Il corpo di Ljubisa Aleksic, cittadino bosniaco ucciso in Iraq, è giunto ieri all’aeroporto di Sarajevo. La BiH ha inviato in Iraq un piccolo contingente di sminatori, ma la colonia dei Bosniaci che lavorano nel settore della sicurezza o nelle basi alleate sarebbe tra le più numerose del Paese
Da Nezavisne Novine, 25 giugno 2005; Traduzione di Persa Aligrudic per Le Courrier des Balkans e Carlo Dall’Asta per Osservatorio sui Balcani
Dado Rakita, 29 anni, di Sipova, ex impiegato al refettorio della base degli alleati presso As-Samavi, ha incontrato numerosi lavoratori con passaporto bosniaco durante il suo soggiorno di un anno in Iraq. «Si può dire che noi siamo uno dei gruppi stranieri più numerosi. La maggioranza delle partenze avviene illegalmente, affinché lo Stato non sappia che abbiamo lasciato il Paese», dice lui, che è tornato dall’Iraq da due mesi. Secondo le informazioni del Ministero degli Affari Esteri e dell’Ambasciata di Bosnia Erzegovina in Kuwait, cui compete anche il territorio iracheno, le autorità di Bosnia Erzegovina non possono neppure stimare il numero dei propri cittadini che si trovano attualmente in Iraq: «Non sono neppure tenuti a denunciare la propria presenza, così che nella maggior parte dei casi noi non siamo a conoscenza [della loro presenza] finché non hanno bisogno di qualche documento», conferma l’Ambasciata della BiH in Kuwait. La Bosnia non ha altre relazioni diplomatiche con l’Iraq, e di conseguenza il Ministero degli Interni afferma di non avere dati sulle compagnie o sui singoli individui originari della Bosnia che lavorano in questo Paese.
La maggior parte dei nostri concittadini, racconta Rakita, sono impiegati logistici nelle basi delle forze alleate, dove non possono vantarsi di guadagnarsi bene da vivere, mentre è ben diverso per gli uomini ingaggiati per la sicurezza dei convogli e dei campi petroliferi. Questi ultimi sono il più delle volte assunti da agenzie di sicurezza americane. Lo stesso Rakita ha trovato un impiego tramite una agenzia straniera che prima lavorava per le forze dell’Unione Europea (EUFOR) a Sipova, ma sono in molti a trovare impiego attraverso i siti Internet. Le compagnie che reclutano operai da tutto il mondo attraverso Internet cercano uomini per assicurare la sicurezza dei pozzi petroliferi o dei convogli, e non chiedono altro che un semplice curriculum vitae che indichi la professione dell’interessato. Rakita spiega che per i lavori logistici i nostri uomini sono reclutati spesso dalla compagnia americana KBR il cui proprietario è Dick Cheney, vicepresidente degli Stati Uniti.
«Ma per gli impieghi di sicurezza la cosa è ben diversa. Per questi lavori è richiesta un’esperienza acquisita nel corso dell’ultima guerra. Questo lavoro di sicurezza dei convogli e dei campi di petrolio è pericoloso e si rischia la vita. Sono gruppi formati in generale da Iracheni e da alcuni nostri espatriati». Rakita si è deciso a partire per l’Iraq all’inizio dell’anno scorso, quando l’EUFOR ha chiuso la propria base di Sipova, dove era impiegato. Con lui sono partiti una ventina di abitanti di Sipova, anch’essi impiegati all’EUFOR. Benché le condizioni nella base siano buone, si lamenta di avere un salario piuttosto scarso, che arriva al massimo a 2000 marchi al mese. Aggiunge anche che i Bosniaci sono i peggio pagati in Iraq: «Il trattamento è ben diverso per gli uomini ingaggiati nelle agenzie di sicurezza. Il loro salario, per un nuovo assunto, è di circa 7.000 dollari, e i veterani possono guadagnare anche fino a 12.000 dollari» racconta Rakita che, dopo un anno di lavoro in Iraq, ha deciso di non tornarci più.
I volontari non rinunciano ad andare in Iraq
Benché proprio recentemente Ljubisa Aleksic, originario di Banja Luka, abbia perso la vita in Iraq, i volontari delle forze armate bosniache non rinunciano ad andare in missione di pace in quel Paese, ha dichiarato ieri il generale Sifet Podzic, comandante dello Stato Maggiore congiunto delle forze armate. «Abbiamo appena terminato la selezione dei volontari per l’Iraq. Più di 200 soldati si sono offerti volontari per questa missione. Noi ne abbiamo scelti 54 e alla fine dell’addestramento ne selezioneremo altri 36 per rimpiazzare l’unità che si trova in Iraq da un mese. Il capo della formazione mi ha confermato che nessuno aveva rinunciato a partire per l’Iraq dopo aver saputo che uno dei nostri concittadini vi aveva perduto la vita», ha aggiunto Podzic.
L’unità delle forze armate bosniache per la neutralizzazione di mine ed altri ordigni è formata da volontari che dallo scorso primo giugno si trovano in missione di pace in Iraq. I soldati sono stati informati ieri della morte di uno dei loro, che lavorava per una compagnia americana che si occupa della sicurezza dei convogli. «I militari continuano a svolgere i loro compiti abituali e la notizia della morte del loro compatriota non ha turbato il loro impegno nella missione. Sono addestrati e in grado di compiere il loro dovere. Io non so come la persona di cui parlate sia arrivata in Iraq, ma noi abbiamo fatto tutto il necessario per ridurre i rischi al minimo», ha dichiarato Podzic, aggiungendo che le sole richieste dei soldati bosniaci in Iraq erano quelle di fornire loro due uniformi supplementari e di permettergli di ricevere ed inviare per posta lettere e pacchi.