La Turchia si è sempre percepita come un Paese di transito e non di destinazione dei migranti. Ora la situazione è diversa e si stanno approvando leggi specifiche in materia. Spesso poco efficaci. Un'intervista a Ahmet Icduygu
Il mese scorso in un incidente stradale presso la città sud-orientale di Gaziantep più di 40 immigrati clandestini provenienti da paesi asiatici sono morti asfissiati nel camion che li trasportava. Un episodio drammatico finito nelle pagine interne dei giornali ma che per un attimo ha portato l’attenzione su di un fenomeno relativamente recente per la Turchia, quello dell’immigrazione straniera. Osservatorio sui Balcani ne ha discusso assieme al professore universitario Ahmet Icduygu, direttore del centro ricerce sulle migrazioni (MiReKoc) dell’Università Koc di Istanbul.
Professor Icduygu, possiamo tentare di delineare un quadro generale dei fenomeni migratori che interessano la Turchia. Si tratta di un fenomeno dal carattere multidimensionale, mi sembra....
Sì certo. Per cominciare, alla fine degli anni ’70 dopo la rivoluzione iraniana sono arrivati molti iraniani che hanno usato la Turchia come ponte, transito, verso altre destinazioni, Europa, Australia, Stati Uniti. A loro è stato riconosciuto una sorta di condizione privilegiata. Niente obbligo di visto per entrare in Turchia e una sorta di diritto di asilo temporaneo.
Per quanto riguarda il loro numero si fanno spesso cifre piuttosto discordanti....
Non abbiamo dei dati affidabili ma credo che da allora nel nostro Paese siano transitati circa 500.000 iraniani, in particolare negli anni ’80. Negli ultimi anni invece sono circa 3.000/4.000 iraniani che chiedono asilo politico. Essi sono ospitati in quattordici centri sparsi in tutto il Paese.
In quegli stessi anni la Turchia è stata la meta di un altro tipo di emigrazione, quella legata al bavul ticareti, (suitcase trade, il commercio con la valigia. NdA) inzialmente da parte soprattutto di polacchi. Arrivavano ad Istanbul per comprare beni di consumo introvabili in patria per poi rivenderli. Il fenomeno ha preso una dimesione molto più consistente dopo il crollo dei regimi socialisti.
Un altro aspetto è rappresentato da coloro che cercano rifugio politico. Negli anni ’50 la Turchia ha firmato il Trattato di Ginevra. Lo ha fatto avvalendosi del diritto di porre una “condizione geografica”: accettare solamente profughi politici provenienti dall’Europa, compresi i paesi del blocco socialista. Una scelta dettatata dalla logica della Guerra Fredda. La conseguenza è stata l’arrivo negli anni di centinaia di profughi.
Un altro importante momento è stata la prima guerra del Golfo quando circa 500.000 iracheni, in prevalenza curdi e turkmeni, si sono rifugiati temporaneamente all’interno delle frontiere turche.
E’ in quel momento che la Turchia ha preso coscienza di essere diventato un Paese che attira emigrazione. Viene emanato un regolamento nel 1994, ancora un elemento importante. Mantenendo come riferimento il trattato del 1951, si definiscono meglio le condizioni per il riconoscimento dello status di profugo ma nello stesso tempo si introduce anche lo status di rifugiato temporaneo.
Questo documento costituisce un primo tentativo di controllare gli ingressi nel Paese. I profughi vengono ospitati fino a quando gli viene riconosciuto lo status di rifugiato, a quel punto saranno invati in un Paese terzo.
C’è poi l’emigrazione di transito che proviene dall’Irak, dall’Iran, dall’Asia, Bangladesh, Pakistan, e anche dall’Africa. Persone che entrano in Turchia con l’obbiettivo di raggiungere un Paese terzo. Essendo molto controllato il confine con l’Irak, generalmente questi migranti entrano dalla frontiera iraniana. Nella regione al confine con l’Iran del resto esiste tradizionalmente un’economia del contrabbando: certamente armi e droga ma anche animali da pascolo, carburante e beni di uso quotidiano.
Il settore della prostituzione e più in generale quello che potremmo definire “settore dell’intrattenimento”. All’inzio il fenomeno è cominciato sul Mar Nero, poi si è diffuso nelle grandi città e nei centri turistici della costa. Ormai negli ultimi anni è possibile trovare donne straniere nei locali notturni nei posti piùimpensabili del paese. Va ricordato che in Turchia la prostituzione è legale e controllata dallo stato, non è un settore illegale. Questo settore coinvolge soprattutto donne provenienti dalle ex repubbliche sovietiche
L’immigrazioe femminile poi comprende anche donne di servizio e collaboratrici domestiche, particolarmente della Moldavia, per la nuova classe media urbana, soprattutto di Istanbul.
Ci sono poi lavoratori stagionali uomini, nell’agricoltura, per esempio provenienti dal Caucaso. Infine il settore tessile e della confezione, che spinto dalla concorrenza internazionale ad abbassare i costi di produzione fa ricorso a lavoratrici straniere, provenienti dai Balcani o dalle ex Repubbliche sovietiche.
Per quanto riguarda le cifre?
Abbiamo a disposizione solamente i dati del ministero dell’Interno relativi ai fermati in posizione irregolare. Essi comprendono sia persone entrate illegalmente nel Paese che persone entrate regolarmente, con un visto turistico, ma che si sono fermate oltre la sua scadenza ed hanno trovato un lavoro. Dal 1995 al 2000 20.000 persone all’anno, dal 1998 questa cifra è salita a 100.000.
Negli utlimi anni c’è stato un sensibile decremento, sono circa 50.000 l’anno le persone individuate dalla polizia. Questi dati ci fanno supporre che il numero totale di persone che entra illegalmente ogni anno in Turchia sia di 2/3 volte superiore.
Per quanto riguarda il numero degli stranieri presenti in Turchia, a volte si parla di 1.5000.000 persone, una esagerazione secondo me. Io ho stimato in circa 300/500.000 il numero medio di stranieri presenti in Turchia.
Le origini del decremento degli ingressi clandestini registrato negli ultimi anni sono molteplici: in primo luogo le pressioni internazionali. Da parte dell’Unione Europea ma anche degli Stati Uniti. I rapporti americani collocano regolarmente la Turchia agli ultimi posti per quanto riguarda la lotta all’immigrazione clandestina. Grazie alle pressioni esterne ed al dibattito che si è avviato nel Paese la Turchia ha cominciato ultimamente a prendere sul serio la lotta al traffico di persone e la questione del controllo dei confini.
Non dobbiamo poi dimenticare che sono cambiate anche le condizioni che nei Paesi vicini, ad esempio l’Irak, avevano favorito il flusso di migranti.
Chi controlla il traffico di persone?
Ci sono due tesi fondamentali: che questo traffico sia controllato da grandi organizzazioni mafiose oppure da piccoli gruppi. Nel caso turco secondo si tratta soprattutto di una miriade di piccole bande. Il 75% del traffico di clandestini è gestito da turchi, il rimanente da stranieri, ad esempio gli iraniani.
Istanbul rappresenta il punto di raccolta privilegiato per coloro che hanno una destinazione diversa. In genere la raggiungono via mare. Negli anni ’90, lei si ricorderà, una delle destinazioni preferite era l’Italia verso cui partivano navi con a bordo migliaia di persone. Con l’intensificarsi dei controlli si è passati all’uso di imbarcazioni di piccole dimensioni, dirette soprattutto alle isole greche.
Parliamo della lotta a questo genere di traffici da parte dello stato turco....
Va detto che la Turchia non era certo preparata a questo genere di fenomeni. Si è trovata coinvolta all’improvviso in questi fenomeni, la burocrazia, la polizia non erano preparate. Negli anni ’90 si diceva: non serve occuparcene, gli immigrati non si fermano da noi, passano.
Le faccio un esempio interessante accaduto in passato. La televisione riporta la notizia di un gruppo di clandestini che fugge dagli autobus in cui erano stati caricati dalla polizia. Nella realtà si sono accordati con la polizia che altrimenti avrebbe dovuto alloggiarli, rifocillarli controllarli, insomma costano. Allora è meglio non arrestarli, si evitano molti problemi.
Questa era la situazione nel passato. Adesso le cose hanno cominciato a cambiare, anche grazie alle pressioni della UE.
A livello legislativo, programmatico ed anche economico. Ci sono poi molte pressioni affinché la Turchia elimini la “condizione geografica” con la quale ha firmato il trattato di Ginevra, si richiede che lo faccia entro il 2014. La Turchia usa questo fatto come uno strumento di negoziazione con l’UE.
Io sono convinto che per affrontare la questione dell’emigrazione sono necessari molti soldi.
Gli Stati Uniti stanziano annualmente 3,5 miliardi di dollari per la lotta alla immigrazione. E’ esattamente l’ammontare del totale degli investimenti dello stato turco in un anno. Io credo poi che sia impossibile controllare l’emigrazione. Povertà, malattie, violenze, fanno in modo che le persone riescano sempre a trovare la strada per emigrare. Non credo sia realistico pensare all’azzeramento della immigrazione clamdestina.
Sul piano legale qual’è la situazione degli stranieri?
Nel 2003 è stata varata una nuova legge rivolta a prevenire il fenomeno dei lavoratori clandestini.
La legge precedente era infatti degli anni ’40.
Con questa legge si è preso atto della realtà e si è cercato di regolarizzare i lavoratori stranieri, in particolare le collaboratrici domestiche. Non è però una legge molto efficace. La ragione è che in genere il 50% dell’economia turca è infomale, non si riescono a regolarizzare i lavoratori locali, figuriamoci quelli stranieri. In ogni caso lo stato turco mostra la volontà di adeguarsi agli standart europei. Attualmente ci sono nel paese 150.000 residenti stranieri. Circa 40.000 sono lavoratori, gli altri sono studenti o parenti di lavoratori. Lentamente lo stato e la burocrazia si adeguano alla nuova situazione. Ad esempio alle donne si dà automaticamente la cittadinanza quando sposano un turco. Successivamente si è posto la condizione di almeno 2 anni di matrmonio. La Turchia cerca quindi di adattarsi al fenomeno dell’immigrazione.
In quale misura la società turca nel suo complesso è consapevole della realtà dell’immigrazione straniera?
La Turchia è stato tradizionalmete un Paese che ha prodotto emigrati. Negli ultimi 5-6 anni le cose sono cambiate ed ha cominciato a farsi strada la consapevolezza che la Turchia è diventata anche un Paese che attira immigrazione straniera. Una consapevolezza a livello delle auotirà statali, nel mondo accademico dove hanno cominciato a diffondersi ricerche e lavori su questo tema. Per quanto riguarda la società civile, negli ultimi anni si è diffusa l’attenzione per gli immigrati, i profughi, soprattutto ad Istanbul dove in realtà si concentra gran parte del fenomeno.