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Romania: soli da emigrazione

18.04.2006    scrive Mihaela Iordache

I genitori partono per lavorare all'estero e loro, i bambini, rimangono con i nonni, gli zii od altri parenti. In Romania, dopo alcuni drammatici casi di cronaca, si è iniziato a discutere di questo nuovo fenomeno sociale
Un bambino in un orfanotrofio - Giuliano Matteucci
Milioni di romeni lavorano all’estero nel tentativo di assicurare una vita migliore alle loro famiglie. Molti di loro però si lasciano dietro, a casa, i bambini, spesso affidati ai nonni, ai parenti o addirittura ai vicini. Si tratta ormai di un fenomeno sociale, con implicazioni psicologiche profonde.

Due tragici eventi avvenuti di recente in Romania non solo hanno sconvolto l’opinione pubblica ma hanno aperto un dibattito che coinvolge varie istituzioni, dalla scuola ai centri per la protezione dei minori.

Il più recente è quello avvenuto nel villaggio di Ciortesti vicino alla città di Iasi, nell’est della Romania. Un bambino di dieci anni, R. S. si è impiccato. Tutti lo ricordano come un alunno modello, molto sensibile e appassionato di computer. Proprio per comprargli un computer la madre era partita a febbraio, promettendo di ritornare dopo tre mesi con i soldi necessari. Nè la promessa del computer, nè le telefonate che si faceva fare dal padre hanno potuto sostituire la presenza materna. Il giorno precedente la tragedia, nell’ora di geografia, il bambino ha fissato a lungo l’atlante: guardava l’Italia e misurava le distanze. In effetti, non sembra così lontana dalla Romania. Avrebbe dovuto aspettare il ritorno della madre per ancora qualche mese. Invece ha detto a tutti di aver trovato la soluzione per riportare presto la mamma a casa. Nessuno gli ha chiesto quale fosse la soluzione. L’intero villaggio ha saputo e vissuto la tragedia solo quando ha sentito le urla urli del padre che ha trovato il figlio impiccato in cucina. Spesso le telefonate, i pacchi, i soldi guadagnati con i sacrifici all’estero non riescono, in patria, a riempire il vuoto affettivo.

Appena due settimane prima della tragedia di Razvan, nel sud della Romania, nel villaggio Dobroienii di Giurgiu sei bambini rom, di età compresa tra uno e dodici anni, erano morti asfissiati nel sonno nell’incendio provocato da una candela nella loro casa di cartone. Erano rimasti con lo zio che, al momento della tragedia, si trovava nel negozio mentre i loro genitori erano andati a mendicare in Italia. Vivevano in miseria assoluta, assieme agli animali senza acqua, luce e quasi sempre senza cibo.

La Romania sta per entrare nell’Unione Europea. Se tutto va bene a partire dal 1 gennaio 2007 ne diventerà membro. C’è una crescita economica sostenuta nel paese, c’è sempre più gente che vive meglio. Ma esistono tuttora profonde discrepanze sociali. Stando ai dati indicati dai sindacati i poveri sono nove milioni (quasi il 50% della popolazione) e un milione e mezzo vive in estrema povertà. “Un salariato con 3-4 milioni di lei al mese (circa 100 euro) è un padre povero, un marito povero e ha dei bambini poveri” spiega Bogdan Hossu, leader del sindacato Cartel Alfa. Per le autorità i poveri sono di meno, circa il 25% dei 22 milioni di abitanti.

Dati questi che possono far comprendere i motivi alla base della forte emigrazione romena. Si stima infatti che due milioni di romeni lavorerebbero all’estero, in particolare in Spagna, Italia, Irlanda e Germania. Molti hanno bambini che li aspettano e quando hanno i documenti, un reddito sufficiente ed un alloggio chiedono il ricongiungimento familiare. Altri lavorano in nero ma mandano comunque a casa soldi e pacchi sperando così di fare felici i figli. La realtà è invece molto più complessa..

L’ispettorato scolastico di Iasi – la contea di Razvan - segnala che 10.000 alunni hanno un genitore che lavora all’estero ed avverte gli insegnanti di prestare attenzione al loro comportamento, per poter prevenire altre tragedie. “Gli insegnanti non devono limitarsi solo ad insegnare. Conoscendo la situazione familiare di un bambino devono essere più attenti al loro comportamento durante le lezioni”, avverte Camelia Gavrila, la rappresentante dell’Ispettorato scolastico di Iasi. Dall’altra parte gli psicologi indicano i disturbi comportamentali di questi bambini. Nel loro caso si avverte spesso un’aggressività nel linguaggio, un disinteresse per lo studio oppure stati di ansietà ed apatia.
Secondo uno studio elaborato dall’Organizzazione alternative sociali nell’ambito del Programma “Solo a casa” a Iasi l’11% dei giovani intervistati hanno riconosciuto di aver litigato o picchiato di più amici o compagni si scuola. Il 65% ammette invece di sentire la mancanza dell’affetto dei genitori.

Nella maggior parte dei casi i bambini vengono affidati alle cure dei nonni, dei parenti, dei vicini o addirittura restano con i fratelli, spesso a loro volta minorenni. Quasi il 10% dei minori che hanno un genitore all’estero è invece affidato allo stato. Manca però una stima chiara in questo campo, dal momento che molti romeni non hanno un contratto regolare, lavorando in nero. Secondo le ultime regole in materia le persone che vanno a lavorare all’estero sono obbligate ad indicare, con una dichiarazione all’Ufficio nazionale per la migrazione della manodopera, con chi lasciano i loro bambini in patria. Fino a 18 anni i minorenni sono rappresentati dai genitori, da un curatore oppure da un tutore nei rapporti con la scuola e le istituzioni dello stato. Nella città di Cluj (in Transilvania) sedici bambini i cui genitori sono andati all’estero sono stati collocati in centri per la protezione dei bambini. Monica Filip, rappresentante della Direzione per la protezione dei bambini di Cluj spiega che il vero motivo per il quale i bambini sono ospitati in questi centri è perché sono stati abbandonati: ”Ci sono casi in cui i genitori non danno alcun segno per mesi interi”, spiega la Filip. Sta emergendo un fenomeno nuovo e un quadro sociale preoccupante.
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