è successa, ma non è stata così grossa come dicono”. A Bibici, Vukosava Bibic, una anziana cugina del conducente d’autobus Radivoje Bibic, il cui figlio morì come soldato nella guerra, dice dei vicini, che essa chiama spregiativamente “i Turchi”: “Sarebbe stato meglio se ci avessero ammazzati tutti, o se noi avessimo ammazzato tutti loro, perché non possiamo vivere insieme ora, dopo la guerra”. I suoi sentimenti sono contraccambiati. A Tuzla, dove ora vivono molti Bosgnacchi di Srebrenica, Hajra Catic è presidente dell’organizzazione delle Donne di Srebrenica, che aiuta le famiglie dei morti e degli scomparsi. Ricordando che molti sfollati serbi che avevano vissuto a Srebrenica se ne sono andati in Serbia dice: “Vorrei che la Serbia bruciasse”. Nel villaggio di Bibici, Radivoje Bibic dice che se non fosse stato per la presenza delle truppe di pace internazionali, “ci basterebbe solo una scintilla per ricominciare tutto”.
Tim Judah è autore di “The Serbs: History, Myth” e di “The Destruction of Yugoslavia and Kosovo: War and Revenge” pubblicati entrambi da Yale University Press. Questo articolo è apparso originariamente su ISN Security Watch