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Ginevra, infinita speranza
Osservatorio Balcani Guide per Area Bosnia Erzegovina Notizie
Data pubblicazione: 25.10.2005 22:52

La seconda giornata della conferenza internazionale “Dieci anni da Dayton e oltre”. Gli interventi di Ashdown, Dizdarevic, Divjak, Todorovic, Finci, Terselic, Tokaca, Del Ponte, Kandic e altri. Dalla delusione momentanea all’infinita speranza. Nostra sintesi
Il centro congressi di Ginevra
Nella prima plenaria della giornata, il discorso più atteso è quello di Paddy Ashdown. L’Alto Rappresentante conferma la tempistica anticipata ai giornalisti nella giornata precedente – v. Colazione da Paddy – incassa l’avviso favorevole della Commissione sull’avvio dei negoziati e ribadisce la fase di passaggio della Bosnia Erzegovina (BiH) dalla stabilizzazione post bellica alla transizione verso l’Europa. Dopo aver ricordato i successi raggiunti dalla sua missione, Ashdown ritorna sulla necessità di rendere lo Stato funzionale e raffredda la platea su eventuali cambiamenti costituzionali in BiH, che “non possono essere considerati come un fine in se stessi”. La conclusione non potrebbe tuttavia sembrare più ottimista: “Sono certo che questo Paese sarà un membro a pieno titolo dell’Unione Europea, considerato uno dei suoi piccoli gioielli”.

Srdjan Dizdarevic, del Comitato Internazionale Helsinki di Sarajevo, torna con i piedi per terra, ricordando alla conferenza che “la pulizia etnica in Bosnia Erzegovina ha avuto successo” e che “oggi si possono contare sulla dita di una mano le municipalità dove non c'è la predominanza al 90% di un solo gruppo etnico”.

Una corsa che non parte

Bojan Bajic
Il giovane Bojan Bajic, rappresentante dell’associazione “Luna” di Rudo, scuote gli astanti affermando che: “Da otto anni seguo conferenze e sono stanco della mia e delle stesse facce, di parlare a persone che la pensano già nello stesso modo. E’ come prepararsi costantemente per una corsa automobilistica senza avere la benzina per poterla iniziare”. Bajic, che sottolinea la situazione di arretratezza e analfabetismo della campagna bosniaca, totalmente staccata dalla realtà delle conferenze internazionali, promuove il principio “Io sono responsabile”, una provocazione che lancia ai suoi concittadini perché hanno ancora l’Alto Rappresentante, un governo inefficiente e una amministrazione che spende il 70% delle entrate solo per mantenersi. “Senza il principio ‘Io sono responsabile’ – conclude Bajic – rischiamo di avere conferenze come questa per altri 10 anni almeno”.

Senad Slatina, analista politico di Sarajevo, introduce il ‘fattore K’, ricordando che l’ex presidente del Partito Democratico Serbo (SDS), Radovan Karadzic, ”è ancora un attore politico in Bosnia Erzegovina. L'importante non è tanto il fatto che lui sia ancora in libertà, ma che la sua politica sia ancora viva”.

Jovan Divjak, mitico generale serbo della difesa di Sarajevo, quello che secondo l’aneddoto avrebbe mandato a dire a Mladic che lo voleva dalla sua di “smettere di mangiare banane e scendere dagli alberi”, ricorda puntigliosamente ad Ashdown quello che l'Ufficio dell’Alto Rappresentante non ha fatto, e soprattutto la persistente mancanza di legittimazione dello stato bosniaco tra la popolazione.

Anche Branko Todorovic, direttore del Comitato Helsinki per i Diritti Umani della Republika Srpska, rimprovera Ashdown per “non aver sostenuto come i suoi predecessori la società civile nel Paese e per non insistere sufficientemente sulla tematica dei diritti umani”.

L’era della dipendenza internazionale è terminata?

Christophe Solioz
Dopo la replica di Ashdown “la società civile è compito soprattutto vostro, non potevo farla venire io in barca da Londra” […] “ogni Alto Rappresentante ha dovuto affrontare un compito diverso, Wolfgang [Petritsch, ndr] aveva il suo, il mio era quello di costruire lo Stato”, arriva la soddisfazione in conferenza stampa di Christophe Solioz, direttore esecutivo dell’Associazione BiH 2005 e deus ex machina della conferenza, che ricorda l’eccellente timing della due giorni, coincidente con l’annuncio positivo della Commissione Europea. Osman Topcagic, ex Ambasciatore della Bosnia Erzegovina in Gran Bretagna, capo del Direttorato bosniaco per l'integrazione europea, aggiunge: “E’ iniziata la fase della transizione verso l'Unione Europea. L'era della dipendenza internazionale è terminata”.

Entusiasmo anche da oltre Atlantico: James O'Brien (The Albright Group), ex inviato Usa nei Balcani e negoziatore di Dayton, segnala il “momento storico. Se la Bosnia fosse stata un fallimento le conseguenze sarebbero state terribili per tutta la regione. Questa regione invece, nella quale imperi diversi si sono combattuti per secoli, diventa oggi parte di un’unica Unione”.

Nel pomeriggio, all’affollato panel su “Giustizia e riconciliazione” interviene nuovamente Srdjan Dizdarevic, sostenendo che “una commissione per la verità e la giustizia deve essere costituita a livello regionale e non dei singoli Stati”, e poi Jakob Finci (presidente dell’Associazione BiH 2005, rappresentante della comunità ebraica bosniaca e promotore dell’Associazione per la Verità e la Riconciliazione in BiH): “Finchè abbiamo nel nostro Paese le truppe straniere avremo la pace, ma senza riconciliazione non avremo futuro. […] Dopo ogni guerra, la storia viene scritta dai vincitori. In Bosnia Erzegovina la guerra è terminata senza vincitori, quindi abbiamo tre storie separate. Dobbiamo trovare il modo di affrontare il passato”.

Marko Orsolic, direttore del Centro Interculturale e Multireligioso di Sarajevo, sottolinea il possibile ruolo della religione nel percorso di riconciliazione, “un termine che deriva proprio dalla tradizione religiosa giudaico cristiana”. Purtroppo non sempre le religioni hanno avuto un ruolo positivo, sembra ricordare Orsolic quando, riferendosi ad una recente polemica riportate dai media internazionali, lui francescano, afferma: “Ma se Gotovina non è dai francescani, perchè semplicemente non lo dicono invece di infuriarsi?” Carla Del Ponte, tra il pubblico, si volta verso la portavoce della Procura, Florence Hartmann, annuendo con un sorriso.

Vesna Terselic, direttrice di Dokumenta - Centro per l’elaborazione del passato (Zagabria), ricorda la politica di aggressione condotta dalla Croazia nei confronti della Bosnia Erzegovina, e sostiene che mentre parte del lavoro sul passato recente può essere svolto a livello dei singoli Stati, altre iniziative devono avvenire a livello regionale. Insieme ai colleghi di Sarajevo e Belgrado, il gruppo di Dokumenta ha già avviato un lavoro fondamentale per la ricostruzione della verità su quanto accaduto durante le guerre degli anni ’90 nei Balcani.

100.000 morti

Dopo di lei prende la parola proprio Mirsad Tokaca, presidente del Centro di Ricerca e Documentazione di Sarajevo. Le sue parole, e soprattutto le cifre che comincia a snocciolare di fronte all’assemblea, pesano come macigni: “Stanco dei discorsi sulla riconciliazione, ho deciso di cominciare a lavorare concretamente, per ricostruire la verità su quanto avvenuto. Oggi il Commissario europeo Olli Rehn ha detto che 250.000 persone sono state uccise durante la guerra in Bosnia Erzegovina [la cifra comunemente accettata dalla pubblicistica, ndr]: questo non è vero. Noi abbiamo raccolto nel nostro registro i nominativi di tutte le persone morte nel periodo 92-95: sono meno di 100.000, 91.149 persone, di cui 52.000 militari e 39.149 civili”. Secondo Tokaca, ogni parte ha avuto interesse a gonfiare le cifre dei ‘propri’ morti, costruendo verità parallele e inattendibili: “Ricordate la retorica sulle vittime di Jasenovac [campo di concentramento nazi-ustasha della seconda guerra mondiale, ndr] prima dell'inizio della guerra in Bosnia Erzegovina? Sappiamo quanto danno può creare un’informazione manipolata. L'amnesia o l'amnistia non possono portare alla riconciliazione, ma solamente la verità dei fatti e la giustizia”.

I criminali non devono poter dormire tranquilli

E’ Carla Del Ponte a dare inizio all’ultima plenaria della giornata: “Dayton ha avuto il merito di fermare la guerra, ma ora deve emergere uno Stato funzionale basato su nuovi accordi costituzionali”. Sul lavoro del Tribunale, la procuratrice ricorda semplicemente una frase del cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal, recentemente scomparso: “I criminali non devono mai poter dormire tranquilli”, e poi ancora “non ci sono alternative al portare avanti la giustizia fino al suo compimento”.

Dopo aver ricordato le cifre del lavoro della Procura (162 accusati, di cui 120 per crimini commessi in Bosnia Erzegovina) e l’importante conferma in appello dell’accusa di genocidio presentata per Srebrenica (aprile 2004), Del Ponte passa ai latitanti ‘eccellenti’: “Le ragioni della latitanza di Karadzic e Mladic non sono misteriose. Nei primi anni dopo Dayton non c'era nessuna volontà di portarli all'Aja. Negli ultimi anni ci sono stati passi in avanti, ma ancora oggi non ho alcuna prova che ci sia una concreta volontà politica in questo senso”.

Sette latitanti, uno in Russia

In conferenza stampa, la Procuratrice ricorderà poi che i latitanti sono ancora sette. “Un anno fa ne avevo 30. Oggi, oltre a Karadzic, Mladic e Gotovina ci sono ancora Tolimir, Hadzic, Zupljanin e Djordjevic, quest’ultimo in Russia. La Russia sta cooperando con il Tribunale, ha consegnato un latitante di medio livello, ma non ancora il generale Djordjevic. E io preferirei restare nel mio Tribunale piuttosto che continuare ad andare in giro chiedendo aiuto per la cattura dei latitanti…”

L’ultima nota è sul ruolo dell’informazione: “I documenti, le testimonianze, i video devono essere portati di fronte all'opinione pubblica perchè ci sia piena consapevolezza di quanto avvenuto negli anni ‘90”.

Srebrenica, coltello, filo spinato

“Appartengo alla generazione che ha la responsabilità per quanto è successo, e insieme alla mia generazione ho la responsabilità di creare le condizioni perchè tali atrocità non possano ripetersi”. Natasa Kandic, del Centro per il Diritto Umanitario di Belgrado, è una delle donne che non hanno mai smesso di dare voce alla Serbia democratica, contro il nazionalismo e le guerre del regime, rischiando anche la propria vita (è lei che ha reso noto al mondo il cosiddetto video degli ‘Scorpioni’). Parte dai risultati conseguiti negli ultimi anni, citando in particolare il rapporto della Commissione della Republika Srpska su Srebrenica, fondamentale in quanto primo documento ufficiale di assunzione di responsabilità da parte di un’istituzione sui crimini commessi. La giustizia può essere conseguita, secondo la Kandic, “solo con l'arresto dei criminali ricercati. Lo slogan ‘Srebrenica, coltello, filo spinato’ che a volte ancora riecheggia, mi fa pensare a loro in libertà”.

Ivan Barbalic, dell’Università di Sarajevo, ricorda infine amaramente che “la nostra società è completamente divisa su linee etniche, e alimenta il nazionalismo. Non abbiamo una, ma 3 società separate dove le maggioranze discriminano le minoranze”, sottolineando poi l’importanza dell’impegno politico, perché “le elezioni del 2006 possono determinare il futuro del nostro Paese”.

Una ragazza bosniaca

La conclusione della conferenza è affidata a un’artista, Sejla Kameric, di Sarajevo. Un suo fotomontaggio è diventato un poster che ha fatto il giro del mondo. Si chiama “Bosnian girl”. La Kameric ha preso una scritta lasciata da un anonimo casco blu olandese sui muri della base Unprofor di Potocari, presso Srebrenica: “Niente denti? Con i baffi? Puzza di merda? E’ una ragazza bosniaca”. Sejla ha preso la scritta e l’ha messa in sovrimpressione sul proprio ritratto. Racconta meglio di un trattato di storia il disprezzo del mondo per la tragedia bosniaca. Gli organizzatori le hanno chiesto di chiudere la conferenza. “Non conosco il linguaggio della politica, solo quello delle emozioni. Vorrei parlarvi di come ci sentiamo 10 anni dopo la guerra […] Ci sentiamo infelici, disillusi, tristi. La speranza è stata uccisa. Molti Bosniaci non sognano più la Bosnia come un posto migliore in cui vivere. Aspettavamo dalla pace tutte le soluzioni, naturalmente non è stato così […] Dobbiamo accettare la delusione momentanea, ma mai perdere l’infinita speranza”. Sulla citazione di Luther King corrono le lacrime. Jovan Divjak si avvicina al tavolo della presidenza e l’abbraccia.

E’ tardi, i partecipanti raccolgono borse e carte e cominciano a dirigersi verso alberghi, stazioni, aeroporti. Solioz ricorda che il lavoro dell’Associazione BiH 2005 non finisce qui. Forse in altro modo e in altri luoghi, ma il percorso continua…