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I ritornanti bosniaci lasciano in silenzio le proprie case (I)

13.09.2006   

A ridosso dell'importante scadenza elettorale del primo ottobre prossimo, un'inchiesta critica i dati delle agenzie internazionali relativi ai ritorni di profughi e sfollati in Bosnia Erzegovina. La pulizia etnica undici anni dopo Dayton. Nostra traduzione
Di Nidzara Ahmetasevic *, per BIRN, Balkan Insight, 31 agosto 2006 (titolo
originale: “Bosnian Returnees Quietly Quit Regained Homes).
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta


Ritornante (foto Osce)
Gornji Vakuf-Uskoplje e Sarajevo - Sono passati cinque anni da quando Ilijas Sabic, bosgnacco [bosniaco musulmano, ndc] di Gornji Vakuf-Uskoplje, ha scambiato la sua casa con quella di un croato, nella piccola città della Bosnia Erzegovina centrale.

Ilijas non è contento dello scambio, ma sostiene che quello è stato l’unico modo per poter continuare a vivere in questa città, dove le profonde divisioni etniche sono simbolizzate dall’uso di due diversi nomi - Gornji Vakuf per i bosgnacchi e Uskoplje per i croati.

Oggi, l’appartamento di Sabic è a soli 700 metri di distanza dalla sua vecchia casa. In automobile, sono cinque minuti. Ma, dice Sabic, in un altro senso è “lontanissima”. "Questo è il nostro tipo di democrazia. Ognuno ha scelto da che parte del confine continuare a vivere".

Al suo vecchio indirizzo, la figlia ventunenne del nuovo proprietario croato ci apre la porta. Dice di essere felice che suo padre si sia trasferito.

"Per me questa è una vita normale", aggiunge. "Almeno non devo stare a pensare a chi potrei incontrare tornando a casa".

Sabic e il suo corrispettivo croato figurano entrambi come ritornanti a Gornji Vakuf – Uskoplje, ma lo scambio che hanno fatto indica che neppure ora essi vivono nelle case da loro abitate prima della guerra.

Secondo gli esperti nel campo dei profughi e dei ritornanti, il fenomeno da essi esemplificato è comune in un Paese in cui gli aspri conflitti etnici del 1992 - 1995 hanno lasciato un’eredità avvelenata nelle relazioni tra le comunità.

I dati ufficiali sostengono che la guerra ha creato 2,2 milioni tra profughi e sfollati interni – circa la metà della popolazione della repubblica.

L’accordo di pace di Dayton, Ohio, del 1995, ha diviso il Paese in due entità, la Republika Srpska, RS, e la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, BiH.

Da allora, i profughi in ogni città della Bosnia ed Erzegovina hanno usufruito delle leggi che gli consentivano di rientrare in possesso delle loro proprietà.

Ma in molti hanno poi venduto o scambiato le loro proprietà immobiliari, in modo da poter continuare a vivere tra membri del proprio gruppo etnico.

Un milione di ritorni, ma quanti scambi di case?

Le agenzie locali ed internazionali sostengono che le persone come Ilijas Sabic costituiscono una larga percentuale del milione tra profughi e sfollati che sono ufficialmente ritornati alle loro case prebelliche a partire dal 1995.

Gli esperti ritengono che il numero dei ritorni “effettivi” sarebbe ancora più basso, se si tenesse conto del grande numero di ritornanti che sono rientrati in possesso delle loro proprietà col solo intento di rivenderle e rimanere dove si trovano.

Il fenomeno ha disatteso gli intenti dell’accordo di Dayton, che indicava come massima priorità il ritorno dei profughi e degli sfollati.

L’Allegato 7 dell’accordo prevede che i ritornanti abbiano diritto alla restituzione di ogni proprietà confiscata durante le ostilità.

"Tutti i profughi e gli sfollati hanno il diritto di tornare liberamente alle proprie case di origine. Ad essi dovranno essere restituite le proprietà di cui sono stati privati nel corso delle ostilità, a partire dal 1991, ed essi dovranno essere risarciti per tutte quelle proprietà che non gli possono essere restituite", stabiliva l’accordo.

Aggiungeva inoltre che nessuna parte in causa nel conflitto avrebbe dovuto “interferire con la scelta della destinazione dei ritornanti, né avrebbe dovuto forzarli a rimanere in, o a spostarsi verso, situazioni di serio pericolo o insicurezza, o verso aree prive delle infrastrutture basilari, necessarie a riprendere una vita normale".

Anche la costituzione di Bosnia ed Erzegovina, che è parte integrante dell’accordo di Dayton, garantisce "il diritto per tutti i profughi e sfollati di tornare liberamente alle proprie case".

Ma, secondo gli osservatori, le aspettative sollevate dall’accordo si sono rivelate essere non realistiche.

"Ciò che era scritto nell’accordo di pace di Dayton era una visione idealistica di come avrebbero dovuto essere i ritorni", ha detto a Balkan Insight un funzionario internazionale che ha lavorato per alcuni anni al programma per i ritornanti.

"Ha incoraggiato la gente a tornare nelle loro case. Ma era ingenuo attendersi che ad implementare tali linee-guida fossero quelle stesse persone che in tempo di guerra erano alla guida delle parti belligeranti, e che negli anni successivi alla guerra avevano mantenuto il potere".

Il funzionario si riferisce al fatto che, dopo la guerra, il potere è rimasto nelle mani di quegli stessi partiti nazionalisti che avevano dato l’avvio al conflitto: il Partito democratico serbo, SDS, l’Unione democratica croata, HDZ, ed il Partito di azione democratica, SDA.

Mirhunisa Zukic, presidentessa dell’associazione Alleanza dei profughi in Bosnia ed Erzegovina, si è detta d’accordo, aggiungendo che l’influenza dei partiti ha continuato ad ostacolare i ritorni.

"La loro influenza politica è ancora schiacciante" ha dichiarato a Balkan Insight, "cosicché le parti dell’accordo di pace di Dayton che riguardano i diritti umani elementari, come il diritto ad avere una casa e a rifarsi una vita, non vengono attuate".

Un rapporto del 2005 del Comitato Helsinki per i diritti umani prendeva le mosse da un’analogo punto di vista. Sosteneva che le relazioni interetniche erano ancora soffocate dalla determinazione dei partiti nazionalisti, al potere, a mantenere le loro basi etniche di consenso.

"Alimentando la paura dell’'altro', ed insistendo sulle presunte minacce e sui pericoli rappresentati dagli altri due gruppi etnici, questi partiti politici nazionalisti sono sempre riusciti a rimanere attaccati al potere", sostiene il rapporto.

”La fase finale della pulizia etnica”

Intanto, il passare del tempo inevitabilmente comporta che si attenui l’interesse delle persone a ritornare alle proprie case. Il Comitato Helsinki sostiene che ciò equivale a dire che "la pulizia etnica in Bosnia ed Erzegovina sta entrando nella sua fase finale".

Simili dichiarazioni sono malviste dalle agenzie ed autorità internazionali in Bosnia ed Erzegovina, il cui interesse è dipingere un quadro più roseo.

Queste agenzie si attengono ai dati forniti dall’organismo per i profughi delle Nazioni Unite, l’UNHCR, che sostiene che il 50 per cento dei più di due milioni di profughi e sfollati alla data del settembre 2005 erano ritornate alle loro case, e che i proprietari aventi diritto avevano riacquistato quasi il 99 per cento delle proprietà confiscate.

Soddisfatto di questi apparenti progressi Paddy Ashdown, ex Alto rappresentante della comunità internazionale, aveva chiuso nel 2003 il dipartimento dell’Ufficio dell’Alto rappresentante preposto ai ritornanti e alla ricostruzione, trasferendone i poteri alle autorità locali.

Gli esperti locali hanno criticato questa mossa, ribadendo che i dati su cui essa si fondava erano fuorvianti. "La gente riottiene le proprietà, ma non ci torna a vivere", ha affermato Mirhuniza Zukic.

"Le statistiche riportano questi casi come 'ritorni', il che spiega come sia possibile che, ufficialmente, quasi la metà degli sfollati e dei profughi risultino essere tornati a casa”.

"In realtà, al massimo un terzo di questi sono ritornanti propriamente detti".

Zukic ha evidenziato che i due terzi rimanenti dei “ritornati” includono molti ritornanti “del fine settimana”, o “ritornanti stagionali”, che sono rientrati in possesso delle loro proprietà ma non vi risiedono più stabilmente.

Il maggiore problema riguarda i ritorni “di minoranza". Questo termine indica i ritornanti che si sono reinsediati in municipalità in cui altri gruppi etnici costituiscono ora la maggioranza.

Secondo l’UNHCR, per la fine del 2005 avevano avuto luogo circa 450.000 ritorni di minoranza.

Ma le cifre presentate dall’Alleanza profughi e dagli uffici dei difensori civici di entrambe le entità raccontano una storia diversa.

Il rapporto 2005 sui diritti umani dell’ufficio del difensore civico della RS rilevava che i ritornanti spesso hanno rivenduto o affittato le proprietà di cui erano tornati in possesso.

Un rapporto dello stesso anno, del difensore civico della Federazione, sosteneva un’analoga posizione, denunciando la mancanza di dati sugli scambi e sulle vendite delle proprietà ripristinate.

Gornji Vakuf / Uskoplje, una città divisa

A Gornji Vakuf - Uskoplje, l’evidenza dei fatti suggerisce che la maggioranza dei ritornanti hanno sfruttato le facilitazioni di Dayton per scambiare o rivendere le case così riottenute.

Il conflitto arrivò nel 1993, quando la città fu spartita tra la milizia bosniaco-croata, il Consiglio di difesa croato, HVO, e l’esercito della Bosnia-Erzegovina, ABiH.

Fino all’anno scorso la municipalità ha mantenuto uno status speciale, dovuto all’esistenza di strutture parallele a tutti i livelli di governo.

Nel 2001, l’Alto rappresentante nominò un inviato speciale perché riunisse la città, sotto la denominazione ufficiale di Gornji Vakuf - Uskoplje, per soddisfare entrambe le comunità etniche.

Ma la riunificazione uficiale del 2005 ha avuto poche conseguenze sulle divisioni che restano visibili pressoché in ogni momento della vita sociale.

Oggi la popolazione, di circa 20.000 abitanti, 5.000 in meno di prima della guerra, è chiaramente divisa. Con una certa ironia, i cittadini chiamano la zona bosgnacca "Sezione B" e l’area croata "Sezione C".

L’HDZ e l’SDA localmente si spartiscono il potere. Due partiti non etnici, il Partito per la Bosnia-Erzegovina, SBiH, ed il Partito socialdemocratico, SDP, hanno solo una manciata di rappresentanti al consiglio locale.

Fatima Mehanovic, deputata dell’SDP, dice che il suo partito ha poca influenza, ed è sempre messo in minoranza dalla coalizione nazionalista. Né ci sono molte speranze che le cose cambino in meglio, continua.

"Le divisioni nella municipalità fanno il gioco dei partiti al potere", ha dichiarato a Balkan Insight.

Nessun confine visibile separa le sezioni B e C, ma tutti sanno dov’è. Per i residenti la linea di demarcazione è chiara perfino là dove una strada è divisa tra un lato che appartiene ai bosgnacchi e un lato che appartiene ai croati.

I dati ufficiali mostrano che circa l’80 per cento delle proprietà confiscate nella guerra del 1992 - 1995 è stato restituito ai proprietari prebellici. Ma, in maggior parte, essi hanno seguito l’esempio di Ilijas Sabic, scambiando le proprie case con altre, site nella “loro” parte della città. Oppure hanno semplicemente venduto le proprietà.

Secondo gli esperti è difficile valutare la dimensione del fenomeno, perché non ci sono dati accurati sugli scambi di proprietà tra cittadini di nazionalità differenti.

Ma, indagando sul fenomeno, il difensore civico della Federazione ha raccolto dei dati pressoché completi dai locali uffici delle tasse.

Questi ultimi avevano rilevato che a Zenica, una cittadina industriale nella parte centrale della Bosnia ed Erzegovina, 4.386 appartamenti e 547 case private, che erano state riottenute dai proprietari prebellici, erano state rivendute negli ultimi quattro anni. Inoltre erano stati conclusi 863 contratti di scambio di proprietà.

Nel cantone di Tuzla, nel nord-ovest del Paese, si è verificato inoltre che solo circa il 40 per cento dei ritornati si era ristabilito nelle case di prima della guerra. Nella sola città di Tuzla, più dell’80 per cento dei ritornati non viveva più nelle proprietà che gli erano state restituite.

(1 – continua Vai alla seconda parte dell'inchiesta)

*Nidzara Ahmetasevic è corrispondente di Balkan Insight. Balkan Insight è la pubblicazione online di BIRN
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