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La tutela dei diritti dell’infanzia in Romania: progressi e sfide
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Data pubblicazione: 06.11.2006 16:54

Nel 1990 i minori istituzionalizzati erano 150mila, ora sono meno di un quinto. Risultato delle riforme legislative e politiche di questi anni. Le sfide però per tutelare appieno i diritti dei più piccoli rimangono molte. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Di Gianpiero Granchelli*

Tra meno di due mesi la Romania entrerà in Europa. Sono passati esattamente 18 anni “in transizione” in cui non sono cambiati solamente gli assi del sistema economico e politico ma tutti quelli riguardanti la quotidianità del cittadino. I servizi sociali rappresentano in questo frangente uno dei punti più importanti. Il problema dell’emergenza dei minori abbandonati e di strada è stato portato alla ribalta da diverse testate senza mai approfondire il discorso alla base legandolo alla politica sociale del governo rumeno.

Il percorso avviato dalle istituzioni negli ultimi dieci anni è stato molto importante, sono stati fatti sicuramente molti progressi come si evince dalle cifre che qui riportiamo ma restano diversi problemi e nuove sfide; se da una parte con il nuovo sistema economico e politico si riconoscono e rispettano tutti i diritti del cittadino compreso quello della sua individualità e della sua libertà; dall’altra, l’implementazione di servizi sociali non possono essere distaccati dall’ottica di mercato che fa della liberalizzazione il suo punto focale.

Negli ultimi anni le politiche portate avanti dai governi rumeni sono stati senza dubbio “vincenti” riguardo al fenomeno dell’abbandono dei minori e della tutela dei diritti dell’infanzia. Se nel 1990 il numero dei minori istituzionalizzati era di quasi 150 mila, oggi, secondo le cifre dell’autorità nazionale dei minori pubblicati nel settembre 2006 sono 27168 mentre il numero totale dei minori presi in carica dallo stato è di 76168.

Un altro dato che denota l’investimento fatto è quello relativo al tasso di mortalità infantile: il 26,9 per mille nel 1989 e il 16,7 nel 2003. Le strategie adottate sono state molteplici, molti dei grandi istituti sono stati chiusi sviluppando diverse soluzioni alternative come le comunità educative di tipo familiare.

Uno dei punti basilari, sottolineato dal rapporto dell’autorità nazionale per la protezione dei minori, è la centralità del ruolo della famiglia rispetto a quello dello stato; nel passato regime i disagi del minori in difficoltà erano di responsabilità dello stato e non della famiglia, lo stato era il primo a poter decidere sul futuro dei bambini cercando spesso anche di allontanare e “istituzionalizzare” quelli non adatti.

Oggi, invece, la famiglia diventa il fulcro centrale, nel rapporto si legge infatti che “il minore deve essere tutelato nella e con la sua famiglia”. In quest’ottica la maggior parte delle attività vengono svolte o nel rafforzamento della famiglia allargata (parenti del minore) o nell’individuazione di una famiglia adottiva rumena (l’adozione internazionale è stato vietata).

La maggior difficoltà in relazione alla realizzazione di tutti gli obiettivi prefissati è di ordine economico. Fino ad ora la maggior parte delle attività è stata portata avanti grazie al contributo di ong e governi stranieri (l’Italia si è distinta positivamente per i suoi tanti impegni sia da parte delle ong sia da parte delle istituzioni politiche) e grazie ai finanziamenti Phare della Comunità Europea.

Resta il problema della sostenibilità di queste attività; a breve lo stato, le diverse contee e i diversi consigli municipali dovranno farsi carico di tutte le responsabilità economiche inerenti al mantenimento di questi standard. Questa si pone come una grande sfida soprattutto vista la difficile situazione economica del paese e i tanti problemi di corruzione; il ricorso a donors, sia essi stranieri o rumeni (gruppi religiosi etc) resta nell’immaginario di tanti operatori sociali come l’unica soluzione sia per fronteggiare il problema della mancanza dei fondi sia per evitare che si resti intrappolati nelle maglie del “locale”.

Un altro punto delicato è quello relativo alla delocalizzazione dei servizi sociali, punto cardine delle riforme dei servizi sociali del governo rumeno. Le contee e le municipalità diventano gli attori principali. Se il welfare di prossimità comporta notevoli vantaggi dal punto di vista del riconoscimento dei bisogni e delle responsabilità, dall’altra può comportare disagi nel momento in cui le diverse autorità locali partono da situazioni economiche diverse; si rischia infatti di creare territori altamente disomogenei dal punto di vista della possibilità di espletare alcuni servizi legati a diritti universali.

In diversi paesi occidentali le nuove politiche sociali si sono basate sulla commistione tra il pubblico e privato. Nella Romania di oggi in cui la politica continua ad avere molti problemi di corruzione e in cui il settore privato stenta a trovare una sua identità, stretto tra la sopravvivenza quotidiana e l’affiliazione alle grandi compagnie straniere, è difficile immaginare un sistema di “welfare-state mix” ; sicuramente una maggior riflessione e un maggior impegno sui due “sistemi”, politico e economico, potrà aiutare a trovare delle soluzione nel futuro per il “sistema sociale”.


* Gianpiero Granchelli lavora come cooperante in Romania