L'Unione Europea si avvicina all'Europa di mezzo, dopo i fatidici sì pronunciati a Lussemburgo nei confronti di Ankara e Zagabria. Un passo in avanti anche per l'Unione Serbia e Montenegro, nel quinto anniversario della cacciata di Slobodan Milosevic. Grande esclusa, per il momento, la Bosnia Erzegovina. Ma l'Europa in costruzione sarà davvero unita?
M. C. Escher - Day and Night
Da Zagabria ad Ankara via Belgrado. Il 3 ottobre verrà ricordato dai rispettivi paesi per diverso tempo. Nonostante non sia stato niente di più che un formale sì all'avvio di negoziati, il semaforo verde dato dall'UE alla Croazia, Turchia e Serbia e Montenegro ha rappresentato una boccata di ossigeno e un passo importante per questi paesi.
Fattore determinante per i vicini balcanici pare sia stata Carla Del Ponte, che in qualche modo ha giocato, benché all'ultimo minuto, a loro favore. L'inversione di rotta della Del Ponte sulla Croazia, passata in soli quattro giorni da una "inconcepibile delusione" alla "piena collaborazione" è stata decisiva per dischiudere la porta dell'Unione. Che si tratti di promesse fatte dal premier Sanader su un'imminente consegna del latitante croato numero 1, Ante Gotovina, o altro è ancora da vedere. Certo non va dimenticato pure il ruolo giocato dall'Austria, nel vincolare il favore dei 25 alla Turchia con il parallelo passaggio della Croazia.
Tuttavia per quanto riguarda la Croazia, è fondamentale che l'euforia dimostrata in questi giorni e i riflettori puntati sul caso Gotovina non nascondano quanto ancora resta da fare in questo Paese sul terreno dei ritorni dei rifugiati, rispetto dello stato di diritto e dei diritti delle minoranze.
Sono stati fatti certamente dei significativi passi in avanti rispetto al passato. La giustizia croata ha deciso di affrontare alcuni casi scandalosi, quali quello dei crimini commessi a danno di cittadini serbi nel centro di detenzione di Lora, presso Split, nel centro di Pakracka Poljana – paragonato dal giudice Rajka Tomerlin-Almer nel corso del recente processo a un "campo di concentramento nazista" - il noto caso della famiglia Zec di Zagabria o ancora i crimini commessi a Osijek, di cui più volte abbiamo dato conto sulle pagine del nostro portale.
Le questioni aperte sono però ancora molte. In questi giorni presso la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo è stato discusso il caso di Krstina Blecic, cittadina di Zara di nazionalità montenegrina privata dalle autorità della propria casa durante la guerra, e ancora profuga. Il diritto di proprietà "sociale", istituto tipico del sistema jugoslavo che consisteva nel diritto ad usufruire di un'abitazione a vita, e nel poter trasferire questo diritto agli eredi, è stato semplicemente cancellato nel caso Blecic, così come nel caso di circa 30.000 altre persone di nazionalità serba, come sottolineato dal Comitato Internazionale per i Diritti dell'Uomo di Sarajevo.
Il problema principale, a dieci anni dalla fine della guerra, per la Croazia e per l'Europa non è Gotovina, ma quello di garantire la possibilità di un rientro sicuro e sostenibile ai 180.000 (v. il rapporto OSCE, 29 luglio 2005) serbi di Croazia ancora profughi in Serbia Montenegro o in Bosnia Erzegovina.
Lungo la scala che porta all'UE, un gradino più sotto della Croazia, ma non con meno successo, la Serbia e Montenegro ha ottenuto il via libera all'Accordo di associazione e stabilizzazione, passaggio obbligato per accedere alle trattative per la piena adesione.
Benché il sì all'avvio dei negoziati per l'Accordo di pre-adesione fosse atteso dalla Serbia e Montenegro già dallo scorso aprile, quando aveva ottenuto il parere positivo allo studio di fattibilità, sembra che la procuratrice del Tribunale dell'Aia abbia anche qua giocato un ruolo di non poco conto.
Secondo le indiscrezioni circolate sulla stampa, sia locale che internazionale, Carla del Ponte avrebbe ricevuto garanzie (ma non sarebbe la prima volta) sulla consegna di Ratko Mladic. La Stessa Del Ponte ha dichiarato alla BBC che durante la sua recente visita a Belgrado, le è stato confermato che Mladic si trova in Serbia, protetto da una frangia dell'esercito. Inoltre sembra che l'assicurazione del candidato alla poltrona di ministro della difesa della Serbia e Montenegro, generale Zoran Stankovic, incontratosi a quattrocchi con la Del Ponte, sia stata per quest'ultima sufficiente. Forse anche grazie al fatto che lo stesso Stankovic è considerato un amico di Mladic.
L'Unione Serbia e Montenegro ha così ottenuto da Bruxelles una boccata d'ossigeno di importanza fondamentale, considerato che siamo alla vigilia di sviluppi decisivi per la questione del Kosovo e per la stessa sopravvivenza dell'unione, con il possibile referendum indipendentista in Montenegro nel 2006.
La tornata di pareri favorevoli, purtroppo, ha lasciato fuori la Bosnia Erzegovina, unico paese dell'area a non aver ancora avviato i negoziati per l'Accordo di associazione e stabilizzazione. La Bosnia Erzegovina continua ad essere una sorta di buco nero dell'area sud orientale. Tra i 16 punti che l'UE ritiene strettamente necessari per poter avviare i negoziati sull'Accordo di associazione e stabilizzazione, compare anche la fatidica riforma della polizia. Riforma che è costretta in un tira e molla tra le minacce dell'Alto rappresentante e l'ostinazione dei vertici della Republika Srpska (entità della Bosnia Erzegovina) nel non voler cedere sull'unificazione della polizia. Sicché la Bosnia Erzegovina celebrerà il decennale della firma dell'Accordo di Dayton senza una concreta prospettiva di avvicinamento all'Unione.
Non dimentichiamo però che i riflettori di questi giorni erano tutti puntati sull'apertura ufficiale ad Ankara. Certamente una buona notizia se si considera che l'Islam europeo, dai Balcani alla Turchia, ci ricorda le radici plurime e meticce dell'Europa, ci rimanda alla possibilità di un dialogo costante e proficuo con il mondo arabo musulmano attraverso la mediazione di un grande Paese laico, come appunto la Turchia. Anche qui tuttavia, nonostante le evidenti aperture fatte nel recente passato sul terreno dei diritti dell'uomo e delle minoranze – in questo senso va ricordata soprattutto la storica recente visita del premier Erdogan a Dyarbakir – molto resta da fare.
C'è tuttavia un elemento ulteriore, che riguarda sia la Turchia che i paesi balcanici, e che esula dalle pur importanti riflessioni fatte in questi giorni sui temi religiosi o dei diritti umani. In Turchia, come in Croazia, uno dei sentimenti prevalenti, probabilmente più forte dello stesso sentimento religioso, è quello nazionale, il grande attaccamento all'idea di stato nazione così faticosamente conquistato dai turchi dopo il primo conflitto mondiale e dai croati alla fine del secolo scorso. Le immagini degli onnipresenti Ataturk e Tudjman lo ricordano con evidenza anche al turista distratto. Non si tratta evidentemente di una colpa, ma per quanti hanno a cuore il progetto di un'Europa federale, concepita non solamente come la somma delle diversità che la compongono, è chiaro che il percorso da fare è ancora lungo. Si tratta di un percorso che non può che essere fatto insieme, ma all'indomani del 3 ottobre è importante anche evitare facili equivoci, ed esprimere con chiarezza il tipo di Europa che vogliamo. Un incontro delle sue diverse anime e radici, certamente, ma non solamente un direttorio di Stati nazione. Un soggetto nuovo, che dal punto di vista sociale e culturale ci riporti saldamente all'idea di Europa come memoria dello stato di diritto, delle libertà individuali, ivi compresi i diritti sociali, e di difesa dei grandi beni comuni, ma che dal punto di vista politico sia Unione non solamente nel nome.