La lotta di un gruppo di contadini turchi contro la miniera d’oro della multinazionale “Eurogold”. Il governo di Ankara rinnova al gruppo australiano la concessione ad operare nella regione egea. La lotta popolare però si estende e trova sostegno nella Corte europea per i diritti dell’uomo. Dal nostro corrispondente
La Corte Europea per i Diritti Umani ha stabilito nei giorni scorsi che la stato turco dovrà pagare un indennizzo di 3.000 euro a ciascuno dei 315 abitanti della provincia di Bergama che avevano presentato ricorso per la mancata chiusura, nonostante una decisione in questo senso del Consiglio di Stato, della miniera d’oro di Ovacik. Torna così, dopo una precedente sentenza europea di condanna che risale al 2004, a far parlare di sé quello che nella seconda metà degli anni ’90 era conosciuto come “il caso del cianuro di Bergama”. La tenace, ed inusuale per le modalità con cui si è manifestata, mobilitazione dei contadini del villaggio di Ovacik che chiedevano la chiusura della miniera d’oro gestita dalla società Eurogold, accusata di provocare gravi danni ambientali a causa del massiccio uso di cianuro impiegato nell’estrazione del prezioso metallo, si era guadagnata la palma di prima mobilitazione a carattere ambientalista nella Turchia moderna. Al di là della complessità di elementi che si possono ritrovare in un movimento come quello dei contadini di Bergama, non trascurabile ad esempio il ruolo della reazione verso quella che veniva percepita come intrusione da parte di società straniere, resta un dato inconfutabile: l’estrema originalità di un movimento di partecipazione democratica dal basso sviluppatosi in una realtà rurale, etichettabile come tradizionale, collocata lontana dai grandi centri urbani e in una regione priva di tensioni a carattere etnico che in altre parti del paese rappresentano la principale risorsa mobilitante, e capace di durare tanto a lungo.
La provincia di Bergama appartiene alla florida regione dell’Egeo, la cui economia è fondata prevalentemente sull’agricoltura, in particolare la coltivazione di uva, fichi e olive. Alla fine degli anni ’80, in seguito all’apertura dell’economia turca ai capitali stranieri, una società australiana, la Eurogold, si era presentata nella regione dicendosi interessata alla ricerca ed all’ estrazione dell’oro.
Una doppia novità se si tiene conto che fino agli anni ‘80 il settore minerario in Turchia era stato rigorosamente nelle mani delle imprese pubbliche e che fino a quel momento nessuna miniera d’oro era attiva nel paese. L’arrivo della Eurogold in Turchia rappresenta un caso paradigmatico dei controversi effetti prodotti dalla liberalizzazione economica intrapresa dalla Turchia nell’era post-colpo di stato.
Dopo un’iniziale accoglienza favorevole da parte della popolazione, attratta dalle possibilità di sviluppo economico promesse dalla Eurogold, e la concessione, nel 1992, dei necessari permessi statali per l’inizio delle attività di sondaggio ed estrazione, i problemi non hanno tardato a manifestarsi.
In particolare a partire dal 1994 la constatazione che l’acqua delle case ed i terreni agricoli della regione erano contaminati dal cianuro, tanto da portare all’abbattimento di 2.500 alberi di olivo, hanno trasformato l’atteggiamento dei contadini nei confronti della miniera in aperta ostilità.
La mobilitazione degli abitanti di Ovacik e di altri villaggi del circondario si è andata progressivamente consolidando, pur mantenendo un carattere locale e spontaneo, arrivando nel 1997 a dare vita ad una serie di iniziative clamorose. Le immagini di uomini e donne in costume tradizionale, con l’accompagnamento di striscioni e ritratti di Ataturk, che il 27 agosto di quell’anno hanno occupato, seppur per pochi minuti, il ponte sul Bosforo ad Istanbul, le migliaia di uomini del villaggio a torso nudo, niente di più lontano dal pudore verso l’esibizione del corpo che caratterizza la cultura dei villaggi turchi, che marciano verso il capoluogo provinciale oppure occupano pacificamente l’autostrada dell’Egeo e la miniera stessa, monopolizzano per lungo tempo gli spazi di giornali e televisioni del paese e sono destinate a rimanere tra le fotografie più rappresentative di quel periodo della storia recente turca.
La protesta però non è rimasta confinata alle strade della regione ma è sbarcata anche nelle aule dei tribunali. Nello stesso anno un collegio di avvocati presenta al Tribunale Amministrativo di Izmir la richiesta di revocare la concessione alla Eurogold. L’iniziativa legale produrrà una serie di effetti che metteranno in luce contrasti e contraddizioni tra diversi organi dello stato e tra questi ed il potere politico.
Mentre il tribunale di Izmir respinge la richiesta degli ambientalisti, nel 1998 il Consiglio di Stato (Danistay) la giudica legittima, facendo riferimento alla costituzione, e chiede la revoca della concessione e la chiusura della miniera.
Di fronte ai nuovi sviluppi, la Eurogold non rimane a guardare ma presenta una richiesta per avere un nuovo permesso rivolgendosi direttamente all’ufficio dell’allora Primo ministro Ecevit. Dal canto suo Ecevit chiede alla TUBITAK (Istituto Turco per la Ricerca, la Tecnologia e la Scienza), un parere scientifico. Il rapporto della TUBITAK smentisce le conclusioni del Consiglio di Stato e giudica infondata la revoca della concessione.
A questo punto entra in scena anche il primo ministro australiano dell’epoca, Howard, il quale nel corso di una visita ufficiale in Turchia perora la causa della Eurogold presso Ecevit, ottenendo assicurazioni che il governo riprenderà in esame la questione tenendo conto del parere della TUBITAK.
Il risultato è che prima il ministero della sanità concede un permesso di un anno alla Eurogold e successivamente il consiglio dei ministri invita i ministeri competenti a rilasciare alla società una concessione permanente.
Nel 2001 la miniera di Ovacik riprende la sua attività. Nel 2004 il Consiglio ha però rinnovato la richiesta di chiudere la miniera.
Di fronte all’impasse prodottasi in Turchia, i contadini di Bergama si rivolgono alla giustizia europea. Nel 2004 appunto la prima sentenza che, di fronte al ricorso di dieci abitanti di Ovacik, riconosce la violazione dell’articolo 8 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo.
Poi la sentenza nei giorni scorsi nella quale la Corte europea, nel condannare la Turchia al pagamento di indennizzi per un ammontare di 945.000 euro, ha riconosciuto la violazione di due articoli della Convenzione: il numero 8 “per non aver garantito il rispetto della vita privata e familiare” e il numero 6 “per non aver applicato a tempo debito la decisione di fermare i lavori della miniera presa dal consiglio di Stato il 1 aprile 1998”.
Sefa Taskin, ex sindaco di Bergama, è stata una delle figure chiave che hanno garantito successo e visibilità mediatica alla protesta di Ovacik, sfruttando la sua popolarità personale, guadagnata negli anni precedenti quando da sindaco aveva guidato una campagna, fallita, per la restituzione alla città dell’altare di Zeus, attualmente nel museo Pergamon di Berlino. Le sue dichiarazioni all’indomani della sentenza sono battagliere: “Tutta la popolazione della provincia, 120.000 persone, ha diritto all’indennizzo e tutti ne faranno richiesta alla Corte europea”.
Che la vicenda del “cianuro di Bergama” non sia ancora giunta al suo atto finale è confermato anche dalle parole del portavoce del Coordinamento Ambientalista dell’Egeo, Arif Ali Cangi: “Nonostante la precedente decisione della Corte nel novembre 2004, alla miniera di Bergama è stato concesso un nuovo permesso e consentito di riprendere l’attività. La miniera di Ovacik deve essere chiusa”.