Canzoni, tradizioni, rituali comuni e matrimoni misti tra albanesi e greci che vivono in Albania. E' questo il tema de "I vicini", recente documentario del regista Pluton Vasi e del giornalista Arjan Dodbida
Di Elsa Demo, Shekulli, 13 giugno 2006 (tit. orig. Gjitonët në kufi dhe doktrina)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Marjola Rukaj
Una scena del film "Barba bianca" di Pluton Vasi
Le canzoni polifoniche celebri in tutta l’Albania “Verë, xhaxho, verë, që të pimë të tërë” (Vino da bere per tutti quanti) e “Vajza e valave” (La fanciulla delle onde) sono versi cantati sia dagli albanesi sia dai greci nelle valli dei fiumi Drinos, Zagorija e Pogon. Le canzoni e il rituale dei matrimoni, decine e decine di documenti ritrovati all’anagrafe e negli archivi della città di Gjirocastra, sono la storia da cui incomincerà la documentazione dei rapporti tra “noi” e “loro”. Su questi dati il regista Pluton Vasi con la sceneggiatura del giornalista Arjan Dodbiba produrranno il documentario “Gjitonët” (I vicini) per vedere fino a che punto è stato eretto il muro dogmatico che ci distingue nelle categorie del “noi, albanesi” e del “loro, greci”. Tale progetto è uno dei tre vincitori del Centro Nazionale Cinematografico. Il film sarà una coproduzione delle case di produzione “Art Studio Pegaso” e l’onlus Albania Progress. La televisione greca ERT ha curato la distribuzione del film. Il regista Pluton Vasi racconta. La sua è un’esperienza lunga 13 anni come documentarista presso la televisione statale TVSH e ricca anche di produzioni cinematografiche tra cui i film “Gioco di mondi”, “Barba bianca”, “Valanga a tre tempi”, “La canzone”, “Cosa significa” che hanno riscosso successo in vari festival internazionali.
Cosa vuole mostrare “I vicini” di Vasi-Dodbiba?
Vuole raccontare la convivenza dopo anni e anni, in modo umano, semplice, provocatore, tra la minoranza greca e gli albanesi nelle valli del Drino, Zagorija e Pogon. Ma detto così suona un po’ troppo generalista. Vogliamo documentare i matrimoni tra loro, il matrimonio come rituale celebrativo che raffigura ottimamente in modo particolareggiato la sintesi dei rapporti, la sintesi della convivenza.
Perché provocatore, e perché proprio nelle valli che ha menzionato?
Perché basta porre poca attenzione e sfogliare solo un po’ di storia per rendersi conto che la politica ha sempre colpito questa convivenza. La dottrina ha sempre enfatizzato la problematicità, ma la pratica laggiù, dimostra che la gente ha saputo convivere perfettamente. E ovviamente un matrimonio tra due persone sfida di gran lunga la dottrina, la politica. I rapporti tra due stati sono sempre passeggeri ed effimeri rispetto al vissuto che uno può avere con una donna greca della minoranza e viceversa.
Come vive questa minoranza all’interno di una nazione?
Non abbiamo avuto bisogno di sondaggi, quelli c’erano già, tracciati dalla storia, dal tempo, ma noi e questo tipo di civiltà non siamo stati in grado di coglierne il senso. Una parte del documentario riguarda la polifonia, il rituale dei matrimoni dove vi sono più di 10 canzoni cantate in entrambe le lingue, sono le stesse canzoni che cantiamo sia noi che la minoranza greca, loro in greco e noi in albanese. Questa isopolifonia rispecchia i rituali, i rapporti, le tradizioni che sono quasi identiche, la tolleranza reciproca. Ecco, detto sinteticamente perché ad approfondirlo ci vorrebbero intere pagine di giornale. Per questo motivo abbiamo pensato al documentario, per dare prova di tutto ciò per mezzo della vita filmata. Su questo avremo la consulenza benevola e penetrante di Sokol Shupo.
Ma i rituali, com’è noto, si affievoliscono con lo sviluppo della zona, con lo sviluppo economico dei tempi moderni, influenzerà anche nell’affievolimento di questi rapporti?
I matrimoni misti greco-albanesi continuano tuttora. Questo è uno degli indicatori che non può affievolirsi. Però c’è la migrazione. Ad ogni modo è la dottrina che tende ad assimilare ed annientare la realtà, la vita di laggiù. Anche questo fa parte del documentario.
Anche nel senso della discriminazione e della violazione dei diritti delle minoranze?
Questa mi sembra sia una tesi stilata dalla dottrina. Il documentario non tratterà la dottrina ma quello che ha luogo laggiù. La risposta all’esistenza o meno della discriminazione, del riconoscimento dei diritti la darà il documentario stesso. Non si tratta di un pamphlet politico, rispecchia solo i rapporti tra le due comunità, la minoranza greca in suolo albanese, e la comunità albanese con cui convive da tempi immemorabili.
Esclude la fiction su questo tema?
Il film artistico vive dentro di me. Però a pensarci bene quello che prevale in me è l’animo documentaristico, e anche se dovessi farne un film, che è un mio progetto, si tratterà comunque di fatti e luoghi concreti, sulla documentazione psicologica. Questo però è il momento del documentario, dovendo collaborare con un noto giornalista come Arjan Dodbiba e un professionista come Sokol Shupo. Anche se in Albania questo genere continua ad essere piuttosto male interpretato, è evidente che si ha bisogno di tempo, di più produzione in quest’ambito che direi elitario. Ci piace vedere nei filmati di 20-30 anni fa, il modo di vivere, i rapporti. In molti casi quando non si era girato niente, altri documentari hanno dovuto ricostruire scene all’interno di essi per offrire l’autenticità del passato.
In un resoconto di tutti i suoi documentari dal primissimo ai “Vicini” quali sono gli elementi immutabili e quali quelli che sono cambiati?
In me ci sono due tipi di documentari, di elementi tradizionali ed emozionali, in alcuni documentari voglio trasmettere tramite l’elemento emotivo, mentre in altri punto sull’elemento razionale. Ma penso che ora ci servano documentari di tipo razionalistico. Si dovrebbe immagazzinare il presente per vederlo tra 40 anni. Questa è una mentalità poco applicata. A mio avviso, il documentario non ha niente di relativo, è un documento cui riferirsi anche anni dopo, un film artistico di creazione resta comunque relativo, un po’ come quel detto: l’arte sopravvive alla vita, mentre la vita muore. In tutto questo il documentario può e deve essere il più incontestabile possibile.
Le nostre numerose TV private sono in grado di produrre documentari?
Ci sono delle televisioni che fanno cose molto positive. Voglio dire, vedo qualche barlume di speranza, benché le nostre TV siano molto giovani. Penso che tra breve il documentario non avrà difficoltà a svilupparsi ampiamente. Ma il luogo più adatto a tale produzione, la TVSH, è stato invece bersagliato e denigrato come genere a causa di complesse congiunture politiche.
C’è una storia che ha ispirato il documentario sui “Vicini”?
Negli uffici dello stato civile di Gjirokastra abbiamo visto un’infinità di matrimoni misti, ma ciò che mi ha ispirato di più è stato il patrimonio musicale che si ha in comune. Questo documentario oltre il messaggio da trasmettere, offre molto anche dal punto di vista estetico.
Ci può menzionare qualche verso che cantano entrambe le comunità?
Le dico in albanese perché il greco non lo parlo: “Verë xhaxho, verë që të pimë të tërë”. Ma anche la celeberrima in tutta l’Albania “Vajza e valave” viene cantata sia in greco sia in albanese. Trasmetteremo ben 11 canzoni bilingui in questo documentario.