Un’imponente realizzazione edile apre un contenzioso tra la Croazia e la Bosnia Erzegovina. Si tratta di un ponte che collegherebbe la costa croata alla penisola di Peljesac, passando attorno alla costa della Bosnia Erzegovina. Sarajevo lamenta la limitazione del suo accesso al mare
Sotto lo slogan “Il collegamento dello stato non ha prezzo” la Croazia ha iniziato la costruzione del ponte che collegherà la terra ferma con la penisola di Peljesac e girerà attorno ai 21 km di costa appartenente alla vicina Bosnia ed Erzegovina. Tale impresa edile, che secondo quanto annunciato costerà circa 250 milioni di euro, e che è appena iniziata, ha suscitato una vera tempesta sia all'interno della stessa Croazia che al di fuori delle sue frontiere. Mentre l'opposizione in Croazia crede che si tratti di una “costruzione politica” che non ha nessuna giustificazione economica, il Governo di Sarajevo ha reagito in modo molto forte alle intenzioni di Zagabria di costruire tale ponte, considerando che con esso verrà limitato lo sbocco della Bosnia ed Erzegovina sul mare aperto.
La costa Croata, lunga 1.777 metri, si interrompe nella zona attorno alla città di Neum in Bosnia ed Erzegovina, sicché ora Zagabria, per far sì che “la Croazia finalmente diventi una unità”, inizia la costruzione di un ponte lungo 2.347 metri, per permettere ai suoi cittadini (ma anche ai numerosi turisti) che attraversano la costa dal Sud Ovest del Paese verso il suo Sud Est, a non dover attraversare la frontiera e in questa ventina di chilometri a viaggiare sul territorio della Bosnia ed Erzegovina. Il premier Sanader, che ha assistito personalmente l'inizio dei lavori per la costruzione del ponte, desidera in questo modo mantenere una delle sue promesse fatte durante la campagna elettorale. Tuttavia la sua idea è stata presa male tanto dai vicini che dall’opinione pubblica locale.
La Bosnia ed Erzegovina considera che il ponte, la cui altezza sopra il livello del mare sarà di circa 35 metri e che sarà sorretto da 15 pilastri, limita il libero accesso delle navi alla sua costa, lunga 21 chilometri, e pertanto limita il suo diritto allo sbocco sul mare aperto. “Il governo bosniaco erzegovese non ha dato il consenso per la costruzione del ponte verso Peljesac ed esso non potrà essere costruito finché ciò non sarà fatto”, ha detto Branko Dokic, il ministro dei trasporti del Governo della Bosnia ed Erzegovina. “La costruzione del ponte verso Peljesac senza accordo con il governo della BiH è una mossa politicamente rischiosa, e noi crediamo che per una tale mossa la Croazia non sia pronta”.
Siccome gli spazi fra i pilastri saranno di circa 130 metri, e siccome il ponte sarà a solo 35 metri dal livello dell'acqua, il governo della BiH crede che questo possa limitare l’accesso alla loro parte di costa. “Ciò minaccia il nostro sbocco sul mare aperto», dice il vice ministro dei trasporti della BiH, Haris Basic. “L'unica soluzione che potrebbe essere accettabile è di fare un ponte apribile e di far passare le navi di tutte le altezze”.
“Le regole internazionali marittime determinano in modo severo che la larghezza del tratto navigabile non si deve restringere sotto il miglio nautico (1.852 metri). Ciò significa che in quel canale non si dovrebbe mettere nessun pilastro, figuriamoci 15 come hanno pensato di fare i progettisti. Passare con la nave da un passaggio più stretto di 2.000 metri non è semplice, nemmeno quando c’è bel tempo, figuriamoci in condizioni avverse», avverte l'esperto per il trasporto navale Ivo Rudenjak.
La Croazia ha già un problema con la sua parte di frontiera nel Golfo del Pirano, punto di continuo conflitto fra Slovenia e Croazia. Questa questione, dopo tante trattative senza successo fra Slovenia e Croazia, sarà probabilmente risolta con un arbitrato internazionale. E ora emergono anche i problemi con la Bosnia ed Erzegovina, che potrebbero rendere complicato il viaggio croato verso l'Unione europea.
L'ex premier croato Ivica Racan e il suo ministro per la ricostruzione Radomir Cacic, meritevoli di aver avviato, durante il loro mandato, la costruzione dell’autostrada Zagabria – Spalato, nel frattempo terminata, credono che si tratti di un’impresa grandiosa senza alcun calcolo economico. Hanno attaccato fortemente l'idea di Sanader, affermando che la costruzione del ponte costerà molto di più di quanto si sostiene adesso (parlano persino di una cifra di mezzo miliardo di euro!), ma considerando il numero delle autovetture che vi passeranno sopra (da due a quattro mila al giorno), non sarà mai recuperabile.
“Invito il Governo a mostrare qualsiasi studio di fattibilità del ponte. Tale ponte non ha nessuna logica economica, e un mero progetto politico”, afferma l'ex ministro Radimir Cacic. L’ex ministro afferma inoltre che la costruzione del ponte non sarà un problema per il Governo attuale, ma lo sarà per qualsiasi altro, perché dovrà non solo pagare i debiti per la costruzione, ma anche coprire le perdite che il ponte creerà.
Gli esperti credono che la soluzione più saggia sarebbe un corridoio attraverso la BiH, come parte della strada ionica, che andando lungo la costa croata continuerebbe verso il Montenegro e l’Albania fino alla Grecia. Tale corridoio sarebbe non solo più conveniente, credono gli esperti, ma non creerebbe dei problemi nei rapporti con la Bosnia ed Erzegovina.
Ma, in tal caso non si potrebbe parlare di come il ponte farà quello che le frontiere non hanno fatto - che la “Croazia diventi un insieme”. Questa vecchia idea di Tudjman, che anche lui sognava su come mettere il ponte sopra quella ventina di chilometri della costa adriatica che appartengono alla Bosnia ed Erzegovina, adesso ha iniziato a prendere corpo.
Gli analisti considerano che l'idea di Sanader sul ponte dalla terra ferma a Peljesac è più in sintonia con le idee del 20° che con quelle del 21° secolo, nel quale il concetto di frontiera, sovranità e integrità non ha più il significato che aveva prima. Se la Croazia diventerà membro dell'Unione europea entro la fine di questo decennio, e la Bosnia ed Erzegovina nel prossimo, è ridicolo costruire il ponte solo perché la “Croazia diventi un tutt’uno”. A maggior ragione perché così renderà inutilmente più complicati i rapporti con la Bosnia ed Erzegovina, Stato dal quale è divisa da una delle più lunghe frontiere europee, quasi mille chilometri.