A causa della proibizione di indossare il velo nei campus universitari del proprio Paese, diverse ragazze turche stanno trasferendosi a vivere e studiare in Bosnia. Nostra traduzione da Balkan Insight
Di Aida Sunje*, Sarajevo, Balkan Insight n.23, 3 marzo 2006, BIRN Media Training and Reporting Project (Titolo originale: “Turkish students take refuge in Sarajevo”)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta
Il motivo per cui Zehra è venuta a studiare in Bosnia è inconsueto. Ad attrarla non è stata tanto la reputazione accademica della facoltà di Scienze politiche di Sarajevo, quanto l’atteggiamento rilassato nei confronti dei costumi islamici.
"Sono venuta in Bosnia perché nel mio Paese avevo dei problemi ad indossare il velo", dice. "Grazie a Dio, qui mi sono ambientata velocemente".
"I bosniaci erano molto sorpresi che qualcuno venisse qui dalla Turchia per ricevere un’istruzione", aggiunge.
Nel Paese d’origine di Zehra, la Turchia, a studentesse ed insegnanti è vietato indossare il velo nelle scuole o nelle università.
A partire dal 1997, sotto la pressione dell’apparato militare, di tendenza laica, il governo ha introdotto un divieto sui veli più rigido che mai.
Piuttosto di cedere, Zehra ha deciso di seguire una strada meno battuta ed è arrivata in Bosnia ed Erzegovina quattro anni fa. "Avevo paura dell’incognito, ma dopo un po’ la Bosnia mi è diventata familiare", ha raccontato a Balkan Insight.
Da allora, Zehra ha sposato un bosniaco e ha avuto un figlio che ha ora alcuni mesi.
In Turchia i campus non sono le sole aree vietate alle donne velate. Esse non possono lavorare nella pubblica amministrazione o in Parlamento, né nei tribunali.
Nel 2005 Leyla Sahin ha sottoposto la questione alla Corte europea per i diritti umani, quando il suo rifiuto di scoprirsi il capo la costrinse a studiare all’estero. Ma in novembre 2005 la Corte riconobbe il diritto del governo turco di mantenere il divieto.
Alcuni gruppi per i diritti civili, incluso Human Rights Watch, hanno criticato questa decisione. "La Corte europea ha bocciato migliaia di ragazze, che a causa di ciò non potranno studiare nelle università turche", ha detto Holly Carter, direttrice di Human Rights Watch in Europa e Asia Centrale.
Il sostegno dei gruppi per i diritti civili non ha comunque arrecato giovamento alla Sahin, che ha dovuto completare a Vienna i propri studi di Medicina.
A differenza di quanto accade in Turchia, la legge bosniaca non vieta alle donne di indossare il velo nei luoghi pubblici. Inoltre, la popolazione di Sarajevo è ora in gran parte musulmana e l’aver passato 400 anni sotto dominazione ottomana ha reso la cultura locale la più vicina a quella turca, se paragonata a quella di qualsiasi altra città europea.
Il numero esatto di studenti turchi a Sarajevo non è chiaro. "Io non so quanti turchi studino all’Università di Sarajevo, ma sicuramente ora ce ne sono di più rispetto a quando sono arrivata io”, dice Zehra.
La locale organizzazione degli studenti stima che circa 200 dei 47 mila studenti presenti in città provengano dalla Turchia.
Per lo più gli studenti bosniaci sono solidali con le loro colleghe turche, costrette a studiare all’estero per la questione del velo.
"Mi dispiace per il fatto che abbiano dovuto lasciare le loro case per ricevere un’istruzione, per un motivo così banale", dice Dina, una studentessa locale.
La sua compagna di classe Lejla concorda. "Mi sta bene che vengano qui. Se studiare qui rende loro le cose più facili, allora dovrebbero poterlo fare", ha detto a Balkan Insight.
Le autorità universitarie comunque tendono a minimizzare il discorso secondo cui vi sarebbero degli studenti giunti a studiare qui per motivi puramente religiosi.
"Le porte dell’Università di Sarajevo sono aperte a qualsiasi persona desideri studiare qui", ha dichiarato a Balkan Insight Zoran Seleskovic, segretario generale dell’Università.
"È la qualità dell’insegnamento ciò che spinge gli studenti a venire qui, non le questioni religiose”, ha aggiunto un professore di Psicologia. "Qui ci sono studenti che vengono dalla Slovenia, dalla Croazia, dalla Serbia e Montenegro e da altre parti del mondo", ha aggiunto lo stesso professore.
Certamente non tutti gli studenti turchi presenti a Sarajevo sono particolarmente religiosi. Hatidza non indossa il velo e le sue ragioni per studiare in Bosnia sono molto più semplici. "È molto più facile iscriversi a una facoltà in Bosnia ed Erzegovina, rispetto alla Turchia" ha spiegato.
Una ragione per questo è che la competizione per entrare nelle università turche è molto serrata. Alcune stime suggeriscono che, su dieci studenti che in Turchia si presentano agli esami di ammissione all’università, uno solo ottiene un posto.
Hatidza è arrivata in Bosnia nel 1999 e ora è all’ultimo anno di studi presso il Dipartimento di lingua turca della scuola di Filosofia di Sarajevo.
Lavora inoltre come insegnante di lingua turca presso il centro educativo Fidan, istituito nel 2003 per promuovere le relazioni tra Bosnia e Turchia. Hatidza non ha intenzione di restare per sempre. "Dopo essermi laureata ritornerò a casa”, dice.
Un grosso disincentivo per gli studenti turchi che vengono in Bosnia è che i loro titoli di studio non sono riconosciuti in Turchia.
Le lauree delle università bosniache generalmente non sono riconosciute al di fuori dei confini nazionali.
"Quando tornerò in Turchia troverò qualche opportunità. Non sono preoccupata”, dice Hatidza.
Per Zehra il problema non si pone. Lei non riesce a vedere il suo futuro in Turchia, dove ha incontrato così tanti problemi per via del velo.
"Se paziento ancora un poco, potrò ottenere la cittadinanza bosniaca”, dice.
*
Aida Sunje è collaboratrice di Balkan Insight a Sarajevo e praticante presso BIRN Bosnia ed Erzegovina. Balkan Insight è una pubblicazione internet di BIRN