Le reazioni in Bosnia Erzgovina alla morte di Milosevic. Candele e corone di fiori a Banja Luka, Doboj e Prijedor, delusione da parte delle vittime per la brusca interruzione del processo e della ricerca di verità su quanto avvenuto negli anni ’90. Dal nostro corrispondente
Sarajevo, un cimitero
La scomparsa di Slobodan Milosevic fa ritornare in mente le parole che si sentono spesso ripetere dalle varie associazioni di vittime in Bosnia ed Erzegovina: al giorno d’oggi, in Bosnia è meglio essere un criminale di guerra che una vittima. Questa amara constatazione esprime perfettamente le condizioni delle vittime della guerra in Bosnia ed Erzegovina, che dal punto di vista finanziario e sociale, vivono in condizioni molto difficili dato che le leggi che dovrebbero provvedere al loro supporto e sostentamento non vengono implementate o sono affette da una cronica mancanza di fonti. E ciò vale per tutte le associazioni di vittime, in entrambe le entità. Per contro, una persona accusata di crimini di guerra come Milosevic, una volta abbandonato il potere, ha continuato ad ottenere attenzione mediatica che ha coperto il suo processo e gli ha comunque assicurato una ribalta mondiale.
La fine di Milosevic conferma questa amara situazione: la gente è più pronta ad esprimere cordoglio per la scomparsa di un potente, accusato di pesantissimi crimini, che per la scomparsa di migliaia persone innocenti ma sconosciute. Il giorno dopo la sua morte, in Republika Srpska, le reazioni dei politici sono diverse. Chi invia le condoglianze alla famiglia, come Momir Malic presidente del Consiglio dei Popoli, una delle due camere del parlamento della Srpska, chi, come Cavic, dice che è scomparsa una figura storica, che è stata sia criticata che eleogiata e si chiude quindi un’epoca. C’è chi, infine, come il membro serbo della Presidenza collegiale bosniaca Borisav Paravac, cerca di tirare l’acqua al proprio mulino, dicendo che Milosevic con la sua difesa decisa ha provato che il conflitto in Bosnia ed Erzegovina non è stata un’aggressione internazionale, ma una guerra civile dei tre popoli.
Il riferimento alla causa in corso alla Corte Internazionale di Giustizia è chiaro. Nelle città della Srpska, come Banja Luka, Doboj e Prijedor, sono state accese candele e sono state deposte corone di fiori. La sensazione è che l’opinione pubblica nella Republika Srpska sia più morbida nei confronti di Milosevic di quanto non lo sia in Serbia, dove numerosi politici dell’attuale classe dirigente sono stati vittime della repressione di Milosevic, primo fra tutti il Ministro degli Esteri Vuk Draskovic.
Se in Republika Srpska non vi sono espressioni di critica nei confronti di Milosevic, l’atteggiamento dei politici più moderati, come Ivanic, è quello di voler mettere una pietra sopra sul passato, voltare pagina ed andare avanti. Ivanic dice che è ora di guardare al futuro e che voltando pagina le relazioni tra i popoli della Bosnia ed Erzegovina miglioreranno. Questo atteggiamento è simile a quello che emerge in relazione alla causa pendente di fronte alla Corte di Giustizia: rivangare il conflitto, analizzarlo e rielaborarne le cause è un processo che rischia di portare instabilità e riaprire le ferite. Meglio metterci una pietra sopra e guardare in avanti. È questo una sorta di atteggiamento generalizzato che sta emergendo sia in Republika Srspka che in Serbia, le relazioni tra popoli sono buone finchè non si vanno a toccare certi argomenti collegati al conflitto. Quando si sollevano certe questioni, ci si rende conto che le opinioni pubbliche rimangono ancora polarizzate su posizioni diametralmente opposte.
Richard Holbrooke, intervistato per la CNN, dice che sostanzialmente è stata fatta giustizia sommaria, dato che comunque Milosevic sarebbe stato condannato all’ergastolo e non avrebbe più rivisto la luce del giorno, come in effetti è avvenuto. Ma Holbrooke dimentica che Milosevic era già in cella a Belgrado quando è stato consegnato all’Aja. A Belgrado, Milosevic avrebbe dovuto comunque fronteggiare un processo di fronte alle autorità serbe per le sue attività come presidente.
Il processo per crimini di guerra e genocidio avrebbe servito lo scopo di far luce sulle politiche perseguite da Milosevic nella dissoluzione della Jugoslavia e avrebbe permesso di spiegare l’”impresa criminale” in cui Milosevic si era imbarcato quando aveva iniziato a cavalcare il nazionalismo serbo. Tali spiegazioni sono di estrema importanza nei paesi della ex Jugoslavia, dove al giorno d’oggi le memorie sono ancora divise. Le idee di Milosevic, propagate dalla propaganda serba e ripetute nel corso di questi anni dai suoi accoliti, sono ancora vive e rappresentano al giorno d’oggi ancora un fattore di divisione.
E’ paradossale che quelli che maggiormente esprimono il dispiacere per la scomparsa di Milosevic sono alcune associazioni di vittime della Federazione, come l’associazione degli ex internati nei campi di concentramento, come l’associazione delle donne violentate, che si rendono conto che alla fine Milosevic porterà con se i suoi segreti e non sarà possibile far luce sui suoi crimini. Lo stesso Lagumdzja esprime la preoccupazione che le idee di Milosevic, cioè il sogno della Grande Serbia, seppur non in ottima salute, siano ancora vive. Altri come Tihic, in parallelo con il suo alter ego Paravac, affermano che nonostante la morte di Milosevic, il caso di fronte alla Corte di Giuzia continuerà e si giungerà comunque alla verità.
Con Milosevic scompare l’ultimo dei firmatari di Dayton. Tudjman e Izetbegovic l’avevano già preceduto anni fa. Per tutti e tre questi leader erano state mosse accuse più o meno gravi di crimini di guerra, anche se per Tudjman ed Izetbegovic la morte era sopraggiunta prima che il Tribunale dell’Aja potesse guardare seriamente nei loro casi. Le idee di questi tre leader, come quelle di Karadzic e Mladic, sono purtroppo ancora vive e i nazionalisti di ogni gruppo etnico continuano ad usarle per i propri scopi personali. Ed è per questo che sono le vittime ad esprimere il dolore maggiore, mentre soprattutto tra i serbi della RS, vi è quasi una sorta di sollievo, mascherato da espressioni di cordoglio e giudizi ambigui sulla figura di Milosevic. Sollievo perchè certe cose non verranno sollevate al Tribunale dell’Aja, sollievo perchè non si giungerà ad una sentenza che, in parallelo con quella della Corte di Giustizia, potrebbe aver avuto effetti destabilizzanti sulle varie leadership politiche, soprattutto in RS. La classica pietra sopra, in questo caso, una pietra tombale.