Il quotidiano di Fiume, Novi List, pubblica un’intervista con Giacomo Scotti, in cui mette in risalto le minacce che il noto scrittore riceve da tempo. Motivo principale degli attacchi contro Scotti sarebbe il suo recente libro sulle foibe. Nostra traduzione
Di Tihana Tomičić, 22 novembre 2005, Novi List, (tit. orig. Fašizam osvaja talijanske ulice)
Giacomo Scotti
Il giornalista e scrittore fiumano Giacomo Scotti, vicepresidente dell’Unione italiana (istriana, ndt), in questi giorni a Monfalcone è stato oggetto della seconda minaccia arrivata nel corso di poche settimane. Già lo scorso mese - non lontano dall’edificio dove ha ricevuto un riconoscimento dal comune di Monfalcone per la creazione di ponti culturali attraverso l’Adriatico - era stata trovata una scatola di cartone avvolta con del filo, a sembianza di un ordigno esplosivo, sulla quale vi era scritto “Scotti-assassino”. Poi alcuni giorni fa, ad un incontro sulla cooperazione transfrontaliera, è stata imbrattata con iconografie neofasciste la casa del sindaco di Monfalcone, con riferimento esplicito al nome di Giacomo Scotti.
Scotti è una nota personalità di sinistra, un uomo che da Napoli nel 1947 si trasferì nell’allora Jugoslavia, e sembra che il motivo principale degli ultimi attacchi neofascisti sia la pubblicazione del suo ultimo libro dal titolo “Dossier foibe”. Scotti afferma che le pressioni contro di lui, giunte al punto che ora la polizia lo deve scortare nei luoghi pubblici in Italia, sono iniziate già il 10 febbraio di quest’anno, quando in Italia per la prima volta è stato celebrato il “Giorno del ricordo per le vittime delle foibe e dell’esodo post bellico”.
“Quel giorno, 10 febbraio, alla celebrazione dell’appena introdotto ‘Giorno del ricordo’ a Trieste Roberto Menia vicepresidente del club parlamentare di Alleanza Nazionale - per chi non lo sapesse è un partito filo-fascista che ha cambiato nome - ha affermato che mi avrebbe reso la vita amara perché nel ’47 ho lasciato l’Italia e sono diventato un ‘infoibatore’, nonostante avessi solo 18 anni. Già il giorno seguente Menia ha inviato a cinque ministeri italiani – degli Esteri, degli Interni, del Lavoro, ecc. – un’interpellanza con la quale chiedeva di indagare sul mio status in Italia. Io possiedo la doppia cittadinanza e tutti i diritti che da ciò conseguono, così pure la pensione italiana. Si tratta della pensione sociale, a cui in Italia hanno diritto tutti i cittadini sopra i 65 anni, e anche le casalinghe e la gente che non ha mai versato un contributo per la pensione in Italia. E volevano portarmela via. Mi hanno esaminato per sei mesi in tutti i modi possibili, hanno indagato su tutta la mia vita, non so quante volte la polizia è passata davanti alla porta del mio appartamento a Trieste, persino l’ex console a Fiume Roberto Pietrosanto ha inviato una lettera con tutti i dati sul mio conto. Direi che ha svolto un classico lavoro di spionaggio. Ha incluso dati sui compensi che ricevo in Croazia, ma sono compensi troppo esigui per far sì che lo Stato italiano mi porti via quei miseri 500 euro. Alla fine non hanno dimostrato nulla. Sento una terribile pressione, ma non rinuncerò al mio impegno pubblico”.
La polizia italiana ha trovato qualche indizio che potrebbe far risalire a chi vi è dietro alle minacce?
No, loro non accertano mai nulla. Mi devono difendere solo come pro-forma, e allora camminano con me per Monfalcone e mi scrutano tutto il giorno. La volta scorsa non sono riuscito a fare metà del lavoro che avevo in programma perché ero alla polizia. Sono io, in effetti, vittima della polizia. Ma domani vado ancora in Italia, a Lecce per presentare il mio libro. Non mi tiro indietro, anche se mi aspetto ancora delle spiacevolezze.
Perché il suo libro è tanto contestato?
Si tratta di un libro di documenti, in cui riporto i nomi e cognomi di cinquecento persone che sono state uccise nelle foibe in Istria.
Ma è per questo che quelli della destra in Italia protestano?
Perché io quei fatti storici li colloco in un contesto, che ci fa comprendere che dopo quei crimini i fascisti coi tedeschi in Istria hanno ucciso ancora 5.000 civili, di cui non si parla nel “Giorno del ricordo”. Il Fascismo ha ucciso 300.000 persone nelle regioni occupate dell’Adriatico e ha creato un centinaio di campi di concentramento. Di questo, oggi, in Italia non si parla.
È peggiorata la situazione in Italia da quando i partiti di destra sono al potere?
La destra italiana con questa politica tenta di lavarsi la coscienza. Da quando la destra è al potere almeno trecento vie e piazze hanno ricevuto i nomi delle vittime delle foibe e dei cosiddetti eroi della patria, ma questi erano noti fascisti. Mi piacerebbe vedere una via che porta il nome di un qualche croato o sloveno che è stato ucciso nei campi di concentramento italiani. In Italia tuttora dura la caccia ai “comunisti”, e la destra ha a disposizione la televisione, il potere, la polizia… noi tutti che dopo la guerra siamo rimasti in Croazia o in Slovenia ancora oggi per loro siamo dei grandi traditori. Loro non hanno mai chiarito in modo deciso che si è trattato di un’occupazione vera e propria, per loro si tratta della perdita di territori italiani. L’atmosfera è avvelenata e posso dire di sentirmi sotto pressione. Hanno tentato di tutto, l’unica cosa è che non hanno ancora cercato di uccidermi. Ma io ho 77 anni e me ne frego di cosa morirò.
Ha qualche sostegno almeno dai circoli della sinistra?
Sì, gli intellettuali triestini con a capo Claudio Magris volevano persino protestare in pubblico, ma io non lo desidero. Ma c’è un altro fatto: per la sentenza contro Predrag Matvejevic, mio collega e amico, i media italiani strillano. Certo che va bene, ma il problema è che urlano solo perché è una dimostrazione in più che i croati sono barbari, mentre allo stesso tempo tra la stessa opinione pubblica italiana nessuno mi difende. Non vedono il loro barbarismo e non lo accusano.