Una delle questioni più controverse e dibattute delle guerre jugoslave degli anni novanta verte sul numero effettivo di vittime, scomparsi e profughi, quali dirette conseguenze dei conflitti. Un'analisi del settimanale belgradese “Vreme”
Di Marija Vidic, Jasmina Lazic, Vreme, 9 settembre 2005 (tit. orig. Mrtvi po potrebi)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Ivana Telebak
L'ex presidente della Croazia Franjo Tudjman ha calcolato 23.500 morti, 57.500 soldati e civili scomparsi in Bosnia ed Erzegovina, e 13.500 tra morti e scomparsi sul territorio della Croazia. Biljana Plavsic, l'ex presidentessa della Repubblica Srpska, oggi accusata dall'Aja, ha stimato in 120.000 il numero dei morti in BiH; il suo compaesano dall'altra parte del mirino, Haris Silajdzic: 200.000 morti. A differenza di tutti loro, Slobodan Milosevic e il suo regime non hanno mai cercato di comunicare i dati sul numero totale delle vittime. Forse perché la Serbia “non ha partecipato alla guerra”, e nemmeno la SR Jugoslavia. Dopo i bombardamenti della NATO nel 1999, l'unica guerra in cui la SR Jugoslavia ha partecipato ufficialmente, Milosevic comunica che sono morti 462 membri dell'esercito e 114 membri del MUP (Il Ministero degli affari interni, ndt.). I funzionari della Jugoslavia hanno arrotondato il numero complessivo dei morti - compresi quindi anche i civili - a 1.500 , e dei feriti a 5.000.
Di stabilire il numero dei morti, degli scomparsi e dei feriti se ne sono occupati, o tutt'oggi se ne occupano, numerose organizzazioni non governative (locali o straniere), commissioni degli stati della ex SFRJ (Jugoslavia, ndt.), ma anche istituzioni internazionali i cui i risultati spesso sono considerati come i più rilevanti. La licitazione del numero delle vittime della guerra, invece, continua a portare a una totale confusione.
Più o meno morti
Il direttore del Centro di Belgrado per i diritti umani, dottor Vojin Dimitrijevic, ritiene che i funzionari serbi non pubblicheranno mai la stima del numero complessivo delle vittime. “Viviamo in una società in cui l'influenza delle persone che hanno condotto la guerra e di quelle che continuano a glorificarla è ancora forte”, dice per “Vreme” Vojin Dimitrijevic. “lo si vede molto bene nel caso di Srebrenica. In Serbia esiste la tendenza a negare in qualche modo il numero dei morti constatato dalle Nazioni Unite, e di aumentare il numero dei serbi morti durante le irruzioni di Naser Oric.” Secondo Dimitrijevic, il numero delle vittime, secondo le necessità, diminuisce o aumenta: “Il numero aumenta per il bisogno di dimostrare che i serbi o qualche altro popolo ha perso di più. Tali dati hanno come scopo di dimostrare che i serbi hanno il diritto di vendicarsi perché hanno avuto così tante vittime. Tuttavia, c'è anche la tendenza di diminuire il numero delle vittime. Perché è naturale che chi ha fatto la guerra ha il bisogno di mostrare che tale guerra è stata “più economica” di quanto si creda.” Il nostro interlocutore porta come esempio il numero dei soldati morti durante i bombardamenti della NATO. Egli considera che tale numero evidentemente viene diminuito per mostrare che l'esercito della SRJ ha avuto poche vittime. Dall'altra parte, sottolinea, lo stesso calcolo non si può fare anche coi civili. Siccome i civili sono innocenti, per avere una propaganda di guerra più efficace il loro numero è proporzionale alla grandezza delle vittime nazionali. “La ragione per la diminuzione è dovuta anche al fatto che le vittime sono la conseguenza dell'avventura del regime di Milosevic. La guerra contro la più grande forza mondiale anche per un uomo comune è insensata, e tutte le vittime sono inutili”, dice Dimitrijevic.
Riguardo il numero complessivo dei soldati morti e degli scomparsi della Serbia negli scontri sul territorio della Slovenia, della Croazia e della BiH, in pubblico si fa il numero di 2.300. In esso sono comprese le reclute del JNA (Esercito della ex Jugoslavia, ndt.) e i membri delle unità dei volontari del Partito radicale serbo, della Guardia serba del Movimento serbo di rinnovamento, dei Beli orlovi (Aquile bianche, ndt.) di Dragoslav Bokan e della Guardia serba dei volontari di Arkan. La maggior parte di loro, quasi la metà, ha perso la vita sul fronte di Vukovar. La maggior parte degli esperti è d'accordo su questo dato.
Natasa Kandic, direttrice del Centro per il diritto umanitario, a dialogo con “Vreme” spiega le difficoltà nel determinare il numero delle vittime col fatto che la guerra non è stata fatta sul territorio della SRJ, e tutti i membri della JNA dopo il maggio del 1992 - quando la Slovenia, la Croazia e la BiH erano già riconosciute internazionalmente - erano obbligati a ritirasi dal territorio degli altri paesi. “Ciò che esiste negli organi statali - nell'esercito e nella polizia - sono dati che non saranno mai pubblicati perché contengono informazioni sulle persone che hanno commesso i crimini, e in gran parte si tratta di membri della polizia, dell'esercito e di diverse unità speciali ingaggiate dallo Stato. Purtroppo, non si sono impegnati neanche nel fornire i dati sulle vittime.”
Natasa Kandic afferma che il MUP possiede tali dati, ma che non li scambia con nessuno perché, come dice, al MUP non comprendono che il valore non sta nel cassetto, ma nella documentazione dei casi. Kandic dice che nel corso degli anni sono venuti alla luce il Libro nero, il Libro bianco e il Libro del terrore, ma tenendo presente la qualificazione politica in essi contenuta, l'autenticità dei dati deve essere controllata. La conferma dell'esistenza dei dati è spiegata da Natasa Kandic con ciò che si nota durante il processo di Slobodan Milosevic – con la buona organizzazione della sua squadra legale che, secondo l'opinione di Natasa Kandic, impiega l'esercito, la polizia, gli organi kosovari di sicurezza statale e delle stazioni della polizia per raccogliere i dati. La nostra interlocutrice rammenta anche la storia secondo la quale la documentazione militare è stata distrutta durante i bombardamenti della NATO; se fosse così, potrebbe essere stata distrutta volutamente, perché chiunque tenga conto di ciò sa quale può esserne lo scopo legittimo ed elimina tutta la documentazione che rappresenta la base del ricordo storico di una società.
La mappa della pulizia etnica
“Esistono cittadini che secondo le evidenze di uno Stato sono scomparsi, dopo di che sono stati dichiarati morti o emigrati, ma in realtà si trovavano in un altro Stato. Esiste anche un numero di emigrati che vive nel resto del mondo, sebbene non esista alcuna evidenza. I problemi nel determinare il numero delle vittime della guerra potevano essere risolti se il censimento in tutte le repubbliche dell'ex SFRJ fosse stato sincronizzato, ma ciò non è accaduto”, dice per “Vreme” l'ex direttore dell'Istituto federale per la statistica, ed oggi direttore dello Strategic markenting, Srdjan Bogosavljevic. In tutti i membri dell'ex SFRJ il censimento doveva essere fatto nel 2001. Invece, in Serbia e in Croazia sono stati fatti, in tempi diversi, nel 2002, in Macedonia e in Montenegro nel 2003, mentre in BiH e in Kosovo non hanno ancora fatto il censimento. Inoltre, in Kosovo non è stato fatto il censimento nemmeno nel 1991. Bogosavljevic ritiene che il meccanismo di formulazione dell'elenco delle vittime della guerra praticamente non esiste, e che eventualmente potrebbe essere fatto soltanto con un'ampia e comune azione di tutti gli stati che hanno partecipato alla guerra e che in tale caso dovrebbero stilare gli elenchi. “Esistono diverse organizzazioni che lavorano a ciò. In Bosnia, Serbia e in Croazia sono ben organizzate. Esistono i loro elenchi, ma, secondo la logica delle cose, essi mostrano un numero molto inferiore dell'effettivo numero delle vittime.”
Come ha spiegato Radivoje Simovic per “Vreme”, il presidente dell'Unione dell'associazione dei genitori e delle famiglie degli arrestati, degli imprigionati e delle persone scomparse, i dati sul numero degli scomparsi forniti dal Comitato internazionale della Croce rossa (MKCK), nonostante siano considerati come i più rilevanti, comunque non sono esatti. A motivo di ciò, spiega la regola del MKCK secondo la quale soltanto il parente più stretto può denunciare la scomparsa della persona, e durante la guerra ci sono stati tanti casi in cui l'intera famiglia è morta e in cui non c'è nessuno che possa denunciare la scomparsa.
Cosa dicono le statistiche
Srdjan Bogosavljevic spiega perché crede che alcuni dati sul numero delle vittime siano esagerati. “Se considerate che la guerra sia durata 1.000 giorni, allora dividete il numero complessivo dei morti per mille. Quando si parla di centinaia di migliaia di vittime della guerra, a prescindere dalla nazionalità - e si parla di cifre che vanno da 250.000 a 400.000 - vuol dire che morivano fra 250 e 450 persone al giorno. Persino a Srebrenica non sono morte così tante persone, ma circa 100 al giorno. I giorni di Srebrenica sono stati i peggiori per il numero delle vittime, e ogni volta in cui fossero morte così tante persone, tale giorno sarebbe stato ricordato. Mille giorni di questa guerra parlano di centinaia di migliaia di morti, ed è impossibile arrivare a qualche prova su un numero che superi 120.000.” Secondo i dati della Commissione della salute della BiH, durante gli scontri nel 1992-1995 sono morti o scomparsi 97.000 serbi, 28.00 croati e 140.800 musulmani; statisticamente viene fuori che giornalmente morivano 19 croati, 67 serbi e 97 musulmani - in totale 183.
“A un certo punto dalla Bosnia sono arrivati i dati sul numero dei morti e di profughi. Quando queste due cifre vengono incrociate con i dati, viene fuori che la BiH aveva 1.500.000 abitanti in più di quelli che in realtà aveva”, dice Srdjan Bogosavljevic. “Perché in Kosovo pare vivano 2.500.000 albanesi, mentre in realtà non possono essercene più di 1.700.000 o 1.800.000? Perché nel fare i calcoli si prende la dinamica della popolazione del 1971 e del 1981. E' il valore dell'incremento di quel periodo, ma che non esiste più. Inoltre, allo scopo di valutare il numero dei cittadini del Kosovo si prende come dato lo
school enrolment rate - il numero dei bambini iscritti nelle scuole - in base a ciò si calcola quanto grande sia la famiglia. Sono tutte valutazioni limitate”, afferma Bogosavljevic, aggiungendo che sono possibili errori nei dati statistici anche in tempo di pace. “Se si prendesse il dato sul numero dei serbi in Kosovo del 1991, il numero attuale e il numero dei profughi, le cifre non si accorderanno in nessun modo.”
L'istituto per la statistica della Bosnia ed Erzegovina spesso pubblica i dati sul numero dei cittadini. Tuttavia, tali dati non possono essere presi come un parametro per poter calcolare la perdita fra la popolazione. Bogosavljevic dice che vengono fatte “col bastone e la corda”, constatando la situazione dell'ultimo censimento e incrociando col numero dei morti, dei nati e con i dati migratori. Il problema è che i cittadini non denunciano mai il loro trasferimento fuori dal paese. Proprio per questo, dice Bogosavljevic, né l'elenco per nome delle vittime né i dati statistici sulla base della valutazione del numero dei cittadini possono essere affidabili. Gli elenchi contengono un numero decisamente più basso di quello effettivo, perché dentro non vi sono conteggiate tutte le persone. Essi danno il limite inferiore, e le stime, di nuovo, superano di molto il limite superiore.
Il dottor Vojin Dimitrijevic crede che il problema del conteggio e della pubblicazione del numero delle vittime della guerra sia collegato al fatto che in Serbia tutto ciò non è la prima questione all'ordine del giorno, a causa di molte altre cose sconosciute e altri problemi. “Si tratta soltanto di un numero che bisognerebbe sapere in nome della verità e della storia, ma che non deve essere usato per la propaganda né da esso si può trarne qualche guadagno. Non si saprà mai la piena verità e ci sarà sempre un'esagerazione”, conclude Dimitrijevic. Una possibile, ma difficilmente realizzabile, soluzione sarebbe che ciascuna parte pubblicasse i propri dati sulle vittime, proprie e altrui. Il saldo di somma, incrocio e confronto andrebbe commisurato agli scopi delle guerre condotte su questi territori. Non c'è dubbio che si registrerebbe soltanto la perdita.