Accordo tra i sette principali partiti bosniaci su un pacchetto di riforme tendente a rafforzare le istituzioni centrali. La Corte Costituzionale si pronuncia contro alcune delle discriminazioni e contraddizioni create da Dayton. Verso una nuova fase costituente in Bosnia?
Il lungo cammino dei cambiamenti costituzionali in Bosnia ed Erzegovina sembra avviarsi con successo verso la conclusione della prima fase. L’iniziativa era partita lo scorso novembre con una sorta di blitz dell’US Institute for Peace che aveva annunciato che ben presto la Bosnia ed Erzegovina avrebbe avuto una nuova costituzione e che sarebbe stata trasformata in una repubblica parlamentare. L’annuncio aveva suscitato scalpore e una ridda di reazioni tra i partiti politici che avevano cercato di sfruttare l’occasione per ottenere risultati che andavano ben al di là delle riforme costituzionali, come per esempio l’abolizione della Republika Srpska (RS), che era stato prospettato dal presidente dell’SDA [Partito di Azione Democratica, ndr] Tihic. L’idea di Tihic aveva sollevato una levata di scudi in RS e un irrigidimento dei negoziatori della Republika Srpska, in particolare di Cavic e Ivanic che, nonostante i rapporti tra PDP [Partito del Progresso Democratico, ndr] e SDS [Partito Democratico Serbo, ndr] fossero oramai logori, erano riusciti a presentarsi uniti al tavolo negoziale e quindi far capire che non si sarebbe aperto il vaso di Pandora delle entità.
Una volta chiarito che i cambiamenti costituzionali non avrebbero mutato unilateralmente la struttura del paese, il negoziato è potuto riprendere con toni più dimessi e sotto l’egida principalmente degli ambasciatori del Regno Unito e degli Stati Uniti che a più riprese hanno facilitato e apertamente spinto la soluzione dei diversi problemi che via via si presentavano nel corso dei lunghi mesi di negoziato. L’incoraggiamento a continuare i negoziati è giunto anche da parte dell’Unione Europea che per voce di Barroso, Solana e del commissario per l’allargamento Olli Rehn hanno incoraggiato i leaders bosniaci a portare a termine il cammino intrapreso.
Verso la fine di marzo, i partiti politici sono finalmente giunti ad un accordo, superando l’ultimo ostacolo che era quello dell’elezione del Presidente della Bosnia ed Erzegovina. Alla fine, il pacchetto di riforme su cui i partiti si sono trovati d’accordo è piuttosto consistente: la presidenza tripartita verrà sostituita da un presidente e due vicepresidenti e l’elezione non sarà più diretta da parte dei cittadini, ma sarà la Camera dei Popoli, una delle due Camere del Parlamento bosniaco ad eleggere il presidente e i due vice presidenti. Il presidente e i due vice-presidenti, che roteranno tra di loro, saranno eletti tra i membri delle due camere del Parlamento Bosniaco. È stato questo l’ultimo ostacolo che doveva essere superato. In precedenza era già stata deciso il rafforzamento del Consiglio dei Ministri e la creazione di alcuni nuovi ministeri a livello statale primo tra i quali quello dell’agricoltura. L’accordo è stato raggiunto dai 7 principali partiti bosniaci: SDA, HDZ, SDS, SDP, SNSD, PDP, HNZ.
Voci di dissenso
Si è tenuto fuori dai negoziati il SBIH [Partito per la Bosnia Erzegovina, ndr] di Haris Silajdzic che nel frattempo ha annunciato il suo ritorno all’arena politica, secondo il quale i cambiamenti costituzionali rafforzano la struttura creata a Dayton e i cittadini restano fuori. A Silajdzic aveva manifestato il proprio supporto la comunità islamica che aveva adottato il suo punto di vista. Altre voci di dissenso si sono levate da diversi partiti minori che hanno manifestato l’intenzione di votare in modo contrario quando la questione approderà in parlamento.
Un importante no è poi arrivato dalla trentaseiesima conferenza dei vescovi di Bosnia ed Erzegovina che in Mostar ha espresso il proprio dissenso sui cambiamenti costituzionali e ha detto che possono danneggiare gli interessi dei croati in Bosnia ed Erzegovina.
Ma la macchina parlamentare sembra essersi messa in moto: la presidenza ha adottato i cambiamenti e il dibattito in parlamento inizierà a giorni. Tihic, che nel frattempo deve aver ricevuto qualche strigliata diplomatica, in una dichiarazione ha ribadito che in effetti i cambiamenti costituzionali sono un passo verso il rafforzamento dello stato a scapito delle entità. Allo stesso modo anche Lagumdzja vede nei cambiamenti costituzionali la possibilità dell’inizio di un processo verso la modernizzazione dello stato della Bosnia ed Erzegovina.
É solo la prima fase
In realtà quella attuale sembra essere solamente la fase iniziale di un processo di riforma costituzionale che sembra essere già predesignato. Lo stesso ambasciatore americano ha annunciato che una nuova fase di negoziati per le riforme costituzionali avverrà dopo le elezioni politiche previste per l’ottobre del 2006 in Bosnia ed Erzegovina. Lo ha spiegato al pubblico anche il professor Bruce Hitchner presidente dell’organizzazione Dayton Project che sembra essere il motore dietro l’intera iniziativa e che in passato ha fatto lobby presso le diverse ambasciate in favore dei cambiamenti istituzionali. Dopo le elezioni di ottobre, vi sarà un nuovo round di riforme degli organi della Bosnia ed Erzegovina che permetterà di snellire l’apparato statale e burocratico. La trama sembra esser dunque già disegnata in anticipo.
La pronuncia della Corte Costituzionale
Il processo di riforma costituzionale potrebbe essere aiutato anche da una serie di decisioni della Corte Costituzionale della Bosnia ed Erzegovina che vanno a toccare alcuni degli aspetti chiave dell’architettura costituzionale di Dayton. Dopo la storica sentenza del 2000, che sanciva l’uguaglianza dei tre popoli costituenti, lo scorso fine settimana la Corte Costituzionale ha deliberato che lo stemma e la bandiera della Federazione della Bosnia ed Erzegovina e della Republika Srpska e l’inno della Republika Srpska non sono in accordo con la Costituzione della Bosnia ed Erzegovina e con la Convenzione sull’eliminazione delle discriminazioni razziali, in quanto, se da un lato rappresentano le tradizioni e la cultura dei Serbi in Republika Srpska e dei Bosgnacchi e Croati nella Federazione, dall’altro lato, tali simboli rappresentano una discriminazione, in quanto tale diritto non viene garantito ai Croati e Bosgnacchi nella Republika Srpska e per i Serbi nella Federazione. La Federazione e la Republika Srpska saranno quindi obbligate a cambiare i loro simboli distintivi entro 60 giorni dalla pubblicazione della decisione sulla Gazzetta Ufficiale della Bosnia ed Erzegovina. Secondo questa logica, appare ipotizzabile che in un futuro non troppo lontano la Corte Costituzionale possa pronunciarsi in modo simile in merito al nome stesso della Republika Srpska,
La convergenza dei due processi, quello politico promosso e facilitato dall’esterno, e quello costituzionale spinto dalle decisioni della Corte volte ad eliminare le discriminazioni e le contraddizioni della struttura costituzionale creata a Dayton, sembrano porre le basi per una nuova fase di cambiamenti in Bosnia ed Erzegovina, mirante a rafforzare le strutture centrali e normalizzare i rapporti tra le entità e le componenti amministrative del paese.