Al recente Festival di Berlino è stata lanciata assieme ad altri 20 giovani attrici ed attori europei come "star" del futuro. Iva Krajnc si divide tra il teatro ed il cinema ed in quest'intervista racconta delle produzioni cinematografiche slovene, della sua vita da attrice e dell'ingresso nella UE del proprio paese
Bionda, 28 anni, pochi film all’attivo ma significativi, che le hanno portato vari premi. E soprattutto una carriera teatrale iniziata molto presto, a 14 anni a Ptuj, nella parte nord orientale della Slovenia dov’è cresciuta.
Questa è Iva Krajnc, “Shooting Star” slovena fra le 21 europee (per l’Italia c’era Riccardo Scamarcio, per la Bulgaria Vesela Kazakova di “Mila from Mars” e per l’Ungheria Gabriella Hamori) al recente Festival del cinema di Berlino.
Il suo esordio davanti alla macchina da presa è del 2001 con “Varuh Meje – Guadian of the Frontier” di Maja Weiss, per il quale ricevette il premio di miglior attrice al Festival sloveno di Portoroz. Nel 2005 ha interpretato “Ljubljana je ljubljena” di uno dei padri della cinematografia della piccola repubblica, Matjaž Klopčić. L’abbiamo incontrata a Berlino, parlando dei suoi inizi, dei suoi progetti e della situazione del cinema nel suo Paese.
Iva, lei ha iniziato molto giovane in teatro. Come è nata la passione? C’era qualche attore in famiglia?
Ho incontrato il teatro grazie alla danza che facevo da bambina. A 12-13 anni ho cominciato a fare teatro per ragazzi. Sono andata avanti così negli anni del liceo e quando ho finito la scuola ho provato l’esame per l’Accademia a Lubiana. Sono stata presa, ho seguito i corsi per 4 anni e quando mi sono diplomata ho avuto un contratto dal teatro cittadino di Lubiana. Volevo anche studiare medicina e allo stesso tempo ero molto interessata all’arte. Se non avessi passato l’esame per l’Accademia ora forse farei il medico, o qualche altro lavoro che permette di aiutare le persone.
E il passaggio al cinema?
Quasi subito ho fatto delle cose in televisione e dei cortometraggi e nel 2002 ho fatto “Varuh meje” di Maja Weiss che è stato il mio primo ruolo importante. La Slovenia ha una piccola produzione, io sono contenta di essere riuscita a fare un film all’anno. Questo mi serve per restare allenata, abituata alla macchina da presa e dentro il movimento del cinema.
L’ultimo film è stato “Ljubljana je ljubljena” di Matjaž Klopčić. Quali sono le differenze che ha trovato rispetto a lavorare con Maja Weiss?
Sono due film completamente diversi. “Varuh meje” fu il mio primo, non avevo esperienza. Per questo avevo delle esperienze precedenti che mi hanno aiutato. Io tra i due film sono molto cambiata, ho imparato tante cose sulla recitazione e su me stessa. Weiss e Klopčić sono completamente diversi come persone e lo si vede nei loro film che sono molto distanti. Anche i miei personaggi erano opposti.
Quale dei due sentiva più vicino a come è lei?
In entrambi i film c’è qualcosa di me. Mi sono innamorata di entrambi i ruoli. All’inizio odiavo Simona, il personaggio di “Varuh meje” perché è dolce e fragile e non volevo farlo. Poi ho cominciato a divertirmi, ha cominciato a piacermi. Marjana, in “Ljubljana”, è forte, anche se forse non lo sembra, ma è molto dura e determinata. Sono in fondo due personaggi estremi e in ciascuno c’è qualcosa di me. La gente all’inizio pensa che io sia fragile, poi mi conosce e scopre che sono forte, passionale, parlo ad alta voce.
“Varuh meje” raccontava un’amicizia fra ragazze, ma sullo sfondo c’erano gli emigranti che attraversavano clandestinamente il confine. Cosa pensa della situazione della Slovenia come punto di incrocio e di passaggio?
Sì, siamo proprio un punto d’incrocio e lo sentiamo di più ora che siamo nella Ue. Il problema dell’immigrazione è aperto. Io non lo conosco a fondo, ma mi sembra che il nuovo governo, eletto un anno e mezzo fa, sia molto più rigido, chiuso, rispetto al precedente su questo tema. Ma solo ora stiamo cominciando a vedere la politica del nuovo governo. Io vedo che gli immigrati vengono da noi per cercare lavoro, ma anche in Slovenia non ce n’è molto, anzi abbiamo problemi di disoccupazione.
Nell’ultimo periodo il cinema sloveno si sta facendo conoscere, sta ottenendo premi in tanti festival. Che ne pensa?
Il cinema sloveno sta migliorando in questi ultimi anni. Anche se forse avrebbe bisogno di un po’ di follia in più. Però alla base c’è un problema di soldi, facciamo solo 3-4 film all’anno e questo non ci permette di lavorare molto e crescere. Il fatto che stiamo ottenendo premi è incoraggiante, è buono, significa che i nostri film sono buoni.
L’essere Shooting Star a Berlino cosa rappresenta per lei? Può essere un trampolino per lavorare all’estero?
Sono onorata di essere stata scelta, mi sento felice e fortunata. Quanto alle opportunità, con gli altri attori delle altre nazioni ne parliamo in questi giorni e vedo che tutti i non madrelingua inglese hanno lo stesso problema. Il linguaggio è in qualche modo un confine. Non è come la danza, dove il linguaggio del corpo è universale, per recitare devi parlare. Per essere presi nelle produzioni internazionali ci si aspetta un inglese perfetto, altrimenti ti propongono solo ruoli da immigrato. Per il mio aspetto fisico sono spesso presa per una nordica, la gente non pensa che io sia del sud. Io conosco il tedesco e ho parlato a lungo con una direttrice di casting tedesca e alla fine mi ha detto: ti terrò in considerazione per dei ruoli da straniera. Questo anche se parlo bene tedesco. Essere qui è un’opportunità, ma poi conta anche la fortuna.
Prossimi lavori?
Ora sto facendo Ofelia nell’Amleto a teatro. Aspetto che sia finito il film che ho interpretato in Germania, “Plastic Nomads” di Phillip Stary, e poi vedremo. Dovrei fare un film per la televisione in Slovenia durante l’estate e poi forse uno per il cinema ma non sono sicuri: devono ancora completare i budget.
Fra teatro e cinema cosa preferisce?
Lavoro molto a teatro, di fatto è il mio lavoro fisso, così dico che preferisco il cinema. Facessi più cinema, credo che preferirei il teatro. Nella realtà mi piacciono entrambi, mi piace variare e mi piace imparare cose nuove. Sento che non potrei vivere senza tutti e due, senza mischiare.