La campagna elettorale più dura del dopoguerra bosniaco. I politici investono sulla possibilità di gestire più potere in una Bosnia Erzegovina senza Alto Rappresentante. Toni pericolosi all'interno di entità e cantoni, recinti elettorali non comunicanti
Con questo commento inizia la collaborazione con Osservatorio Balcani di Zlatko Dizdarevic, uno dei giornalisti più noti dell'area ex jugoslava. Un caloroso benvenuto a Zlatko da parte di tutta la redazione di Osservatorio!
Il primo ottobre in Bosnia Erzegovina si terranno le elezioni politiche. Con questo voto i cittadini eleggeranno la Presidenza collegiale della BiH (dove è rappresentato ogni membro dei tre popoli costituenti), il presidente e i due vicepresidenti di una delle due entità esistenti – la Republika Srpska (RS), la camera dei deputati a livello statale, i parlamenti delle due entità (Federazione BiH e RS), e i dieci parlamenti cantonali della Federazione BiH. Per tutti questi posti si sono candidati 7.425 rappresentanti di 36 partiti e otto coalizioni, e 12 candidati indipendenti. Alle elezioni sono stati registrati complessivamente 2.736.886 elettori.
In Bosnia Erzegovina – così appare alle persone che regolarmente guardano la tv e leggono i giornali – sembra che non ci sia niente di più importante della domanda su chi vincerà queste elezioni “decisive”. La pressione della propaganda elettorale già grava sui cittadini di questo stato in misura tale che è quasi intollerabile. Nei media, in vari incontri e dibattiti, su quei ritratti dei candidati che sono stati abbelliti in modo ridicolo col computer, che compaiono sui manifesti giganti e sui poster, negli spot alla radio e alla tv, nei dibattiti, nelle polemiche, nei comunicati, nelle cassette delle lettere dove sono stati gettati gli inviti della propaganda e chissà che altro, si desidera mostrare che il destino dei cittadini della Bosnia Erzegovina è nelle mani dei salvatori elettorali.
Per una parte dei cittadini, forse i più savi, tutta questa propaganda risulta essere controproducente, e potrebbe suscitare un'indimenticabile astinenza elettorale, che si avvicina a velocità drammatica. Presso gli altri, cresce il nervosismo davanti al fatto che la generale cacofonia della campagna elettorale ha cancellato interamente tutte le reali differenze, anche quelle minime, che esistono nelle società normali tra i differenti partiti e individui, sia durante le elezioni che fuori dal periodo elettorale.
Tutti, letteralmente tutti, si impegnano con frasi stucchevoli del tipo: per la giustizia, per la sicurezza, per la prosperità, per l’Europa, per le pensioni, per gli investimenti sia locali che stranieri, per lo sviluppo e per centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro, per la cattura dei criminali di guerra e per portarli davanti ai tribunali, per l’eliminazione dei visti e per viaggiare in libertà ovunque si voglia, ecc. Se dieci anni fa si poteva anche intuire “chi sono i nostri e chi sono i loro” durante la campagna elettorale, oggi a chi ascolta, guarda e cerca di credere al paradiso che viene offerto dalla campagna elettorale, non c’è più niente che sia chiaro. Lo smarrimento dell’uomo medio che da sempre abita questi luoghi e che non ha mai creduto ai media, ai comandanti e ai politici, ai pope e agli imam, è enorme.
Il terzo gruppo di persone, purtroppo il più piccolo, non si è mai occupato delle elezioni e non lo fa nemmeno adesso. A loro, per lo più giovani, nessuno ha mai spiegato cosa in sostanza le elezioni possano portare in una società e in uno stato organizzato decentemente, di cosa si tratta, qual è il meccanismo della democrazia, ecc. Questo non si insegna a scuola, poco in famiglia ed è sconveniente per i media. Loro sono semplicemente schifati da tutti quei populisti artificialmente sorridenti e truccati sui grandi e piccoli manifesti. Loro non sono né pronti né organizzati né educati a cercare nella propria organizzazione, la soluzione e la resistenza a questa violenza propagandistica, non sono pronti ad enfatizzare il proprio candidato o a sostenere il candidato altrui nel quale però vedono un qualche futuro.
In questo contesto, la campagna elettorale in Bosnia Erzegovina raggiunge ogni giorno e ogni ora di più una brutalità che non di rado rasenta il primitivismo. Possiamo tranquillamente affermare che quanto si è già visto in questa campagna non si è mai visto nemmeno alla vigilia delle prime e seconde elezioni del dopoguerra tenutesi all’ombra dei crimini, del sangue e dell’odio.
Una dimensione di questo caos risulta essere interessante: le guerre all’interno delle tribù nazionali ripulite e inchiodate alla costituzione in alcune loro dimensioni sono persino più violente e soggette ad un odio peggiore di quanto non lo siano i conflitti tra i diversi recinti politici! La riposta a ciò che di primo acchito può sembrare un fatto paradossale è del tutto semplice: in Bosnia Erzegovina i territori sono stati divisi, prima dalla guerra e poi dalla politica della comunità internazionale, e non possono in alcun modo essere toccati. Quelli di un’entità quasi non si interessano a cosa succede nell’altra. Ne discende che il vero “campo di battaglia” per il potere è soprattutto all’interno delle unità territoriali divise, e non nello spazio amministrativo dello stato unito di Bosnia Erzegovina.
La polizia, il terreno, il denaro, la privatizzazione e i criminali sono divisi per entità, per cantoni e secondo altre frontiere all’interno delle quali bisogna carpire il potere per governare su tutto ciò. Non c’è alcun monolite, né religioso, né nazionale, né nessun altro che sia più importante del potere nel proprio cortile. Perché è solo il potere, all’interno della Bosnia frammentata, quello che conta. Ecco perché la campagna elettorale è diventata letteralmente l’arena di battute di caccia politiche e primitive anche fra gli stessi che fino a ieri, senza la campagna elettorale, giuravano davanti allo stesso dio. Qui non ci sono misure di standard minimamente civili. Tutti gli innumerevoli e innominabili interessi di vario tipo della schiera del rispettivo media e candidato preferito sono più forti e più importanti anche dei così tanto nominati Nazione, Dio e “Nostro stato”.
In tutta questa storia ad un osservatore esterno che è un po’ più informato delle cose vengono almeno due domande e due risposte: perché fino ad ora, alle precedenti elezioni, la campagna alla vigilia delle elezioni non era così ruvida e persino così spaventosa come lo è adesso? E secondo, come è perché il cosiddetto popolo accetta tutto questo in modo mansueto senza dar segno di alzare la voce contro le offese e le umiliazioni che subisce grazie a questo tipo di marketing elettorale?
La lotta per il potere durante le precedenti elezioni in BiH era relativamente più tranquilla, semplicemente perché la dimensione del potere che veniva offerto dopo le elezioni era di gran lunga inferiore. Il dolce cui si anelava era più piccolo e meno dolce. Sullo stato esisteva l’ombrello del protettorato e non era proprio possibile, malgrado l’incredibile ingegnosità e astuzia dei locali governanti, governare nel modo in cui qui ci si è abituati a farlo per secoli. Questa volta le neo-elette strutture non avranno su di sé l’Alto rappresentante e nemmeno certi freni imposti dall’esterno per opporsi alle orge dei politici locali. Le porte del paradiso per governare al modo balcanico si aprono di nuovo.
Per questo tipo di gioco il cosiddetto popolo è ben preparato grazie ai dieci anni passati. La vera “sostanza” bosniaca per lo più è stata bandita o è stata privata dei diritti. Molti riflessi politici normali sono stati devitalizzati e l’opinione pubblica non esiste più. Lo stato non è stato costruito, le istituzioni democratiche sempre più spesso esistono solo in modo fittizio, la società e il sistema di valori sui quali essi si basavano sono crollati fino a farli sparire, e la cosiddetta comunità internazionale molto di tutto questo non lo ha capito. Alcuni perché non potevano capirlo, e altri perché non lo hanno voluto. Ad ogni modo, né gli uni né gli altri hanno mai avuto un sufficiente interesse.
La bolla di sapone delle “elezioni democratiche”, che da queste parti viene continuamente offerta e con la quale si legittima ostinatamente una condizione anormale, in una situazione in cui né le istituzioni né il sistema sono democratici, è cinica e offensiva. È vero che probabilmente nessuno falsificherà o ruberà i voti degli elettori, ma il modo in cui si arriva a quei voti e in cui i cittadini “imparano” come e per chi votare, e chi gli insegna ciò, è tutto tranne che democratico. In un tale ambiente è quasi persino normale che la campagna elettorale si sia trasformata in una brutale caccia alle persone e ai loro voti – ad ogni costo! Ma il prezzo sarà enorme.