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Una questione puramente accademica?
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Data pubblicazione: 11.10.2006 09:16

Un commento sullo stato del sistema universitario rumeno e sulle prospettive per studenti e ricercatori, divisi tra speranze di riforma e percorsi di studio all'estero. Il dibattito nel paese. Nostra traduzione
Di Cristina Bradatan*, per Transitions Online, 21 settembre 2006 (titolo originale: “More Than Just Academic”)

Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta



Se si guardano le cifre, il sistema universitario in Romania è in piena espansione. Lo stesso Paese che nel 1990 aveva il minore tasso di cittadini laureati d’Europa è ora balzato ai primi posti della classifica. Ci sono più posti di lavoro disponibili per i giovani laureati, le università pubbliche sono cresciute, e quelle private prosperano.

Eppure a detta di molti rumeni, sia interni che esterni al sistema accademico, il sistema è malato.

Il problema, dicono alcuni, è che ricercatori e scienziati rumeni non hanno ancora imparato a sopravvivere in un mercato intellettuale competitivo. Altri incolpano quegli studiosi che, freschi di un dottorato appena conseguito nelle università occidentali, manipolerebbero il dibattito a loro esclusivo beneficio. Un altro commentatore sostiene che il sistema rumeno è unico, e non segue le stesse regole del gioco degli altri Paesi. Tra tutte queste polemiche sulla professione accademica, ci si è dimenticati di una cosa: gli studenti.

Statistiche di cui vantarsi...

I rumeni sono sempre stati orgogliosi delle loro università. Forse il comunismo aveva livellato il divario tra ricchi e poveri, ma ciò non vuole dire che prima del 1990 non ci fosse una stratificazione sociale: l’istruzione era vista come un’opportunità di miglioramento personale, che permetteva di salire lungo la scala sociale. L’istruzione superiore era gratuita, ma le università limitavano il numero delle iscrizioni e gli esami di ammissione erano generalmente difficili. Le università erano solo un ingranaggio dell’economia centralizzata, preposto a produrre l’esatto numero di laureati di cui le aziende statali necessitavano.

Gli anni successivi al 1990 hanno visto un’impressionante crescita del numero di studenti e professori universitari. Nel primo anno accademico completo dopo la caduta del governo comunista, 193.000 studenti si iscrissero ai corsi di istruzione superiore. Per il 2003-2004 il numero si era più che triplicato, raggiungendo i 621.000. Nello stesso tempo, il numero degli insegnanti nell’istruzione superiore si era più che raddoppiato. College privati ed università prosperano: nel 2003-2004 c’erano 67 istituti privati, con più di 240 dipartimenti che servivano 144.000 studenti. Se questa linea di tendenza dovesse proseguire, la Romania avrà una delle popolazioni giovanili più istruite d’Europa.

In termini quantitativi, perlomeno. All’interno del sistema accademico, il tarlo del dubbio sullo stato di salute del sistema si sta facendo strada. Per anni sono fioriti dibattiti sempre più accesi sulla qualità dell’istruzione superiore rumena, tra gruppi informali di studiosi e animatori di giornali online come Ad-Astra. Le autorità hanno rivolto ad essi un’attenzione scarsa o nulla, ma negli anni scorsi il dibattito si è spostato sui giornali cartacei di più vasta diffusione, crescendo ancora di più dopo un fallimentare tentativo di migliorare gli standard dell’insegnamento universitario.

...e statistiche di cui vergognarsi

I pessimisti martellano sempre sugli stessi punti, per illustrare il declino dell’istruzione superiore. Fanno notare che la Romania spende solo lo 0,5 per cento del suo Prodotto interno lordo in ricerca e sviluppo, meno dello 0,6 – 0,7 per cento investito da altri Paesi dell’Est Europa come Bulgaria, Ungheria e Polonia, e ben lontano dalla media dell’Unione Europea, che è dell’1,9 per cento. In confronto a Bulgaria, Ungheria e Polonia, il numero di contributi accademici, nei diversi campi del sapere, pubblicati tra il 1980 ed il 2000 in riviste internazionali da ricercatori rumeni è basso: nelle scienze naturali, mantenendo l’attuale tasso di crescita degli articoli pubblicati, ci vorranno alla Romania 15 anni per arrivare al livello della Bulgaria, 30 anni per raggiungere la Polonia, e 60 per mettersi al passo con l’Ungheria, secondo quanto sostenuto nel 2002 dai ricercatori Liviu Giosan e Tudor Oprea, che lavorano negli Usa. Nelle scienze sociali, questi ipotetici tempi di distacco sono triplicati.

Un’altra comune argomentazione sostiene che il sistema degli avanzamenti gerarchici nelle università rumene dà troppo poco peso alla qualità delle pubblicazioni degli studiosi. Chi sostiene questa tesi critica il fatto che molti insegnanti diventano cattedratici sulla scorta di pubblicazioni apparse in oscure riviste, non soggette al controllo della comunità scientifica, oppure di libri pubblicati in proprio. I dottorati vengono ottenuti facilmente, da studenti cui mancano le minime credenziali accademiche, e molte dissertazioni si sono rivelate dei plagi di precedenti ricerche. Ci sono stati anche diversi casi di accademici accusati di avere plagiato per essere promossi (il caso più tristemente famoso, quello di un ex primo ministro).

Pubblicare o soccombere?

Tentando, nel 2005, di affrontare questi problemi, il nuovo ministro dell’Istruzione, Mircea Miclea, egli stesso professore presso l’Università di Cluj, ha disegnato un ambizioso schema di riforma, finalizzato ad elevare gli standard dell’eccellenza accademica. Il piano prevedeva che i giovani ricercatori delle università pubbliche dovessero ottemperare a requisiti più severi, per poter procedere nella scala gerarchica accademica, come per esempio aver pubblicato le proprie ricerche in giornali internazionali e riconosciuti dalla comunità scientifica, e aver ottenuto riconoscimenti in concorsi competitivi. Il piano fu respinto fin da subito dal presidente e dal vice presidente del Consiglio di Stato per la certificazione dei risultati nella pubblica istruzione. Se fossero stati applicati simili criteri "draconiani", essi sostennero, nessun accademico rumeno sarebbe mai stato promosso al di sopra dei più bassi ranghi della docenza. I due arrivarono a minacciare di dimettersi, se il piano di Miclea fosse stato implementato.

Pochi mesi dopo, il piano di riforma fu accantonato, perché Miclea si dimise dal suo incarico ed il nuovo ministro adottò regole di avanzamento gerarchico più rilassate, decisamente in linea con le proposte del Consiglio per la certificazione. Ma, dopo le sue dimissioni, il dibattito sulla qualità delle università rumene anziché estinguersi è proseguito e si è addirittura spostato dai forum su Internet ai media culturali di più ampia diffusione.

È stato un preside di facoltà della Scuola nazionale di scienze politiche e amministrative (una dinamica università sorta dopo il 1990) ad aprire una nuova linea di discussione attraverso un articolo nel periodico culturale Revista 22, in cui sosteneva che la disputa sull’educazione superiore era dovuta in larga misura ai neolaureati provenienti dalle università occidentali, rumeni tornati in patria dopo aver studiato all’estero. Cercando di inserirsi nel sistema accademico rumeno, talvolta con una fin troppo alta opinione di sé e guardando dall’alto in basso i colleghi non abbastanza fortunati da possedere un titolo accademico estero - sosteneva il preside di facoltà Mihaela Miroiu – essi invocano gli standard accademici occidentali perché ciò va a loro favore e squalifica gravemente chi già è inserito nel sistema.

Questo tentativo, di far apparire l’intera discussione sugli standard accademici come una lotta per il potere o il riconoscimento, a molti è sembrato riduttivo. Molti giovani accademici con titoli stranieri hanno risposto aspramente a Miroiu. Come membri di un nuovo proletariato accademico, nell’impossibilità di trovare posti da insegnanti o, nel migliore dei casi, ridotti a impieghi dequalificati, con stipendi miseri, essi si sono visti schiacciati dal sistema, senza speranza di riscatto.

Etichettare come agitatori questo gruppo di giovani accademici non risolve il problema della scarsa qualità della ricerca e dell’insegnamento universitario, replicano altri. La vera linea di divisione non è tra chi si è qualificato in patria o all’estero. È tra quegli accademici che lavorano bene e sono produttivi, e quelli che insegnano male e producono ricerche di basso livello qualitativo. Il modo per uscire dall’impasse è stabilire un sistema di promozioni basato sui meriti, assicurando, col tempo, che solo i ricercatori più brillanti arrivino a diventare titolari di cattedra.

Ma questo è il modo sbagliato di guardare al problema, secondo il professor Andrei Cornea dell’Università di Bucarest, intellettuale e opinionista. Egli contesta l’effettiva importanza di un sistema di promozioni basato sugli articoli sottoposti al vaglio della comunità scientifica e sulla visibilità internazionale. Dopo tutto, dice, in Romania si riescono a pubblicare molti libri accademici di grande originalità, nonostante la mancanza di credenziali accademiche degli autori. Una situazione che sfida le regole che normalmente governano il mondo accademico. Il sistema di promozioni dev’essere flessibile, non rigidamente e burocraticamente regolamentato, sostiene Cornea. Anche se non è del tutto chiaro quale dovrebbe essere il limite di questa flessibilità, in un sistema di promozioni che è già troppo flessibile, le idee di Cornea sono condivise da molti. Recentemente, più di 200 professori, tra titolari e associati, che sono saliti di grado pur non avendo mai conseguito un dottorato, hanno reclamato a gran voce per una nuova legge che richiede il possesso di questo titolo per chi ricopre tali posizioni accademiche.

Com’era prevedibile, altri commentatori hanno preso di mira le argomentazioni di Cornea, cestinando l’idea di una "unicità rumena" in quanto difesa, sotto mentite spoglie, di una cultura malata, ed un modo a buon mercato per evitare una seria riforma.

Fornitori e clienti

Tutto questo bisticciare ruota intorno al lavoro svolto (o non svolto) dagli accademici. Chiaramente, avere degli standard accademici ben definiti metterebbe un freno all’avanzamento degli studiosi incompetenti, ed aiuterebbe l’istruzione superiore rumena a riguadagnare un poco della sua perduta legittimità. Se la costruzione di una carriera accademica dev’essere basata esclusivamente sulla rete di relazioni con la comunità scientifica internazionale, la reputazione del sistema accademico nazionale è destinata a calare ulteriormente, e sempre più giovani rumeni saranno spinti verso le università straniere.

Dal punto di vista di questi giovani, comunque, altri problemi potrebbero sembrare più rilevanti: dalla qualità dell’insegnamento, alle questioni etiche nelle università (l’assenteismo e i casi di plagio tra i professori, le molestie sessuali), al collegamento praticamente inesistente tra le richieste del mercato del lavoro ed i contenuti dei curriculum di studio. Eppure queste preoccupazioni si perdono, nel clamore su chi deve passare di ruolo. Le università rumene a lungo hanno visto lo studente non come un "cliente", libero di scegliere ciò che maggiormente gli (o le) confà, bensì, paternalisticamente, come un utente costretto ad accettare qualsiasi cosa gli venga offerta. Lo stesso concetto di guardare al sistema dal punto di vista dello studente è ancora relativamente alieno.

Le cose però potrebbero essere sul punto di cambiare. Nel 2008, la prima generazione di giovani nati dopo il 1989 entrerà all’università. Sempre più studenti provenienti da famiglie della classe media si potanno permettere di voltare le spalle al sistema rumeno, per andare a studiare all’estero. Essi devono rendersi conto fin d’ora che, per come stanno le cose, non sarà facile per loro tornare a stabilirsi in Romania. Preferiranno non tornare più? O torneranno in numero sufficiente a formare una massa critica, facendo pressione sul sistema perché cambi e li accetti? O forse il sistema può riformarsi dall’interno, ma con maggiore successo rispetto al tentativo abortito del ministero dell’Istruzione del 2005. Noi ora non possiamo fare molto altro, se non porre queste domande, ma il dato di fatto rimane: la qualità delle istituzioni accademiche sta affondando con tale rapidità che, se non ci saranno presto importanti cambiamenti, la Romania rimarrà con un sistema di istruzione superiore di cui potersi solo vergognare.


*Cristina Bradatan è professoressa assistente presso il dipartimento di Sociologia dell’Università della Florida centrale. Ha conseguito laurea e master presso l’Università di Bucarest, e un dottorato presso l’Università statale della Pennsylvania