I due maggiori partiti (ex) moderati del campo serbo e bosgnacco convergono verso la peggior retorica estremistica e nazionalista. La campagna elettorale in Bosnia Erzegovina senza freni. L'analisi del nostro corrispondente
La campagna elettorale in Bosnia Erzegovina è ufficialmente iniziata il primo settembre. Ma in realtà, come ad ogni giro di elezioni, era già iniziata molto tempo prima. Sono le prime elezioni da quando la comunità internazionale ha annunciato la chiusura dell’Ufficio dell’Alto Rappresentante e di fatto l’abolizione dei “Bonn powers”, i poteri che nel corso degli anni passati avevano indotto a paragonare la Bosnia ad un protettorato internazionale. Christian Schwarz-Schilling ha già di fatto rinunciato ad utilizzare i poteri da alcuni mesi e la fase di uscita dell’Alto Rappresentante è già iniziata. Per i politici bosniaci, è come se fosse finita la scuola: non c’è più chi li controlla e punisce se sgarrano, c’è uno spirito di impunità e la propaganda politica tocca temi che in passato i politici non osavano sfiorare.
Silajdzic e Dodik scherzano col fuoco
Chi sembra godersi di più le vacanze sono i politici della Republika Srpska, e in particolare il mattatore della campagna elettorale in questa entità, Milorad Dodik. La sua controparte nell'altra entità, la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, è Haris Silajdzic. Il dibattito sugli emendamenti costituzionali e il fatto di aver fatto fallire le riforme proposte è diventato uno dei cavalli di battaglia di Haris Silajdzic, che ha fatto dell’abolizione della Republika Srpska il tema principale della sua campagna elettorale. Nel programma elettorale della Stranka za BIH, il partito di Silajdzic, in primo piano si trovano ampi riferimenti al conflitto passato e al temuto smembramento della Bosnia ed Erzegovina.
Il programma lo dice chiaro e tondo, gli elettori si trovano di fronte alla scelta tra un Bosnia ed Erzegovina unitaria e democratica e la perdita di tutto. La guerra si è fermata in Bosnia ed Erzegovina, ma le sue radici non sono state sradicate, le pretese territoriali degli stati vicini non sono scomparse. La Bosnia ed Erzegovina deve cooperare con le forze democratiche negli stati vicini per farli evolvere verso la democrazia. Ma, avverte il partito del 100% (BIH 100% è lo slogan elettorale), la Bosnia ed Erzegovina non può essere divisa in modo pacifico ed ogni tentativo in tal senso condurrà alla guerra. La proposta del partito della Bosnia ed Erzegovina è una Bosnia multiculturale e unitaria, che potrebbe rappresentare un modello di stabilità per l’intera regione. Chi non accetta questo modello, avverte minacciosamente il programma, sceglie la guerra.
Dodik, dal canto suo, cavalca la tigre del separatismo della Republika Srpska, si proclama difensore dei diritti del popolo della Srpska e agisce di conseguenza. La retorica di Dodik tocca tutti o quasi i tabù della Bosnia di Dayton: denunciando i presunti crimini di Dudakovic nei confronti dei Serbi e lamentandosi della mancanza di reazioni da parte della Camera per i Crimini di Guerra del Tribunale della Bosnia ed Erzegovina, Dodik minaccia di revocarne la competenza e di istitutire i processi nella Republika Srpska. Dodik, in questo caso, è stato prontamente smentito dall’Ufficio dell’Alto Rappresentante che ha prontamente precisato che la Camera per i Crimini di Guerra non risulta da alcun trasferimento di competenze da parte della Republika Srpska, che non può quindi revocare nulla in tal senso.
L’argomento preferito di Dodik, tuttavia, è il referendum. Dopo il Montenegro, Dodik è pronto a fare parallelismi tra Kosovo e Republika Srpska e a cercare di legare le due questioni. Se si tocca la Republika Srpska, minaccia Dodik, i serbi potranno scegliere il referendum e uscire dalla Bosnia ed Erzegovina. Con una serie di dichiarazioni pubbliche, Dodik ha inanellato una serie di “perle” degne della miglior retorica grandeserba: ha affermato che la Bosnia ed Erzegovina è una soluzione temporanea, che l’odierna Sarajevo è come Teheran e si è lamentato del fatto che circa 500 moschee sono state costruite in Bosnia ed Erzegovina nel dopoguerra. Silajdzic ha prontamente ribattuto: “Ma chi le aveva distrutte?”, riferendendosi alla massiccia distruzione di chiese cattoliche e moschee nella Republika Srpska durante il conflitto.
Curiosamente, il programma dell'SNSD (l'Unione dei socialdemocratici indipendenti, il partito presieduto da Dodik, ndc) è molto più moderato e contenuto nelle tematiche: al primo posto figura lo sviluppo economico, l’adesione alle strutture euro atlantiche e l’integrazione europea. La struttura politica interna della Bosnia ed Erzegovina, figura solamente al terzo posto, dopo le priorità economiche e quelle sociali. Il SNSD si proclama a favore dei cambiamenti costituzionali all’interno del paese ma avverte che ogni tentativo unilaterale da parte dei politici bosgnacchi di centralizzare il paese e di eliminare le entità avrà una risposta decisa da parte della Republika Srpska, inclusa l’autodeterminazione. L'SNSD insiste sulla necessità di decentralizzare il paese, necessità che non deriva soltanto da Banja Luka, ma anche da Bihac, Tuzla e Mostar. Il manifesto dell'SNSD appare comunque più moderato di quello del partito per la Bosnia Erzegovina (SBIH) di Silajdzic: tanto per fare un esempio, il termine “guerra” non compare nemmeno una volta. È interessante constatare che c’è una certa discrepanza tra le politiche dell'SNSD e le dichiarazioni di Dodik. Alla retorica nazionalista di Dodik, fa riscontro una moderazione del manifesto e dei programmi del partito, che potrebbe far pensare che la retorica populista sia solamente un atteggiamento di facciata.
Si chiama in causa l’Alto Rappresentante
Lo scontro tra i due diviene ancora più interessante se si considera l’atteggiamento dei due partiti nei confronti dell’annunciata chiusura dell’Ufficio dell’Alto Rappresentante. Alla soddisfazione di Dodik e dei politici della RS in genere, fa riscontro la preoccupazione da parte di Silajzdic che ha scritto una lettera aperta all’Alto Rappresentante mettendolo in guardia sui progetti secessionisti di Dodik. Altri politici della Federazione, invece, hanno apertamente chiesto che l’Alto Rappresentante rispolveri i “Bonn powers” contro Milorad Dodik. L’Alto Rappresentante, nei suoi editoriali sulla stampa, non ha risposto a tali richieste, ribadendo che rimandare la chiusura del suo ufficio sarebbe solamente dannoso per il paese e invitando i politici alla moderazione. Sono le delicate fasi di transizione dal regime di semi protettorato alla piena sovranità, e per i politici locali alla necessaria presa di responsabilità: non può più essere la comunità internazionale a risolvere le diatribe interne. Le redini sono in mano ai politici locali e alla loro responsabilità nei confonti dei cittadini.
Finti nemici?
Finora lo spettacolo sul teatrino della scena politica bosniaca è stato deprimente. Silajdzic e Dodik sono politici navigati, conoscono benissimo la scena elettorale. Sanno benissimo che in realtà non sono in competizione tra di loro: Dodik non ruberà un solo voto a Silajdzic, nè Silajdzic a Dodik: gli elettorati dei due partiti sono completamente separati, in primo luogo separati etnicamente.
I partiti con cui sono in competizione sono sul fronte interno. Dodik e la sua retorica nazionalista ha messo in grossa difficoltà l'SDS [il partito democratico serbo fondato da Karadzic, ndc]: i sondaggi danno il partito di Dodik al di sopra del 50% nella Republika Srpska, con l'SDS che arranca. La retorica nazionalista di Dodik ha praticamente spiazzato l'SDS, adottando semplicemente la stessa retorica verbale. Silajdzic ha praticamente fatto lo stesso con Tihic e l'SDA [il partito di azione democratica fondato da Izetbegovic, ndc]. Silajdzic, accusando l'SDA di esser sceso a patti col nemico e di aver fatto un compromesso sui cambiamenti costituzionali, ha di fatto messo all’angolo Tihic e compagnia.
Pochi si ricordano che qualche anno fa i due partiti, assieme ad altri partiti moderati, facevano parte dell’”Alleanza per il Cambiamento”, la coalizione che avrebbe dovuto spezzare il giogo dei partiti nazionalisti e normalizzare la situazione in Bosnia ed Erzegovina. Il giogo dei nazionalisti sembra ora spezzato (sul fronte croato lo stesso HDZ è diviso in due), ma i nuovi scenari che si delineano non sembrano promettere nè alleanze, nè cambiamenti. Lo spostamento verso destra dell'SNSD e della SBIH ha scombussolato le geografie tradizionali, spiazzando l'SDS nella Republika Srpska e favorendo anche una sorta di tanto segreta quanto improbabile intesa tra SDA e SDP nella Federazione.
La vittoria di Dodik e dell'SNSD in Republika Srpska appare praticamente certa (Dodik è candidato premier), mentre Silajdzic appare il favorito come membro bosgnacco della presidenza. Rimane da vedere come questi partiti potranno governare il paese dopo aver polarizzato l’elettorato bosgnacco e serbo e fatto il deserto attorno a sè. Se gli elettori moderati bosniaci non possono nemmeno “turarsi il naso” (come si diceva in Italia tanti fa), allora forse decideranno di “votare con i piedi” e andarsene dal paese.