Una tesi sulla "questione Kosovo", con una valutazione dell'intervento internazionale e un'analisi critica delle diverse posizioni avanzate in sede regionale e internazionale sul futuro status. Di Daniele Senzanonna, facoltà di Scienze Politiche, Università di Roma
Di Daniele Senzanonna
In questa tesi si è scelto di affrontare la questione del Kosovo da un punto di vista geopolitico inserendo tale questione nelle dinamiche delle relazioni internazionali e ponendo particolare attenzione al tema dello futuro status della provincia. Questo progetto di ricerca nasce a seguito di un viaggio di studio fatto in Serbia nell'ottobre del 2003. Il lavoro è stato diviso in quattro capitoli.
Nel primo capitolo si sono delineate le fasi principali della "questione Kosovo", dagli anni della Jugoslavia di Tito all'intervento della NATO nel 1999. Alla fine degli anni '80, il movimento albanese per una "Repubblica Kosova" si scontrò con l'ascesa al potere di Slobodan Milosevic, colui che fece del nazionalismo e del mito del Kosovo le leve di una spregiudicata politica di creazione del consenso. All'instaurazione di un regime di stampo coloniale, la reazione albanese – guidata da Ibrahim Rugova – si attestò su una strategia della non-violenza. Tra la fine degli anni '80 e la metà degli anni '90, il Kosovo fu caratterizzato da un "equilibrio instabile", fondato su una sorta di reciproco apartheid tra le due comunità. Tuttavia, nella seconda metà degli anni '90, a seguito della conclusione degli accordi di Dayton, iniziò quel processo di escalation della tensione che portò prima allo scontro armato tra Belgrado e il neonato Esercito di Liberazione del Kosovo (UÇK), poi – attraverso varie fasi – all'intervento della NATO contro la Repubblica Federale Jugoslava.
Il primo capitolo si chiude con l'analisi della Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, documento fondamentale che delinea il mandato dell'intervento collettivo internazionale in Kosovo.
Il secondo capitolo analizza la gestione internazionale del "post-conflict", partendo da una descrizione delle dinamiche che si scatenarono nell'immediato dopoguerra. Dopo aver fornito una panoramica sulle numerose minoranze presenti sul territorio kosovaro, si è scelto di analizzare l'intervento internazionale che ha fatto del Kosovo una sorta di protettorato internazionale. Vengono dunque analizzate la struttura e le funzioni svolte dalla missione internazionale di sicurezza (la KFOR) e soprattutto si propone un bilancio dell'azione compiuta dalla missione internazionale civile (l'UNMIK), attraverso lo studio dei quattro pilastri della missione.
Con il terzo capitolo, si entra nel cuore del tema di questa tesi: la soluzione della questione dello status del Kosovo. Prima di tutto, si è descritto l'atteggiamento assunto dalla Comunità internazionale, che – con un approccio sintetizzabile nella formula "standards before status" - ha scelto di condizionare l'apertura dei dialoghi al rispetto dei principi di democraticità tipici della società occidentale.
In seguito, sono state esposte e comparate le posizioni assunte dai principali attori locali (serbi e albanesi) nel dibattito sullo status. Attraverso la lettura di risoluzioni, documenti ufficiali e di interviste ai protagonisti di questo processo politico, questa tesi presenta le posizioni e le argomentazioni con cui le due parti si presenteranno al tavolo delle trattative che si dovrebbe aprire entro la fine del 2005. La classe politica serba e quella kosovara confermano di essere trincerate dietro tesi totalmente inconciliabili: se per gli albanesi l'indipendenza rappresenta l'unica soluzione possibile, Belgrado propone una soluzione che sia "more than autonomy, but less than independence" e lancia un piano per la creazione di una "Regione serba del Kosovo" dotata di un regime di "autonomia nell'autonomia".
In tal senso, ciascuna proposta descrive un diverso scenario per il futuro del Kosovo. Tra le diverse ipotesi spicca - per capacità di rivoluzionare l'assetto dell'intera regione balcanica - il progetto pan-albanese che, nell'analisi qui condotta, si considera irrealizzabile, almeno nel breve periodo. Questo non solo perché la Comunità internazionale è intenzionata a porre il suo veto su uno scenario pan-albanese, ma soprattutto perché le élite albanesi dei Balcani hanno dimostrato di non avere alcun interesse a promuovere un tale programma.
Avendo descritto gli scenari prospettati dagli attori locali, il quarto capitolo è invece dedicato alle proposte lanciate dai principali osservatori internazionali, proposte il cui minimo denominatore comune è la formula dell'indipendenza condizionata. In questo scenario - che sembra essere il più realistico - un Kosovo indipendente appare destinato, dal punto di vista geopolitico, ad occupare un posto nella New Europe di Rumsfeld.
Si sono analizzate le proposte dell'International Crisis Group ("indipendenza al più presto anche senza il consenso di Belgrado"), di Transitions Online ("apertura di un negoziato ufficiale che coinvolga tutte le parti"), dell' International Commission on the Balkans presieduta da Giuliano Amato ("l'unica prospettiva politica reale è portare l'intera regione balcanica nell'UE, possibilmente entro il 2014) e dello storico Morozzo della Rocca ("dare il nord della provincia – da Mitrovica in su – alla Serbia in modo da ottenere il consenso di Belgrado all'indipendenza del Kosovo").
In questa analisi si è scelto di prestare particolare attenzione al tema della ricerca di una formula capace di ottenere il consenso di Belgrado, perché si crede che una soluzione imposta rischierebbe di tenere aperta per sempre una "questione Kosovo". In questo senso, non solo i serbi e gli albanesi, ma la Comunità internazionale tutta dimostrerebbe di essere davvero poco matura e poco saggia se decidesse di preferire una soluzione veloce e indolore (nel breve periodo!), ad una più laboriosa e difficile ma che tenga in debito conto la stabilità dei Balcani nel lungo periodo.