A partire da quest’anno, nella città di Vukovar, gli alunni di nazionalità serba e croata finalmente potranno seguire le lezioni nelle medesime strutture scolastiche. Un passo verso la riconciliazione
Vukovar, il Ginnasio (foto D. Hedl)
Ivana Madarac e Dejan Kraguljac, studenti del terzo anno del Ginnasio di Vukovar, città del profondo nord est della Croazia, dall’inizio di quest’anno scolastico, durante l’intervallo, possono parlarsi di tutto ciò di cui solitamente parla la loro generazione: di sport, musica, divertimento, moda… Fino ad ora non avevano potuto farlo, dato che Ivana è croata e Dejan serbo e che frequentavano due scuole divise.
Non si sono mai incontrati, e nonostante vivessero nella stessa città tra essi esisteva un muro invisibile che li divideva. Da quest’anno scolastico, le cose sono cambiate. Sebbene nella maggior parte delle scuole obbligatorie e superiori di Vukovar gli studenti frequentino, in base alla loro nazionalità, le lezioni in croato oppure in lingua serba, ora staranno negli stessi edifici.
Le scuole divise hanno rappresentato forse una delle più pesanti conseguenze della sanguinosa guerra che ha visto a Vukovar uno degli episodi più terribili. I serbi insorti con l’aiuto dell’Armata Popolare Jugoslava hanno tenuto la città sotto assedio e dopo la sua caduta, il 18 novembre del 1991, qui è stato perpetrato uno dei più pesanti crimini di guerra. I feriti dell’ospedale di Vukovar, che per la maggior parte avevano difeso questa città, vennero divisi e uccisi nei terreni agricoli di Ovcara. Dopo la guerra vennero trovati, in una fossa comune, 200 dei croati uccisi.
Questo pesante carico di sfiducia aleggia tutt’oggi sulla città che è entrata a far parte del nuovo ordinamento costituzionale della Repubblica di Croazia alla fine di una pacifica reintegrazione di quest’area, il 15 gennaio del 1998. I serbi che sono rimasti in città, e i croati che sono ritornati dopo sette anni di esilio, hanno costruito con difficoltà la convivenza. E' stata una vita di due mondi paralleli con piccoli punti di contatto. Ebbene, le cose sembra che comincino a cambiare.
Vukovar, il Ginnasio (foto D. Hedl)
“Non ho preconcetti verso i miei colleghi serbi. Ci frequentiamo, parliamo con loro normalmente, come se fossero della nostra nazionalità. Sebbene nella mia classe ci siano anche coloro che sono contrari a questo a me personalmente non disturba, anzi, mi fa addirittura piacere il fatto che possiamo parlare con loro senza alcun timore” dice Ivana Madarac. Nel corridoio, durante l’intervallo, c’è con lei anche Ana Palinkas, che condivide pienamente l’opinione di Ivana: “Questa scuola è anche loro e non vedo perché dovrebbero frequentare in un’altra struttura. Con loro andiamo d’accordo, non litighiamo né ci sono contese, comunichiamo normalmente durante l’intervallo”.
Nell’edificio di un’altra scuola superiore di Vukovar, che porta il nome di Prima scuola superiore, la scorsa settimana sono spuntati graffiti scritti con lo spray nero: “Non mandate i serbi nelle nostre scuole”, “Mandateli in Serbia”, “A morte i serbi”. Questo incidente ha in un certo qual modo rovinato l’umore delle autorità locali le quali avevano considerato fosse raggiunto in città un buon livello di rapporti interetnici e di sicurezza, per cui non fosse più necessario che studenti croati e serbi frequentassero le lezioni in edifici divisi.
I graffiti offensivi non rappresentano l'unico incidente. Alcuni giorni prima era avvenuto uno scontro interetnico molto grave. Su di un autobus un diciassettenne alticcio aveva minacciato con un coltello un tredicenne, bestemmiando contro sua madre dandole dell' “ustascia”, alludendo al regime ustascia filo-nazista esistente in Croazia durante la Seconda Guerra Mondiale.
Ma l'amministrazione locale, nella quale siedono anche rappresentanti serbi, si è urgentemente riunita per condannare l'incidente. Ha nuovamente sostenuto la frequenza della scuola in uno stesso edificio per gli studenti croati e serbi, e hanno concluso che gli incidenti non devono distruggere il livello dei rapporti interetnici raggiunto finora in città.
Gli insegnanti del Ginnasio, il croato, Josip Prpa e il suo collega del corso di lingua serba, il serbo Radoslav Duralja, pensano che sia veramente ora che gli studenti di diversa nazionalità frequentino la stessa scuola. “Fino ad oggi era la politica che decideva e non la professione”, dichiara Duralija, mentre Prpa aggiunge che i problemi e i piccoli incidenti, nelle prime tre settimane da quando è cominciato l'anno scolastico, sono ben inferiori alle previsioni. “Nella scuola ci sono più di 300 studenti e gli incidenti sono possibili, ma ditemi in quale scuola al mondo non ne accadono” conclude Prpa.
“Penso sia arrivato il momento di smettere di guardare al passato e alla guerra. Bisogna far sì che la guerra rimanga solo un brutto ricordo e noi giovani, che alla fine della guerra avevamo uno o due anni, dobbiamo stare insieme e vivere una vita normale. Del passato non siamo e non possiamo essere responsabili”, dice Nenad Cekic, studente di nazionalità serba.
“Per me non è assolutamente un problema andare nella stessa scuola in cui vanno gli studenti di nazionalità croata” dice Dejan Kraguljac, studente di terza. “Ho un'amica croata con la quale facevo la stessa strada per venire a scuola, ma poi ad un incrocio ci dividevamo e ciascuno si dirigeva verso la propria scuola. Adesso è meglio e più facile, da quando andiamo a scuola insieme. Credo che sbaglino coloro che continuano a pensare che dovremmo continuare ad andare in scuole divise”.
Ivana Biljian, giovane pedagoga del Ginnasio di Vukovar, dichiara che è assolutamente normale che gli studenti di entrambe le nazionalità frequentino lo stesso edificio scolastico. “Vivono nella stessa città ed è logico che frequentino la medesima struttura scolastica senza prendere in considerazione che gli uni frequentano le lezioni in lingua croata e gli altri in lingua serba. Domani si ritroveranno a lavorare insieme ed è giusto che la loro socializzazione prenda il via dalla scuola. Vogliamo offrire loro un'educazione basata su umanità e interculturalità, perché sono questi i compiti di un'educazione morale”.
La giovane pedagoga, che considera questo come una grande sfida, racconta come offra maggior attenzione ai ragazzi che durante la guerra hanno perso uno dei due genitori o un parente prossimo, e nei quali i traumi di guerra sono più forti. “Parlo con loro, gli spiego che la guerra è stata terribile, ma che loro a quel tempo erano dei bambini e quindi non sono colpevoli di nulla. So che ad alcuni di loro darà fastidio la parlata diversa o il fatto che alcuni scrivono in caratteri latini ed altri in cirillico. Ma per ora tutto va bene, e faremo in modo che prosegua e rimanga così”, conclude Ivana Biljan.