Nel giorno delle elezioni in Bosnia Erzegovina, un commento sugli inquietanti giri di valzer tra politici bosniaci e criminali di guerra. Dopo la sentenza Krajsnik, una rassegna dei casi più recenti. Criminali per gli uni, eroi per gli altri. E le vittime?
Le immagini sulla stampa bosniaca dell'incontro tra Tihic e Oric
27 anni di carcere per aver partecipato in un’impresa a delinquere mirante a “ricomporre etnicamente i territori individuati dalla leadership serbo-bosniaca grazie alla drastica riduzione della componente musulmana e croata per mezzo di espulsioni” (in parole più semplici “pulizia etnica”). È la sentenza comminata a Momcilo Krajisnik, dal Tribunale dell’Aja, mercoledì 27 settembre. Tra i soci di Krajisnik, Radovan Karadzic, latitante e Biljana Plavsic, già condannata a 11 anni di carcere.
Alla luce delle elezioni odierne, la sentenza contro Krajisnik offre uno spunto interessante: qual è il rapporto dei vari leaders politici bosniaci nei confronti dei crimini di guerra a 10 anni di distanza? Krajisnik è l’ideale
trait d’union: nel 1996, in elezioni considerate libere dalla comunità internazionale, Krajisnik venne eletto membro serbo della presidenza collegiale della Bosnia ed Erzegovina. Fa parte di quella schiera di politici, come Prlic, la Plavsic, Brdjanin, che liberamente eletti nel 1996, sono ora in attesa di giudizio di fronte al tribunale dell’Aja.
Il rapporto politici-criminali di guerra è uno degli aspetti più problematici del difficile dopoguerra bosniaco. A parole tutti i rappresentanti della classe politica si dichiarano pronti a collaborare con il tribunale dell’Aja e il
leit motiv è che “chiunque abbia commesso crimini di guerra debba essere portato di fronte alla giustizia”. Dichiarazioni condivisibili da tutti, praticamente scontate. I fatti però indicano il contrario. Iniziando dalla presidenza tripartita e passando per le entità, molti dei politici bosniaci corteggiano e implicitamente offrono il loro supporto a persone condannate o indiziate per crimini di guerra. In un certo senso, contribuiscono a far dei criminali di guerra degli eroi. E il sostegno per i criminali di guerra diviene pubblico, quando il clima si surriscalda.
I crimini di guerra sfruttati a fini elettorali
La campagna elettorale di quest’anno ha fornito numerosi esempi dei rapporti tra crimine e politica in Bosnia ed Erzegovina.
Contrariamente a quanto si possa pensare, i politici della Republika Srpska hanno mantenuto un basso profilo durante la campagna elettorale. È importante ricordare però che il governo della Republika Srpska, tramite l’associazione dei veterani dell’esercito della Republika Srpska, forniva fino a tutto il 2004 (ma probabilmente questo continua anche al giorno d’oggi) un’indennità mensile ai serbi (e alle loro famiglie) indiziati di crimini di guerra che si trovano in attesa di giudizio di fronte al tribunale dell’Aja e di fronte ai tribunali locali. Il sostegno ai presunti criminali di guerra era stato dunque “istituzionalizzato”.
Nel corso di quest’anno, ci si potrebbe sorprendere che Dodik, nella sua accesissima campagna elettorale dai toni grandeserbi, non faccia riferimento sia al tribunale dell’Aja che a Karadzic e Mladic, tuttora latitanti. Ma la sorpresa è solo apparente. Dodik è un astuto animale politico e parlare in favore di Karadzic e Mladic significherebbe concedere dei meriti al vero nemico di Dodik in questa campagna elettorale, cioè l'SDS [Partito Democratico Serbo, ndc]. Karadzic era infatti il presidente dell'SDS, partito che ha fondato la Republika Srpska: Dodik ora ne raccoglie i frutti ma non può apertamente riconoscere i meriti dei suoi avversari politici. Dodik però si è erto a protettore dei diritti dei serbi grazie al caso Dudakovic, quando ha sollevato il caso sui media bosniaci, chiedendo che venissero iniziati dei procedimenti per i crimini di guerra commessi contro i serbi nella Krajna dal generale bosniaco. Con questo gesto, Dodik, ha di fatto compattato i partiti serbi, dato che anche Dragan Cavic dell'SDS si è unito a lui in questa campagna. Un’altra abile mossa da parte di Dodik per giungere al ricompattamento (in serbo
omogeneizacija) del popolo serbo bosniaco.
Da parte croata, vanno ricordati gli
exploit di Ivo Miro Jovic, membro croato della presidenza. Ogni anno, in occasione dell’anniversario di
Oluja, l’operazione che portò alla riconquista della Krajna e all’esodo di 200,000 serbi, Ivo Miro Jovic si congratula pubblicamente con le autorità croate per la condotta dell’operazione, che fu contraddistinta da una serie di crimini di guerra contro la popolazione serba. Ivo Miro Jovic poi ha protestato pubblicamente nell’estate di quest’anno, quando la SIPA (l'FBI bosniaca) ha arrestato Marko Radic, professore in un liceo di Mostar, accusato di stupri di guerra nell’area di Mostar. A quel tempo, Jovic si disse scioccato per il fatto che Radic fosse stato arrestato dalla SIPA di fronte a dei bambini. Curioso che Jovic non fosse altrettanto scioccato dal fatto che una persona indiziata di crimini di guerra lavorasse come insegnante in un liceo...
Ma l’esempio più eclatante di intreccio tra crimini e politica, è senz’altro quello di Sulejman Tihic, membro bosgnacco della presidenza. Tihic, cercando di contenere le offensive dell'SBIH [Partito per la Bosnia Erzegovina, ndc] e di Haris Silajdzic, e mantenere a galla l'SDA [Partito di Azione Democratica, ndc], non ha esitato a dei veri e propri giri di valzer con i criminali di guerra. L’occasione gli è stata fornita dal ritorno in patria del comandante della difesa di Srebrenica, Naser Oric. Oric, condannato dal tribunale dell’Aja a due anni di carcere (già scontati) per crimini di guerra, è ritornato a Sarajevo, accolto trionfalmente da circa 2.000 “tifosi”. Tihic ha ricevuto nella presidenza Naser Oric e si è pubblicamente congratulato con lui per il “coraggio e la resistenza” dimostrati nella difesa di Srebrenica. Le foto dell’incontro tra i due sono finite su tutti i giornali e hanno suscitato un vespaio di polemiche nella Republika Srpska (ma anche nella Federazione), dove si ritiene che la sentenza comminata a Naser Oric fosse troppo lieve e che Oric dovesse rispondere di crimini molto più gravi di quanto accertato dal tribunale. Ma non basta: a fine agosto, Tihic ha inanellato un’altra perla: mentre divampavano le polemiche sul generale Dudakovic e i presunti crimini da lui commessi, Tihic, ad un raduno dell'SDA a Bihac, ha detto pubblicamente che “i cittadini della Bosnia ed Erzegovina devono essere orgogliosi di Dudakovic”, lo stesso Dudakovic, che a quanto si dice, potrebbe essere sotto inchiesta per crimini di guerra nei confronti dei serbi, presente allo stesso raduno politico, si è rivolto alla folla esprimendo il suo supporto al partito di Tihic, l'SDA.
E le vittime?
Criminali per gli uni, eroi per gli altri. Il vecchio detto è ancora valido. Ma se i carnefici sono tuttora alla ribalta della scena pubblica e utilizzati dai partiti politici, le loro vittime sono ancora nell’ombra, senza riconoscimenti o tutela giuridica alcuna. Al giorno d’oggi in Bosnia ed Erzegovina non esiste una legge che riconosca lo status di vittima civile di guerra o vittima di tortura o stupro e che possa offrire il necessario supporto psico-sociale alle vittime di crimini di guerra. Il mondo politico sembra regolarmente dimenticarsi dei propri obblighi internazionali nei confronti delle vittime, nonostante l’anno scorso il Comitato contro la Tortura delle Nazioni Unite avesse rilevato il mancato rispetto, da parte della Bosnia ed Erzegovina, della Convenzione contro la Tortura.
Come ebbe a dire un ex internato nei campi di concentramento in Bosnia: “al giorno d’oggi in Bosnia è meglio essere un criminale che una vittima...”