Decine di migliaia di persone hanno ricordato ieri a Potocari i terribili avvenimenti del luglio 1995, quando i serbo-bosniaci compirono la strage dei bosniaco musulmani catturati a Srebrenica e nei dintorni dopo la caduta dell'enclave. Un primo commento da Transitions Online
Da Transitions Online, 11 luglio 2005 (tit. orig.: "Remembering the Dead – and the Missing")
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Letizia Gambini
Potocari, 11 luglio 05 (Foto B 92)
Circa 50.000 persone in lutto hanno partecipato ieri (11 luglio 1995) presso Srebrenica alla cerimonia in memoria di coloro che morirono nel massacro premeditato che seguì la caduta della città nelle mani delle forze serbo-bosniache.
Alla cerimonia erano presenti un gran numero di autorità straniere – incluso l’ex-diplomatico statunitense Richard Holbrooke, che negoziò gli accordi di pace di Dayton, i ministri degli Esteri di Gran Bretagna e Turchia, e i presidenti di Serbia e Croazia – ma l’evento era stato concepito principalmente come commemorativo, per consentire ai sopravvissuti di piangere i propri cari e riflettere.
Più di 600 corpi riesumati dalle fosse comuni sono stati riseppelliti durante la cerimonia, portando a circa 2000 il numero di vittime di Srebrenica che sono state identificate attraverso l’analisi del DNA.
Migliaia di corpi non identificati giacciono ancora negli obitori o non classificati nelle fosse comuni. Soltanto la settimana scorsa un’altra fossa comune, che si stima contenere circa 50 corpi, è stata scoperta lì vicino.
Durante gli avvenimenti di Srebrenica – nel frattempo oggetto di un processo per genocidio al Tribunale Internazionale per l’ex- Jugoslavia (ICTY) dell’Aja – furono uccisi un numero stimato di 7500 uomini e ragazzi bosniaci (musulmani-bosniaci) dell’enclave della Bosnia dell’est, il peggiore dei crimini di guerra perpetrato nel contesto di un conflitto estremamente brutale.
Due dei leader serbo-bosniaci imputati del crimine, il generale Ratko Mladic e il leader politico durante la guerra Radovan Karadzic, sono ancora latitanti, un fatto che il segretario agli Esteri britannico, Jack Straw, ha definito “sgradevole”.
Il capo procuratore del Tribunale Internazionale dell’Aja (ICTY), Carla Del Ponte, aveva reso noto che lei non sarebbe andata in Bosnia prima che Mladic e Karadzic fossero arrestati e portati all’Aja.
“E’ una vergogna della comunità internazionale che questo inferno sia successo sotto i nostri occhi e che non si sia fatto abbastanza,” ha detto Straw nel suo discorso. “Me ne pento amaramente e mi scuso profondamente per questo”.
Srebrenica era infatti una delle “aree protette” sotto la tutela delle Nazioni Unite.
RITARDI DELLA GIUSTIZIA
Nelle scorse settimane si erano diffuse speranze che il governo serbo del primo ministro Vojislav Kostunica potesse essere vicino alla cattura e all’arresto di Mladic, oppure di poter concordare un accordo di resa con lui. Dopo anni di non cooperazione, la politica di Kostunica della “resa volontaria” ha permesso che molti dei serbi imputati fossero portati davanti al Tribunale dell’Aja.
Fino ad oggi, sei ex-membri dell’esercito serbo-bosniaco sono stati condannati dall’ICTY per il loro ruolo nel massacro di Srebrenica, compreso il comandante delle truppe che portarono a termine le uccisioni, generale Radislav Krstic, che è stato condannato a 35 anni per complicità con il genocidio.
Le speranze che l’arresto di Mladic fosse imminente sono rimaste deluse dal fatto che l’11 luglio è arrivato ed è passato senza alcuna notizia.
Ma alcuni sviluppi all’ICTY hanno evidenziato un cambiamento di atteggiamento da parte della Serbia, che prima aveva sempre negato il proprio coinvolgimento nella guerra in Bosnia. Il filmato mostrato durante il processo dell’esecuzione di sei uomini di Srebrenica da parte di squadre paramilitari serbe che l’ICTY ha provato sia stata comandata dal ministro degli Interni serbo, ha reso queste negazioni sempre più difficili; il Presidente serbo Boris Tadic ha chiamato le scene mostrate dal video un “crimine mostruoso” e ha annunciato che avrebbe partecipato alla cerimonia in memoria delle vittime, un gesto dal grande significato simbolico.
Il cambiamento è però rimasto soltanto questo, fino ad ora. Una risoluzione che condannava gli avvenimenti di Srebrenica è rimasta bloccata al Parlamento serbo dopo che i deputati si sono rifiutati di approvare qualsiasi documento che non includesse una condanna dei crimini commessi contro i serbi. Inoltre, il 30 giugno, il quotidiano belgradese Vecernje Novosti ha pubblicato un supplemento con i nomi di circa 3.300 serbi provenienti dalla regione di Srebrenica che vennero uccisi durante la guerra.
E a Kravica – un villaggio dove furono uccisi molti serbi da parte di gruppi di saccheggiatori bosniaci provenienti dall’assediata Srebrenica, e teatro di alcuni delle più orrende uccisioni di bosniaci dopo la caduta della città – i serbi hanno recentemente eretto una gigantesca croce di cemento per commemorare i propri morti.
Con gesto provocatorio, la cerimonia di dedicazione è stata fissata per il giorno dopo la commemorazione di Srebrenica.
Il comandante bosniaco delle forze di difesa di Srebrenica, Naser Oric, si è arreso all’ICTY dopo essere stato imputato di atrocità contro i serbi commesse da truppe sotto il suo comando. Il suo processo è tuttora in corso.
C’è voluta una grandissima pressione internazionale per far sì che la Repubblica Serbo Bosniaca (RS), di cui adesso Srebrenica fa parte, riconoscesse l’anno scorso le uccisioni e pubblicasse una lista di circa 7800 persone che si crede siano state uccise. Solamente 10 giorni prima della cerimonia, i deputati serbi nel Parlamento bosniaco hanno bloccato una risoluzione che definiva i massacri un genocidio.
Questo rifiuto deve essere visto nel contesto della causa intentata dalla Bosnia alla Serbia per il genocidio commesso in Bosnia. Il caso è tuttora pendente presso la Corte Internazionale, anch’essa all’Aja, e potrebbe aprire la strada a grandissimi risarcimenti da parte della Serbia se il suo coinvolgimento nei genocidio venisse comprovato.
IL FALLIMENTO DELL’OCCIDENTE
La piccola cittadina al confine con la Serbia era sotto la protezione delle truppe olandesi delle Nazioni Unite quando cadde sotto i serbi. Gli olandesi, sovrastati in numero ed equipaggiamento bellico, avevano chiamato per molti giorni i rinforzi e i raid aerei della NATO per fermare l’avanzata, ma il comandate delle forze ONU nella ex-Jugoslavia annullò la richiesta. Quando arrivò il supporto aereo, era ormai troppo tardi.
Una compiacente burocrazia dell’ONU a Zagabria e a New York fu lenta a reagire e sottostimò le minacce ai civili sotto la propria protezione, contro la miglior opinione degli ufficiali ONU sul campo. Ma l’orribile massacro sconvolse la comunità internazionale e provocò l’intervento militare per fermare la strage, accelerando il processo che portò nel novembre 1995 agli accordi di pace di Dayton.
Un report del 1999 commissionato dal Segretario Generale Kofi Annan, che era stato capo del peacekeeping durante la tragedia, è stato straordinariamente franco nell’ammettere il fallimento dell’ONU a Srebrenica. “E’ con il più profondo rimorso e pentimento che abbiamo rivisto le nostre azioni e decisioni riguardo all’assalto di Srebrenica”, si legge nel report. “Con errori, giudizi sbagliati e inabilità nel riconoscere lo scopo del male che ci stava davanti, abbiamo fallito nel fare la nostra parte per salvare le persone di Srebrenica dal massacro di massa perpetraro dai serbi”.
Kofi Annan ha ammesso che “la tragedia di Srebrenica infesterà per sempre la storia delle Nazioni Unite”; ma il report fu presto dimenticato dalle Nazioni Unite e ebbe poco impatto sul modo in cui il peacekeeping è gestito da New York.
Un report olandese successivo ha eluso il problema. L’Olanda non è mai realmente venuta a capo del fallimento delle sue truppe nel difendere la popolazione di Srebrenica, sebbene continui a fornire considerevoli quantità di aiuti umanitari ai sopravvissuti.
William Montgomery, un ex-inviato speciale in Bosnia e ambasciatore USA in Croazia e Serbia, ha scritto sull’Herald Tribune dell’11 luglio, “Stiamo giustamente cercando delle ammissioni di responsabilità da parte delle parti della regione. Mi dispiace che non stiamo facendo altrettanto noi stessi.” E, scrivendo alcune settimane prima sullo stesso giornale, un ex Alto Rappresentante in Bosnia, un ex primo ministro, e il leader della comunità ebraica di Sarajevo, hanno affermato: “Il mancato arresto di Mladic e Karadzic è una macchia indelebile nella reputazione della comunità internazionale”.
TROPPO PRESTO PER LA RICONCILIAZIONE?
Una riconciliazione è ancora molto lontana, e le ferite sono ancora troppo infiammate per guarire. Alla fine Srebrenica ha scosso la comunità internazionale, spingendola all’intervento per fermare la guerra dopo tre anni e mezzo, ma i paesi dell’Occidente non riconoscono che hanno una parte di responsabilità per quello che è successo.
Sono apparsi documenti che affermano che il segretario agli Esteri Straw aveva tentato, nella preparazione della cerimonia, di arrivare ad una dichiarazione congiunta da parte dei Presidenti di Serbia, Croazia e Bosnia, di riconciliazione e scuse nei confronti di Srebrenica. Questa mossa [è stata] duramente criticata da molti bosniaci, che credono che prima di qualsiasi scusa ufficiale da parte del governo bosniaco per le morti serbe debba venire un riconoscimento da parte dei serbi dei loro crimini.
Srdjian Dizdarevic, presidente del Comitato di Helsinki per i diritti umani in Bosnia, ha dichiarato al Guardian di Londra che sarebbe stato “assolutamente stupido, totalmente inaccettabile che nel decimo anniversario ci fosse perdono per tutto”.
L’iniziativa ha causato costernazione presso i politici bosniaci, e la Croazia ha sottolineato il fatto che non avesse niente a che fare con Srebrenica, e che non vedeva perciò alcuna necessità di scuse. Il Guardian ha citato un’affermazione di un collaboratore alla politica estera del Presidente Stipe Mesic: “Ci sono soltanto due parti che si possono e si devono scusare a Srebrenica – i serbi e gli olandesi”.
Gli inglesi hanno ritirato la proposta e dichiarato che non è mai stata ufficiale.
Ma il fatto che questa cerimonia commemorativa si sia tenuta senza incidenti potrebbe essere un segno che la riconciliazione e la stabilità in Bosnia e nella regione sono vicine.
Le paure per la sicurezza delle persone e delle autorità erano ben fondate: il 5 luglio, la polizia aveva dichiarato di aver trovato due grosse bombe vicino al sito. Non era chiaro se queste bombe volessero uccidere e mutilare o semplicemente lanciare un messaggio – ma, qualunque cosa volessero fare, sembra che abbiano mancato il loro obiettivo.