I rappresentanti degli otto principali partiti politici bosniaci elaborano una nuova proposta di Commissione per la verità, diretta ad affrontare la questione dei crimini degli anni ’90. Le opinioni di esperti, rappresentanti delle vittime e della società civile nell’inchiesta di BIRN
Di Nerma Jelacic e Nidzara Ahmetasevic*, Balkan Insight Justice Report – Special Package, 31 marzo 2006, BIRN Media Training and Reporting Project (Titolo originale: “Truth Commission Divides Bosnia”)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta
L’iniziativa di creare una Commissione per la verità in Bosnia ed Erzegovina sta provocando un acceso dibattito nel Paese, dividendo la società civile, i partiti politici, la comunità internazionale e la gente comune.
Le diverse reazioni con cui è stata accolta l’idea hanno posto un punto di domanda sul suo destino. Dubbi sono stati avanzati anche in merito al lavoro già svolto sul campo in relazione alla Commissione.
Gli esperti contattati da Balkan Insight hanno sollevato una ridda di interrogativi e critiche riguardanti la bozza di legge sui mandati e sugli obiettivi della Commissione, bozza a cui Balkan Insight ha potuto accedere in via esclusiva.
Alcuni di loro hanno dichiarato che manca di precisione e affronta in modo sbagliato il compito di stabilire la verità sugli orribili eventi che ebbero luogo in Bosnia tra il 1992 ed il 1995.
La terza volta è quella fortunata
Questa è la terza volta che una Commissione per la verità è stata proposta come mezzo per risolvere la questione dei crimini commessi durante la guerra in Bosnia.
Nel 1997, l’istituto statunitense per la pace, USIP, tenne delle consultazioni con rappresentanti bosniaci su una bozza di statuto per una simile Commissione.
Il rapporto dell’USIP dice di aver consultato tra gli altri l’allora presidente bosniaco Alija Izetbegovic, Momcilo Krajisnik, Dragan Kalinic e Biljana Plavsic della Republika Srpska, ed il politico Ejup Ganic. A quanto sembra furono consultate anche rilevanti figure delle comunità religiose, inclusi il Patriarca serbo ortodosso Pavle, il Mufti di Mostar Seid Smajkic, il Cardinale Vinko Puljic e Jakob Finci, presidente della comunità ebraica di Sarajevo.
A quel tempo il Tribunale internazionale per l’ex Jugoslavia, ICTY, gestito all’Aja dalle Nazioni Unite, si oppose all’idea sulla base del fatto che già esso stesso stava stabilendo la verità storica sulla guerra.
Per di più, entro il 2001 due dei politici serbi consultati nel 1997, Plavsic e Krajisnik, venivano affidati alla custodia dell’ICTY, accusati essi stessi di crimini di guerra.
Nel maggio di quell’anno, comunque, una conferenza tenutasi a Sarajevo dichiarò nuovamente che era venuto il momento di formare una Commissione per la verità, e di promulgare una legge per la sua costituzione. Questa volta il governo bosniaco, la comunità internazionale e l’ICTY sostennero l’iniziativa. Non ne venne fuori, tuttavia, niente di concreto.
Infine, cinque anni più tardi, nel novembre 2005, fu formato un altro gruppo di lavoro su una Commissione per la verità.
Questa volta era composto da rappresentanti degli otto principali partiti politici.
Essi erano: Besima Boric del Partito socialdemocratico, SDP; Alma Colo, del Partito di azione democratica, SDA; Vinko Radovanovic del Partito per il progresso democratico, PDP; Momcilo Novakovic del Partito democratico serbo, SDS; Remzija Kadric del Partito per la Bosnia ed Erzegovina, SBiH; Nebojsa Radmanovic dell’Alleanza dei socialdemocratici indipendenti, SNSD; Lidija Bradara, dell’Unione democratica croata, HDZ; e Mile Mutic del Partito socialista della Republika Srpska, SPRS.
Presieduto da una locale organizzazione non governativa chiamata Dayton Project, il gruppo fu incaricato di scrivere una bozza di legge per la costituzione di una Commissione per la verità, che ne definisse il mandato e la composizione.
Due esperti internazionali parteciparono come consulenti: Neil Kritz, emerito studioso di diritto internazionale dell’USIP, e Gordon Bacon del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, UNDP, che fu coinvolto a titolo privato, anziché in qualità di rappresentante dell’Onu.
L’ottavo membro del gruppo, Mutic dell’SPRS, si ritirò dopo che alcune vittime della pulizia etnica a Prijedor protestarono contro il suo coinvolgimento, ricordando la sua attività durante la guerra come direttore del Kozarski Vijesnik, un giornale di Prijedor.
Il Tribunale dell’Aja sostenne che questo giornale serviva da piattaforma per la propaganda nazionalista serba, mentre resoconti dell’Osservatorio sui diritti umani (Human Rights Watch) e trascrizioni dei processi dell’ICTY riguardanti Prijedor dimostrarono che Mutic era anche stato membro del locale Comitato di crisi, che era in larga misura responsabile della pulizia etnica nell’area.
Dopo le dimissioni di Mutic dal gruppo di lavoro, la SPRS ha proposto un nuovo candidato il cui nome non è stato reso noto.
Domande sulla bozza di legge
La bozza di legge, di cui Balkan Insight ha ottenuto una copia, definisce il mandato della Commissione in termini molto ampi. Esso consiste nell’"esaminare con obiettività le ostilità in Bosnia ed Erzegovina ed in ex Jugoslavia, dal 1990 al 1996".
Vi si propone che la Commissione esamini le violazioni del diritto in tempo di guerra secondo cinque categorie.
La prima concerne lo stabilire il numero e l’identità delle vittime, incluse le persone scomparse, e coloro che furono torturati, stuprati e deportati. Ciò include il numero e l’identità del personale militare che morì, fu ferito o dato per disperso, le fosse comuni e la demolizione di monumenti religiosi e civili e di proprietà private.
Il secondo compito è quello di esaminare gli sviluppi che portarono alla "sfiducia ed incomprensione interetnica".
Il terzo è stabilire "il ruolo e la responsabilità morale di individui, organizzazioni, istituzioni che con le loro azioni, o con le loro omissioni, favorirono o impedirono la violazione dei diritti umani".
Il quarto compito è stabilire "il ruolo di attori rilevanti al di fuori della Bosnia ed Erzegovina che con le loro azioni od omissioni favorirono la violenza".
Il quinto segna un nuovo sviluppo in campo internazionale per le Commissioni per la verità. Questo compito consiste nello stabilire "l’esistenza e le azioni di individui che si rifiutarono di prendere parte alle persecuzioni e alle torture [e] che tentarono di proteggere i propri vicini".
Dopo aver esaminato queste violazioni, la Commissione "permetterà al pubblico di conoscere gli eventi e riconoscere le violenze commesse".
In seguito inoltre la Commissione "raccomanderà le misure necessarie a chiarire le violenze commesse e a prevenire una loro ripetizione in futuro".
Infine, la bozza dice che la Commissione completerà il suo lavoro consegnando entro due anni un rapporto finale al parlamento.
Riguardo alla questione della sua composizione, la bozza suggerisce che la Commissione dovrebbe comprendere sette cittadini della Bosnia ed Erzegovina che non siano stati militarmente o politicamente coinvolti nella guerra e che "riflettano la composizione nazionale, geografica e di genere del Paese".
La Commissione sarà coadiuvata da un Consiglio internazionale di consulenti. Chi nominerà i membri del Consiglio non è stato deciso, ma il Comitato per le nomine incaricato di questo, secondo la bozza, sarà composto di 15 membri: tre nominati dai presidenti della Casa dei Rappresentanti e della Casa dei Popoli di Bosnia ed Erzegovina e quattro nominati da "organizzazioni internazionali da definirsi". Gli altri otto saranno rappresentanti del pubblico e della società civile.
Il gruppo di lavoro deve ancora stabilire una procedura per la loro selezione. I membri della Commissione per la verità e il suo presidente dovranno essere nominati dal parlamento su indicazione del Comitato per le nomine.
Numerosi esperti contattati da Balkan Insight hanno espresso il timore che l’ampio e generico mandato della Commissione possa causare gravi problemi, obbligando l’organismo a dedicare troppo tempo a chiarificazioni interne o a scontri politici. Mithat Izmirlija, magistrato bosniaco e esperto in Commissioni per la pace, sostiene che la questione di come esso funzionerà e di quali siano i risultati che esso deve ottenere devono essere concordate in anticipo.
"Prima della sua costituzione, i principi, i fini e i valori che la Commissione vuole raggiungere in Bosnia devono essere definiti con precisione", ha detto.
Un altro problema sollevato dagli esperti consultati da Balkan Insight è che il mandato della Commissione spesso sembra sovrapporsi al lavoro di altre organizzazioni o replicarlo.
Doune Porter, della Commissione internazionale sulle persone scomparse, ICMP, ha detto: "Ci sono già diversi meccanismi predisposti, che aiuteranno a stabilire la verità".
Il primo compito della Commissione per esempio si va a sovrapporre al mandato e al lavoro del preesistente Centro di ricerca e documentazione, RDC. Questa organizzazione mira anche a stabilire un resoconto completo del numero di persone che furono uccise e andarono disperse durante la guerra, e altri fatti relativi alle loro sofferenze e a chi perpetrò crimini ai loro danni.
L’RDC sostiene che i suoi dati saranno resi disponibili al pubblico così come ai magistrati inquirenti. L’obiettivo finale è avere tutti i nomi delle vittime in un database, con date e luoghi di nascita, professione, appartenenza etnica, data della morte e modalità dell’uccisione.
L’RDC non ha ancora concluso il suo lavoro, ma il suo database conta già più di 97.000 nomi, con un numero finale previsto intorno ai 110.000.
Porter, dell’ICMP, ha notato che anche l’Istituto bosniaco per le persone scomparse sta già stabilendo la verità sul numero e l’identità dei dispersi.
Anche le precedenti Commissioni per le persone scomparse, costituite a livello di entità, erano incaricate di localizzare le fosse comuni e, con l’aiuto dell’ICMP, di identificare le vittime.
Alcuni esperti hanno anche messo in discussione il sistema proposto per la nomina dei membri della Commissione.
"Si lascia [ancora] aperta la possibilità che la Commissione risulti formata da parlamentari o altri funzionari che hanno avuto un ruolo attivo nella guerra o che ricoprivano incarichi nelle città in cui furono commessi dei crimini", ha detto Izmirlija.
"L’intero progetto potrebbe naufragare se ci fosse anche solo la possibilità di mettere in discussione la credibilità morale delle persone coinvolte", ha aggiunto.
In terzo luogo, i gruppi delle vittime hanno espresso seri dubbi riguardo alla sostenibilità di una scadenza a due anni, temendo che non sarà possibile stabilire la verità in un periodo così breve. Alcune fonti vicine al gruppo di lavoro hanno detto che la Commissione prevede di sentire un numero di testimonianze individuali compreso solo tra 5 e 7 mila, per riuscire a rispettare la scadenza.
Ci sono anche state controversie sul suggerimento che la Commissione possa "ispezionare senza darne preventivamente avviso qualsiasi istituzione o luogo". Gli esperti dicono che ciò violerebbe la Convenzione europea sui diritti umani, che stabilisce il diritto alla privacy di ogni individuo.
L’aspetto forse più controverso della proposta di legge è comunque l’articolo 5, che regola le modalità di “cooperazione con le istituzioni giudiziarie" da parte della Commissione. Questo articolo suggerisce che "il rapporto finale non fornirà l’identità degli individui che commisero i crimini".
Dare un nome ai colpevoli è spesso considerato uno degli strumenti più potenti nelle mani di una Commissione per la verità. Esso permette di fare completa chiarezza e fissa le responsabilità individuali su coloro che commisero i crimini, diminuendo la possibilità che ad essere incolpati siano una nazione o un gruppo intero.
A tutte le Commissioni sulla verità in Argentina, El Salvador e in Sud Africa fu dato il potere di identificare i singoli colpevoli. Nel suo rapporto finale, la Commissione di El Salvador disse esplicitamente di aver dovuto resistere a pressioni affinché i nomi non fossero rivelati. "Non si può dire l’intera verità senza fare i nomi", vi si legge, e il rapporto passa a concludere che: “Non menzionare i nomi servirebbe a rafforzare proprio quell’impunità per porre fine alla quale i partiti hanno istituito la Commissione".
Comunque, la proposta di legge bosniaca in questa sezione suggerisce che "le dichiarazioni rese alla Commissione da singoli individui non saranno rese disponibili all’ICTY né a Corti di stato, di entità, di cantone o di distretto nel territorio della Bosnia ed Erzegovina senza un preventivo consenso da parte dei suddetti individui".
Gli esperti in diritto penale internazionale e in scenari postbellici hanno dichiarato a Balkan Insight che ciò sminuisce l’intero senso della Commissione per la verità.
Come aggiunta a questa parte della bozza di legge il gruppo di lavoro ha avanzato la possibilità che la Commissione inoltri ai tribunali solo “quelle informazioni che forniscono prove a discolpa per persone sotto processo".
Un membro della comunità internazionale in Bosnia ha commentato che ciò potrebbe significare che "la Commissione fornirà le prove ai team di difesa e non ai procuratori.” “Ciò", ha aggiunto, "è ridicolo".
1 – continua
Vai alla seconda parte dell'inchiesta:
La Commissione per la verità divide la Bosnia (II)
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Nerma Jelacic è direttrice di BIRN Bosnia ed Erzegovina. Nidzara Ahmetasevic è redattrice della pubblicazione internet di BIRN Bosnia Erzegovina Justice Report. Balkan Insight è la testata online di BIRN