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Autogol di Strasburgo sulla Bosnia Erzegovina

11.07.2006    Da Sarajevo, scrive Massimo Moratti

Il Consiglio d'Europa sostiene la riforma della Bosnia di Dayton, esortando i politici bosniaci ad abbandonare i meccanismi di rappresentanza etnica e a rivedere la divisione territoriale del paese. La risoluzione di Strasburgo arriva però nel mezzo di una campagna elettorale infuocata
Ha gettato benzina sul fuoco l’adozione da parte dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, il 29 giugno scorso, della risoluzione sui cambiamenti necessari per la riforma costituzionale della Bosnia ed Erzegovina.

La risoluzione, che esorta i politici bosniaci a mettersi d’accordo su un piano di riforme da attuarsi dopo le elezioni, enunciando alcuni principi di tali riforme, è riuscita a provocare l’effetto contrario. La sua adozione, anziché fornire lo spunto per il necessario dialogo sulle riforme, ha polarizzato l’opinione pubblica e spaccato il paese in due.

Sono queste le prime reazioni in Bosnia ed Erzegovina, con i politici serbi che respingono in blocco e ripropongono il leit motiv di miloseviciana memoria “Srpska contro il resto del mondo”. Dall’altra parte i politici bosgnacchi, soprattutto all’interno del partito di Azione Democratica (SDA) e del partito per la Bosnia Erzegovina (SBIH), utilizzeranno la risoluzione durante la campagna elettorale, chiedendo l’eliminazione della creatura frutto del “genocidio e del crimine” qual viene ritenuta la Republika Srpska.

La tempistica dell’adozione del documento appare quanto mai inopportuna: la sua adozione durante la campagna elettorale sembra solamente servire lo scopo di fornire argomenti di divisione ai vari partiti politici: Dodik, a Banja Luka, durante la convention del partito Socialdemocratico Indipendente (SNSD) dice di non aver bisogno “della democrazia che ci viene offerta da Strasburgo, che se la tengano per sé”, mentre dall’altro lato Haris Silajdzic, uno dei principali responsabili per la fallita riforma costituzionale dello scorso aprile (per Silajdzic i cambiamenti allora proposti non erano sufficienti), ammette di aver fatto lobby per l’adozione di una simile risoluzione sia a Bruxelles che negli Stati Uniti. La campagna elettorale in corso in Bosnia ed Erzegovina si sta svolgendo in un ambiente dove riecheggiano echi e toni legati al conflitto e che, come ha notato Srdjan Dizdarevic, presidente del Comitato di Helsinki per i Diritti Umani, ricorda le campagne elettorali prima della guerra, piene di intolleranza e miranti solamente ad ottenere il consolidamento etnico e la paura dell’altro.

Ma quali sono i contenuti di questa risoluzione? La risoluzione invita i politici bosniaci a riprendere subito dopo le elezioni il discorso sulla riforma costituzionale abbandonando il voto per entità (che esiste nella camera dei rappresentanti a livello nazionale), a ridefinire il principio dell’interesse vitale di un popolo. In vista del 2010, la risoluzione invita i partiti bosniaci ad abbandonare i principi di rappresentanza etnica e a seguire i principi di rappresentanza civica, ad eliminare le discriminazioni costituzionali nei confronti degli “altri” (cioè coloro che non si dichiarano né serbi, né croati, né bosgnacchi), a rivedere la divisione territoriale del paese e a prendere decisioni senza il necessario coinvolgimento di tutti e tre i popoli costituenti. Lo strumento migliore per fare questo sarebbe l’adozione di una nuova costituzione perché sarebbe semplicemente troppo complicato rivedere la Costituzione di Dayton.

I toni enunciati nella risoluzione ricordano molto da vicino il linguaggio utilizzato da Haris Silajdzic e alcune delle richieste che Silajdzic stesso ha avanzato, come appunto l’abolizione del voto delle entità. Da parte serba si sono rivolte accuse ben precise alla parte bosgnacca di aver fatto lobby presso il Consiglio d’Europa per l’adozione della risoluzione. Silajdzic stesso ha smentito per ben due volte alla stampa di aver fatto lobby per l’adozione della risoluzione.

I principi enunciati sembrano ampiamente condivisibili e dettati dal buon senso, ma sono principi condivisibili “in laboratorio”, non nella realtà bosniaca dove l’unico modo di vincer voti per i partiti politici sembra essere quello di ottenere in pace quello che non si è riusciti ad ottenere in guerra. Le posizioni dei partiti in Bosnia ed Erzegovina sono estremamente chiare e le loro reazioni sono prevedibilissime: ad ogni tentativo di centralizzazione da parte dei partiti della Federazione, nella Republika Srpska si risponde con la richiesta di referendum. Questa dinamica dovrebbe esser ben chiara all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, che sembra non aver tenuto conto dell’impatto di questa risoluzione e delle possibili manipolazioni durante la campagna elettorale.

Non si capisce perché questa risoluzione sia stata passata in questo momento per esempio e non dopo le elezioni: il discorso sulla riforma costituzionale è infatti completamente bloccato a livello parlamentare e c’è una sorta di tacito accordo sulla sua ripresa dopo le elezioni. Adottare una risoluzione simile dopo le elezioni avrebbe più senso e sarebbe stato un messaggio chiaro ai nuovi rappresentati del popolo appena eletti, anziché indirizzare il messaggio alle camere uscenti, che al momento si preoccupano solo della loro rielezione.

La risoluzione sembra al momento aver ottenuto lo scopo opposto di quello auspicato: nel preambolo, l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa invita i partiti politici bosniaci a metter da parte il “war time thinking” [mentalità di guerra, ndc], superare le divisioni settarie e mostrare la disponibilità per un dialogo sulle questioni ancora aperte. Il risultato immediato e’ che la polarizzazione all’interno del paese e’ aumentata e che la stessa risoluzione incoraggia proprio quei politici forgiatisi durante la guerra, come Silajdzic, che spingono per una centralizzazione del paese e per l’abolizione della Republika Srpska. Le posizioni di Silajdzic, come reazione, ridanno vita alle idee di Karadzic e Milosevic.

La classe politica bosniaca al momento non riesce a proporre programmi politici concreti, ma fa riferimento quasi esclusivamente al conflitto per ottenere voti e la rielezione. E’ una competizione centrifuga, dove ogni estremismo paga. Dove il membro bosgnacco della presidenza Tihic può’ ricevere ufficialmente Naser Oric, condannato dal tribunale dell’Aja per crimini di guerra, e congratularsi con lui sulle pagine dei giornali per la persistenza e il coraggio dimostrati.

E’ questa la realtà della classe politica bosniaca, una realtà che non sembra sia stata presa in doverosa considerazione dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa.


Vai alla risoluzione del Consiglio d'Europa sulla riforma costituzionale in Bosnia Erzegovina

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